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martedì 30 maggio 2017

"Per la riconciliazione in Siria ci vorrà del tempo"

Sacerdote ad Aleppo, in Siria, padre Ziad Hilal, gesuita, di passaggio a Parigi, dà le sue ragioni di speranza nonostante una guerra che ha già fatto 400.000 morti e milioni di sfollati.

D: Quale città troverà al ritorno ad Aleppo, dove lei è prete, dopo aver vissuto sei anni in un'altra città martire: Homs?
R: La metà orientale di Aleppo è in buona parte distrutta dai combattimenti che sono durati fino all'evacuazione dei ribelli, negoziata lo scorso dicembre. Occorrerà del tempo affinché gli abitanti ritornino: come si può vivere senza acqua nè elettricità? Vi restano solo le famiglie povere che non hanno la possibilità di andare altrove. La parte ovest, dove abito, è stata meno danneggiata dai combattimenti, ma la vita è complicata anche qui. L'acqua è tagliata regolarmente, a volte per più di venti giorni consecutivi.
Alcuni scavano dei pozzi, dove ci si viene a rifornire coi bidoni. Per la rete elettrica che è fuori servizio, ciascuno conta sul suo gruppo elettrogeno. Occorre tuttavia potersi procurarsi la benzina o il gasolio per farli funzionare. Adesso, le zone petrolifere della Siria sono controllate dai jihadisti dello Stato islamico [ISIS, o Daech, Ndt] e la benzina che viene importata è soggetta alle sanzioni internazionali contro il governo siriano.
D: La ricostruzione è così lenta anche a Homs, evacuata anch'essa dai ribelli nel 2014?
R: Fino a quando la sicurezza nel Paese non sarà completamente ristabilita, la ricostruzione non può veramente iniziare. Solo alcuni quartieri ed edifici simbolicamente importanti per gli abitanti, come le chiese o le moschee, vengono riparati. Molte persone sono perciò ridotte a vivere nel mezzo delle rovine.
D: Quanti cristiani restano, dei circa 130.000 che erano ad Aleppo nel 2011?
R: Ad Aleppo vivono ancora circa 30.000 cristiani. Gli altri sono fuggiti all'estero o in zone della Siria risparmiate dalla guerra.
D: I Cristiani sono presi di mira particolarmente?
R: ISIS ha assassinato molti cristiani e ne ha rapito centinaia a partire dal 2015 in tredici città della valle del Khabour, nel nord del Paese. Peraltro, non abbiamo più di notizie di tre sacerdoti e di due vescovi rapiti tre anni fa. Non va neppure dimenticato che alla Chiesa la Siria ha dato parecchi martiri, come il padre gesuita Frans Van der Lugt, assassinato a Homs nel 2014. Tuttavia, in generale i cristiani non sono particolarmente nel mirino più che gli altri Siriani, in maggioranza musulmani. La guerra colpisce tutti. Ma spesso, i cristiani che abitano in territori controllati dall'ISIS, o da altri gruppi integralisti, sono costretti a scegliere tra la conversione all'islam e il pagamento di una tassa speciale (la Jizya), in aggiunta ad altri obblighi. Molti cristiani preferiscono fuggire da questa oppressione.
D: Dopo sei anni di una guerra spaventosa, lei e i suoi parrocchiani non vi sentite a volte abbandonati da Dio?
R: Sono gli uomini che producono la violenza. Noi manteniamo la nostra speranza in Dio: se non per noi stessi, almeno per la prossima generazione. Nella Bibbia, ogni momento difficile incoraggia il popolo di Dio a rafforzarsi. In Oriente, capita ancora che gli archeologi scoprano chiese sotterranee dei primi tempi del cristianesimo. Questo ci ricorda che la Chiesa è sopravvissuta alle persecuzioni e alle violenze anche in passato. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole.
D: Ma come continuare a sperare?
R: Un mio compagno gesuita ci ha raccontato del fervore dei fedeli assiepati per la Messa della Domenica di Pasqua, nella cattedrale latina di Aleppo, che ha ospitato 1.200 persone e nella cattedrale maronita della città, che è ancora senza tetto. Mi ha detto a qual punto il messaggio della Pasqua - la morte e risurrezione di Cristo - abbia toccato i parrocchiani nella loro carne. Anche noi, i Siriani, attendiamo la resurrezione. Anche se qualcosa è morto dentro di noi, possiamo cercare di rialzarci il giorno dopo, con il Cristo risorto.
D: La società siriana potrà rialzarsi da una guerra che ha fatto circa 400.000 morti e obbligato a fuggire milioni di abitanti?
R: Per la riconciliazione ci vorrà del tempo. Questo è il motivo per cui dobbiamo cominciare adesso! Associazioni cattoliche come JRS (Jesuit Refugee Service) o la Caritas Siriana sono già molto attive in questo campo. Fanno un formidabile lavoro umanitario e sociale. Invitano, per esempio, i bambini e i genitori di diverse fedi e opposte opinioni politiche, al dialogo, a dibattere riguardo al rispetto per l'altro, sulla non-violenza. Migliaia di bambini hanno partecipato a questo tipo di riunioni. Quando la guerra sarà finita, ci si potrebbe ispirare ed imparare da esempi stranieri per guarire le ferite profonde della guerra civile, come ad esempio la Commissione per la Verità e la Riconciliazione, istituita in Sud Africa alla fine dell'apartheid.
Gli effetti e i danni della guerra non sono solo materiali: le lesioni più gravi sono invisibili, esse feriscono profondamente gli spiriti. Sarà necessario guarire la nostra società per salvarla. Prendersi cura dei bambini traumatizzati, ai quali è stato messo nella testa che il vicino era il nemico; le donne, che non sanno nemmeno se sono vedove o se i loro mariti ritorneranno, e in quali condizioni; gli uomini incapaci di riadattarsi alla vita normale, perché la guerra è diventata il loro lavoro. Questo conflitto ha piantato semi di dolore che permarranno per lunghi anni.
D: Gli interventi stranieri - russi e iraniani a fianco del governo siriano, occidentale al fianco dell'opposizione e di alcuni ribelli - possono sbloccare la situazione?  
R: Già dal 2011, penso che la soluzione debba essere politica. Purtroppo, per mancanza di una cultura del dialogo in Siria, la violenza si è imposta. Diverse forze straniere hanno supportato le fazioni rivali. Nonostante le centinaia di migliaia di morti e i milioni di sfollati, continuo a credere che una soluzione politica sia possibile. Occorre non rinunciare mai al dialogo. Ogni guerra ha una fine! La più vicina a noi, la guerra civile in Libano, durata quindici anni, ha finalmente trovato un esito negoziato tra i belligeranti. Come ha detto Papa Francesco, quando si perde speranza, dobbiamo ancora cercare in questa perdita una ragione per sperare.
  ( trad. dal francese di Gb.P.) 

lunedì 27 febbraio 2017

Padre Ziad Hilal: i religiosi e l'immensa opera del soccorso

Il taglio dell'acqua ad Aleppo perdura . La gente beve acqua contaminata dai pozzi. I Fratelli Maristi continuano a distribuire gratis l'acqua agli abitanti più poveri, portandola alle case con i loro camioncini

Aleppo, febbraio 2017

Quasi tre mesi dopo la liberazione della città di Aleppo dal controllo dell'ISIS da parte dell'esercito siriano, la popolazione locale si trova ad affrontare condizioni di vita durissime in una città in rovina dopo quasi sei anni di combattimenti.
In un'intervista con l'organizzazione umanitaria francese L'Oeuvre d'Orient, padre Ziad Hilal che svolge il suo ministero pastorale ad Aleppo, ha detto che il costo della vita in Siria è diventato esorbitante.
"In precedenza, il dollaro valeva circa 50 sterline siriane, oggi è scambiato a più di 520 lire siriane. Dieci volte di più! La gente di Aleppo non ha più i soldi per vivere, pochissime persone hanno un lavoro".
"Hanno bisogno di cibo, di carburante, devono pagare le tasse scolastiche per i figli, per gli studenti universitari, comprare il latte per i più piccoli. Ogni famiglia deve pagare per collegarsi ai generatori di energia elettrica" riferisce P. Hilal.
"Nella regione di Aleppo vivono decine di migliaia di persone. Esse sono spesso senza riparo, o sono ospitate in vecchie fabbriche. Hanno bisogno di tutto. Altri sono vicino a Idleb (a sud-ovest di Aleppo), o sfollati al confine con la Turchia, a Damasco, o in Libano. Altri sono profughi in Europa. Ci sono anche alcuni che sono rimasti ad Aleppo spostandosi nella zona occidentale della città", racconta sempre P. Hilal.
Il sacerdote gesuita ha spiegato che dopo l'evacuazione dei ribelli dalla parte orientale della città, "la situazione è leggermente migliorata, ma una quantità di ribelli rimane ancora nei villaggi circostanti. Ci sono ancora scambi di armi da fuoco e bombardamenti tra Aleppo e la periferia."
"L'Est Aleppo è quasi interamente distrutta. C'è una presenza militare, ma la gente non può tornare lì", "nonostante ciò, la gente sta circolando per le strade, può fare la spesa, i bambini sono più tranquilli. Tuttavia, né elettricità né acqua sono stati ripristinati nella città. Dopo gli scontri, siamo stati totalmente tagliati fuori dall'approvvigionamento dell'acqua ed è stata una dura prova per tutti. Ecco perché le persone non stanno ritornando in questo momento, anche se alcuni di loro lo vorrebbero. Tanto più perché è stato un inverno molto freddo quest'anno ed abbiamo avuto anche due nevicate", sono le parole di P. Hilal.
"La Chiesa adesso deve stare a fianco dei rifugiati, degli sfollati e degli emarginati. La gente di Aleppo non viene qui da noi solo per pregare, ma anche per ottenere aiuto."
Egli ha sottolineato che questa situazione "non è un lavoro facile per i sacerdoti, per i religiosi e le religiose, tuttavia è un lavoro che ci stiamo assumendo."
Ad esempio, le sei chiese cattoliche di Aleppo lavorano insieme per lanciare un'iniziativa chiamata 'il posto del latte'.  Ogni mese si distribuisce il latte per circa 2600 bambini di Aleppo. Le chiese distribuiscono anche cesti alimentari, forniture igieniche e pagano le rette per le lezioni dei ragazzi e gli alloggi per le famiglie.
Padre Hilal ha detto che la ricostruzione di Aleppo è prematura "fintanto che non c'è pace nel Paese". Tuttavia, ha aggiunto che si stanno studiando con alcune organizzazioni la possibilità di ricostruire alcune chiese e case distrutte.
"Il Nunzio Apostolico in Siria, il cardinale Mario Zenari e mons. Dal Toso di Cor Unum, sono venuti tre settimane fa per valutare la situazione. "
"D'altra parte, qui non possiamo aspettarci l'energia elettrica per ristrutturare, per almeno un anno, perché la rete è stata completamente distrutta dai combattimenti. Ci vorranno milioni e milioni di euro per la ricostruzione ", ha detto. "Chi pagherà per questo? Bisogna investire nella città. Bisogna avere speranza ".

giovedì 23 giugno 2016

Quali soluzioni al conflitto in Siria? parla il gesuita Ziad Hilal


Il paese dove  il giovane gesuita Ziad Hilal è nato 42 anni fa, è passato attraverso "cinque anni di guerra, una guerra dove tutti sono contro tutti", lamenta, con calma, nella sede di Montreal di Aiuto alla Chiesa che Soffre, un'organizzazione che sostiene finanziariamente i progetti che egli aveva iniziato a Homs, Aleppo e Damasco. Questa città, con il suo glorioso passato, ha visto violenti scontri prima della partenza di padre Hilal dalla Siria.
"La guerra ha fatto 5 milioni di rifugiati, 10 milioni di sfollati, 300.000 morti, più di 100.000 feriti, disabili e mutilati." Il gesuita lancia questi numeri di getto. Ed aggiunge che "i bambini hanno perso le loro scuole" e che "metà del paese è distrutto."
"E' questa la Siria oggi.".  Ma c'è una seconda immagine del paese, aggiunge il padre Hilal, che è raramente indicata nei media.  "Questo è un paese in cui la società civile è giorno e notte al lavoro per difendere il popolo, aiutarlo a sopravvivere, educare i bambini, ridurre le tensioni tra i gruppi militanti, cercare la pace e la riconciliazione".
"Questa crisi, per quanto mortale di fatto sia, mostra anche la bellezza del cuore dei Siriani", continua Ziad Hilal, abbozzando un sorriso furtivo.  Poi cita le parole del suo superiore, padre Frans van der Lugt. Il gesuita olandese assassinato nella sua casa a Homs, il 7 aprile 2014, ripeteva che "i siriani sono noti per la loro pazienza, e grazie a questa pazienza arriveranno un giorno a ritrovare la pace."
Il giovane gesuita ricorda che 900 metri lo separavano dal suo superiore, rimasto nella città vecchia di Homs quando questa parte della città fu assediata. "Non siamo riusciti a vederci gli uni gli altri per più di due anni. Lui era rimasto nella nostra casa. Comunicavamo per telefono.". L'assedio della città vecchia sarà tolto nel maggio 2014, poco dopo l'uccisione di Frans van der Lugt.    
"E' grazie a lui che siamo riusciti a tornare alla nostra residenza. L'omicidio di padre Frans è ciò che ha aperto le porte della città vecchia. E' la sua morte che ha fatto spostare la grande pietra, come dice il Vangelo. La casa è stata distrutta per metà, ma il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati ha installato una cucina che dà 2000 pasti caldi al giorno alle persone che hanno fatto ritorno ".
Le soluzioni?  
"Ogni guerra ha necessariamente una fine", dice il gesuita. Ma tre ingredienti sono essenziali per raggiungere questo obiettivo. Sono " il perdono, il dialogo e la riconciliazione, senza i quali si continuerà a uccidersi a vicenda."Parole che la comunità internazionale non capisce, egli crede.   "Le forze internazionali hanno iniziato a sostenere un gruppo contro l'altro. Esse non hanno favorito fin dall'inizio il dialogo tra tutte le parti e non possono accordarsi sulla risoluzione dei problemi." 
In questo paese devastato dalla guerra dove egli è nato, ogni paese coinvolto "cerca i suoi interessi personali." La prova di quello che dice? Il numero di armi che si trova oggi in Siria. "Alcuni paesi hanno aumentato la loro fortuna grazie o a causa, non so come dire, della guerra nel mio paese." 
Il Canada deve lavorare per la pace e la riconciliazione ", dice. "Non ci sono altre soluzioni. Dare armi o denaro per combattere è provocare la guerra. Se si continua ad alimentare la guerra, si giungerà davvero a distruggere la Siria ".
Ai primi di luglio, il padre Ziad Hilal tornerà a Homs?  Non lo sa ancora. "Aspetto la mia nuova missione," dice. Ma sarà nel suo paese.

sabato 24 gennaio 2015

Attentato a Homs: "i giovani sono stati deliberatamente presi di mira", si affligge padre Hilal

Dopo un sanguinoso attacco terroristico  avvenuto mercoledì 21 gennaio 2015 a Homs, il padre gesuita Ziad Hilal deplora l’assenza di reazione  internazionale e chiama alla preghiera per la Siria.



Dopo il sanguinoso attentato terroristico a Homs del 21 gennaio 2015, il padre gesuita siriano Ziad Hilal si rammarica che le vittime dell'attentato siano stati soprattutto dei giovani.

"La maggior parte delle vittime erano studenti universitari, i giovani che non avevano ancora lasciato Homs.  Che messaggio manda ora questo attentato? Penso che essi siano stati presi di mira in modo deliberato", ha detto questo giovedì 22 gennaio Padre Ziad al ACS. 

Un'autobomba è esplosa mercoledì a mezzogiorno in una strada affollata nel centro della città. Secondo le informazioni a disposizione del Padre Ziad, 15 persone sono state uccise. E più di 50 sono rimaste ferite, alcune gravemente. 
C'erano anche ragazzi cristiani, sia tra i morti che tra i feriti:






Homs: 17 morti e 60 feriti, che l'Occidente non ha nemmeno menzionato, come l'attentato di "ribelli" che il 1 ottobre scorso uccise 48 bambini della scuola elementare

"L'attentato è avvenuto vicino alla nostra chiesa e al nostro centro di assistenza. Non sappiamo chi c'è dietro tutto questo. Ma è una tragedia. Le immagini dell'attacco sono terribili. Visitiamo le famiglie delle vittime e cerchiamo di confortarle. Ma cosa possiamo dire in questa situazione? Tutti noi, noi stessi, siamo profondamente rattristati e preoccupati. »


Padre Ziad ha domandato di pregare per questo paese devastato dalla guerra. "Chiedo a tutti, in particolare ai benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre di pregare per la Siria, in particolare per le vittime di questo tragico attentato e le loro famiglie."
Padre Ziad si è mostrato ferito dalla mancanza di risposta da parte della comunità internazionale. "Dove è la reazione del mondo? Dopo gli attentati di Parigi, ognuno ha lo sguardo diretto verso la Francia. E qui? Non mi sembra che nessuno si sia espresso. Nessuno si muove. Il silenzio completo. La Siria e la sofferenza quotidiana della sua gente sono dimenticate. »



Homs è la terza più grande città  della Siria. Questa città di importanza strategica è stata contesa per molti anni tra il governo e l'opposizione. Dallo scorso anno, Homs è di nuovo sotto il controllo del governo siriano, ma continua ad essere percossa da attentati. Recentemente, nel mese di ottobre 2014, più di 50 persone sono morte in un doppio attentato con autobombe. A causa dei combattimenti, negli ultimi anni, una gran parte della popolazione della città, tra cui più di 80.000 cristiani sono stati costretti a lasciare le loro case. Si stima che più di 200.000 persone sono state uccise dall'inizio della guerra siriana.




L'ACS offre supporto alla Siria da anni, in particolare al lavoro umanitario di Padre Ziad per le persone in difficoltà a Homs e dintorni.
Sotto la supervisione di Padre Ziad diverse strutture  distribuiscono cibo, prodotti per l'igiene e l'abbigliamento a migliaia di persone, indipendentemente dalla loro religione o impegno politico.

Dall'inizio della guerra, nel marzo 2011,  l'ACS ha inviato aiuti per un totale di 4,15 milioni di euro al popolo della Siria e ai rifugiati siriani nei Paesi confinanti.

 (traduzione dal francese di  FMG)
http://www.aed-france.org/actualite/syrie-attentat-a-homs-des-jeunes-ont-ete-deliberement-vises/

giovedì 31 ottobre 2013

Il massacro dei cristiani siriani

L’Arcivescovo siro-ortodosso Alnemeh: “A Sadad il più grande massacro di cristiani in Siria”


Agenzia Fides 31/10/2013

Sadad  – “Quello avvenuto a Sadad è il più grave e ampio massacro di cristiani avvenuto in Siria da due anni e mezzo”: è perentorio l’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, Metropolita siro-ortodosso di Homs e Hama, nell’illustrare a Fides il tragico bilancio di vittime nella cittadina cristiana di Sadad, invasa dalle milizie islamiste una settimana fa e poi riconquistata dall’esercito siriano. “I civili innocenti, martirizzati senza alcun motivo, sono 45, e fra loro diverse donne e bambini, molti buttati in fosse comuni. Altri civili sono stati minacciati e terrorizzati. I feriti sono 30 e le persone scomparse sono tuttora 10. Per una settimana, 1.500 famiglie sono state tenute come ostaggi e scudi umani. Fra loro bambini, vecchi, giovani, uomini e donne. Alcuni di loro sono fuggiti a piedi percorrendo 8 km da Sadad ad Al-Hafer per trovare rifugio. Circa 2.500 famiglie sono fuggite da Sadad, portando con sé solo i vestiti che avevano indosso, a causa dell’irruzione dei gruppi armati e oggi sono profughi sparsi tra Damasco, Homs, Fayrouza, Zaydal, Maskane, e Al-Fhayle”.
L’arcivescovo prosegue manifestando tutta la sua amarezza: “In città mancano del tutto elettricità, acqua e telefono. 

Tutte le case di Sadad sono state derubate, e le proprietà saccheggiate. Le chiese sono danneggiate e dissacrate, private di libri antichi e arredi preziosi, imbrattate di scritte contro il cristianesimo. Le scuole, gli edifici governativi, gli edifici comunali sono distrutti, insieme con l'ufficio postale, l'ospedale e la clinica. Ai bambini di Sadad è stato rubato il futuro. Molte case non potranno nemmeno essere ricostruite”.
“Quanto accaduto a Sadad – afferma – è il più grande massacro dei cristiani in Siria e il secondo in tutto il Medio Oriente, dopo quello nella Chiesa di Nostra Signora della Salvezza in Iraq, nel 2010”.
L’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh conclude: “Abbiamo gridato soccorso al mondo ma nessuno ci ha ascoltati. Dov'è la coscienza cristiana? Dov'è la coscienza umana ? Dove sono i miei fratelli? Penso a tutte le persone sofferenti, oggi nel lutto e nel disagio: ho un nodo alla gola e mi piange il cuore per quanto è successo nella mia arcidiocesi. Quale sarà il nostro futuro? Chiediamo a tutti di pregare per noi”.
Sadad è una piccola città di 15.000 persone, in maggioranza cristiani siro-ortodossi, situata 160 km a Nord di Damasco. Conta 14 chiese e un monastero con quattro sacerdoti. La città era rimasta finora fuori dal conflitto. 



Fosse comuni a Sadad: 45 civili cristiani uccisi dalle milizie islamiste

Agenzia Fides 31/10/2013

Sadad  – Sono stati rinvenuti in due distinte fosse comuni i corpi di trenta i civili cristiani, inclusi donne e bambini, uccisi dalle milizie islamiste nella città di Sadad. E, nel complesso, i civili cristiani uccisi nella cittadina a metà strada fra Homs e Damasco sono 45. E’ quanto comunica all’Agenzia Fides il Patriarcato Siro ortodosso di Damasco. La città di Sadad, insediamento cristiano, è stata invasa e occupata dalle milizie islamiste il 21 ottobre ed è stata riconquistata nei giorni scorsi dall’esercito regolare siriano. I rappresentanti del Patriarcato e le famiglie delle vittime, rientrati in città, vi hanno trovato, nell’orrore generale, due fosse comuni, dove hanno rinvenuto i cadaveri dei loro parenti e amici. In una atmosfera di lutto, sdegno e commozione, i funerali dei trenta cristiani sono stati celebrati dall’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, Metropolita siro-ortodosso di Homs e Hama, che ha fornito a Fides l’elenco delle vittime.
Secondo il racconto di testimoni oculari, molti dei civili sono stati uccisi dai miliziani delle bande di “Al- Nusra” e “Daash” mentre cercavano di fuggire o di mettersi in salvo, il giorno dell’invasione improvvisa. La città risulta oggi del tutto distrutta e saccheggiata. Alcuni dei militanti che hanno invaso la città si erano rintanati nella chiesa siro-ortodossa di San Teodoro, che è stata profanata. 


Sadad è un antico villaggio siriaco risalente al 2000 a. C., situato nella regione del Qalamoon, a nord di Damasco, caratterizzato da chiese, templi, icone storiche e siti archeologici. 

Devastating Images & Report from the Christian Town of Sadad in Syria 



La diplomazia internazionale è alle prese con il tentativo di non far naufragare l’imminente conferenza di pace “Ginevra 2”, mentre dall'Oms è arrivata la conferma che nel Paese è in atto un'epidemia di poliomielite. Ulteriore dramma di una guerra che sta piagando la popolazione siriana, alle prese da più di due anni e mezzo con una terribile guerra fratricida, causa di una delle più gravi emergenze umanitarie della storia. Intanto dal terreno giunge la notizia della riconquista da parte dell’esercito del villaggio a maggioranza cristiana di Sadad, vicino alla città di Homs. Alcune migliaia di persone sarebbero state liberate dall’assedio dei ribelli. La notizia è confermata anche da mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, intervistato da Salvatore Sabatino:

R. – Ho appena appreso anch’io che è stato rotto l’accerchiamento, così come ho avuto notizia, questa mattina, che è stato rotto anche l’accerchiamento di altri due villaggi: uno si chiama Mudamieh un altro Daraya, a sud di Damasco, con la buona volontà delle parti, aiutate da mediatori sul posto. Ci sono anche alcuni aspetti positivi, pur in questo clima di violenza e di sangue di tutti i giorni … Quindi, direi che anche queste schiarite potrebbero aiutarci, potrebbero aiutare la comunità internazionale a proseguire, a non perdere la fiducia e a riprendere con maggiore coraggio e determinazione: veramente è una scalata, più che una strada in salita …

D. – Il volto di questa guerra sta continuamente cambiando, ed è ormai provato che nel Paese siano entrati combattenti provenienti da altri luoghi. Si parla di affiliati alla galassia di al Qaeda. Lei conferma questa presenza?

R. – Direi che questo è sotto gli occhi di tutti. La storia di questo conflitto è veramente complicata: se lo si osserva dalle prime settimane, dai primi mesi, dal primo anno in poi, si vede che il conflitto è andato aggrovigliandosi e complicandosi. Credo che, se non si riesce a districare quanto prima questa matassa, andrà complicandosi ancora di più e a rendere sempre più difficile una soluzione che tutti ci auguriamo.

D. – Da tre mesi non si hanno più notizie di padre Paolo Dall’Oglio, molto apprezzato in Siria per il suo impegno per il dialogo e la pace. Ha notizie al riguardo?

R. – Beh, ogni tanto a questa nunziatura giungono delle voci, di cui è difficile controllare la consistenza; voci di ogni sorta … Io mi tengo in contatto con la sua comunità monastica di Mar Moussa, ogni tanto telefono o li incontro, li incoraggio perché sono coloro che più ne soffrono, questi suoi figli spirituali. Naturalmente, bisogna sempre conservare la speranza che possa, prima o poi, risolversi felicemente questo dramma, questa sofferenza, per tutti noi …

Sulla situazione a Sadad ascoltiamo padre Ziad Hilal, che proprio questa mattina si è recato nella cittadina siriana, intervistato da Helene Destombes: 

R. – J’étais à Sadad, avec un autre prêtre, …
Mi sono recato a Sadad, con un altro prete siriaco-cattolico. Ci sono molti edifici, molte case danneggiate o addirittura distrutte; tra questi, la scuola del villaggio, anch’essa invasa e distrutta, come anche gli altri edifici ufficiali. Sono andato a vedere le quattro chiese, delle quali tre siriaco-ortodosse e una chiesa siriaco-cattolica: sono danneggiate tutte e quattro, sono state utilizzate come ricovero da integralisti che erano venuti nel villaggio. Ci sono dentro materassi, coperte … Hanno anche scritto degli slogan sui muri delle chiese, all’interno, sull’altare, ovunque … Hanno spaccato il santissimo sacramento in tutti gli altari delle quattro chiese; i danni sono grandi nelle chiese, ma anche nelle strade. Ho potuto incontrare il prete che mi ha detto che fino a ieri sono stati sepolti 29 cristiani del villaggio; ce ne sono ancora due da lui … Ecco, questo è quello che ho visto, finora.

D. – Quanti cristiani erano stati assediati in questa cittadina?

R. – J’ai vu pas mal: il y avait à peux près 1.500 personnes là-bas, ils n’ont pas …
Ce n’erano parecchi: c’erano circa 1.500 persone che non sono potute uscire. Questa mattina ho visto alcune vetture piene di bambini, uomini e donne che hanno vissuto questi giorni terribili e che hanno preferito andare via per qualche giorno, venire a Homs o in altre località, ma non so se vorranno tornare …

D. – In questo momento, chi si prende cura di queste famiglie? Ci sono delle organizzazioni umanitarie, delle associazioni che se ne occupano?

R. – En fait, jusqu’à maintenant, ce sont les églises qui organisent les aides humanitaires …
A tutt’oggi, sono le Chiese che organizzano gli aiuti umanitari. Stiamo contattando le diverse organizzazioni per far fronte all’urgenza ed aiutare le persone. Non bisogna nemmeno dimenticare che è compito dello Stato, lavorare per risistemare le strade, le scuole, gli edifici ufficiali.

D. – I ribelli che si trovavano nel villaggio di Sadad, sono fuggiti o sono stati uccisi dall’esercito?

R. – Il y avait un combat; la plupart, ils ont fui, les autres je pense ils ont été abattu. …
C’è stato un combattimento; la maggior parte di loro è fuggita, e penso che gli altri siano stati uccisi.


 

  Omar Gharba, religioso wahhabita, appartenente all’Armata Siriana Libera (ESL)


Rogo di libri cristiani a Raqqa

Agenzia Fides 25/10/2013

Raqqa  – I miliziani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL), la fazione quaedista che in diverse regioni della Siria ha monopolizzato l'insurrezione armata contro il regime di Damasco, nei giorni scorsi hanno organizzato un rogo di Bibbie e libri cristiani davanti alla chiesa greco-cattolica di Nostra Signora dell'Annunciazione a Raqqa, la città siriana da mesi sotto controllo delle milizie anti-Assad. 
A fornire informazioni all'Agenzia Fides intorno all'azione intimidatoria è una nota dell'agenzia curda indipendente "AraNews", nota per le sue posizioni critiche nei confronti del regime siriano e in contatto con attivisti e informatori che da Raqqa hanno fatto filtrare la notizia tramite i social network.



La regione di Raqqa è stata teatro di scontri tra l'esercito di Assad e le milizie dell'opposizione nel marzo scorso. Dopo il ritiro dell'esercito governativo, sono iniziati gli scontri interni allo schieramento anti-regime tra i battaglioni dell'Esercito Libero Siriano e i gruppi quaedisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, che hanno avuto la meglio. Lo scopo dichiarato di questa fazione è la creazione di un califfato islamista nelle aree cadute sotto il proprio controllo. 
A tale scopo, le popolazioni civili vengono sottoposte a campagne di indottrinamento e fanatizzazione a base di ideologia jiahdista. Già lo scorso settembre diversi video circolati online avevano documentato le azioni vandaliche compiute contro le due chiese della città di Raqqa dai militanti dell'ISIL, con la distruzione di croci, statue e immagini sacre.
A Raqqa, alla fine di luglio, è stato rapito il gesuita romano Paolo Dall'Oglio. Come ricostruito dall'Agenzia Fides (26/8/2013) i principali indiziati del rapimento di padre Paolo sono proprio gli affiliati all'ISIL.

http://www.fides.org/it/news/53832-ASIA_SIRIA_Rogo_di_libri_cristiani_a_Raqqa#.UmpoFm1H7wo

venerdì 31 agosto 2012

Cristiani al lavoro per la costruzione tenace e paziente di una nuova Siria

COSTRUIRE OPERE CHE SIANO "FORME DI CIVILTA' NUOVA" (GIOV.PAOLO II): ECCO L'IMPEGNO DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA ED IL FUTURO DELLA SIRIA
I SALESIANI AD ALEPPO
Una scuola per salvare Homs

Gli Scouts de Cluses in France in Haute-Savoie  consegnano aiuti umanitari  a Mère Agnès Mariam de la Croix


 


Contributo socio-educativo dell'Ispettoria Salesiana nelle città siriane di Aleppo, Kafroun e Damasco
di Eugenio Fizzotti
ROMA, venerdì, 31 agosto 2012 (ZENIT.org).- L’Ispettoria Salesiana del Medio Oriente, con sede ispettoriale a Betlemme, ha due comunità in Libano, tre in Egitto, cinque in Israele, una in Turchia, una in Iran e tre (di cui una però con attività religiosa sospesa) in Siria. Volendo informare i confratelli salesiani di tutto il mondo sulla situazione della Siria, sulla tragica situazione degli sfollati e dei profughi, e in modo particolare sulla presenza salesiana a Damasco, Aleppo e Kafroun, l’Ispettore Don Munir El Rai ha inviato un comunicato particolarmente apprezzato e fonte di preghiera oltre che di solidarietà.
Partendo dalla considerazione, nota a livello mondiale, che «la situazione del paese sta peggiorando e le ultime notizie riferiscono cheAleppo e Damasco e dintorni sono attaccate e bombardate», Don Munir informa che «la carenza di carburante, elettricità, acqua, pane, gas, benzina e auto, oltre alle paralisi dei mercati e alla disoccupazione, si aggiunge alla mancanza di sicurezza e al caos», con la conseguenza che, essendo diventate difficili le comunicazioni elettroniche, «la situazione economica generale peggiora a vista d’occhio, a causa della chiusura di fabbriche e attività e della conseguente dilagante disoccupazione».