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giovedì 14 aprile 2016

Io, profugo siriano in Italia , vi chiedo:


Ormai parlare della questione dei rifugiati mi pare la moda del nostro periodo attuale.
Tanti vogliono strumentalizzare le nostre ferite aperte, i media italiani e internazionali non fanno che parlare dei profughi . … Giusto che tutti parlino, ma giusto pure trovare una soluzione a questa grave ferita, perchè non serve parlare solo di buoni sentimenti e di accoglienza verso questi profughi, senza dire come possiamo realmente aiutarli.

Vorrei dire: Basta guerre, basta buonismo banale, basta sfruttare i poveri rifugiati che scappano dalla morte, che scappano dai campi dei profughi in Turchia.
Qualcuno si è chiesto come un siriano vive nei campi dei profughi in Turchia? O come viene trattato un cristiano?
Allora perchè l'Europa dona tutti questi miliardi al governo di Erdogan?
Nonostante i grossi rischi che affrontano i profughi lungo il loro viaggio, la politica europea è servita a bloccare il loro arrivo?

Ringrazio il Signore che sono riuscito ad andare via della Siria con la mia famiglia con visto regolare, e sono venuto in Italia, e tutto questo grazie a un gruppo di amici che mi hanno aiutato ed accolto con amore ed amicizia, e ci hanno fatto sentire che siamo importanti e siamo degli esseri umani.
Io quindi non vi posso raccontare che sentimenti prova il siriano cristiano quando si butta nel mare, sperando di arrivare alla meta sicura .
Non posso raccontarvi i sentimenti di un profugo che vive ora dentro una tenda in Grecia o in Macedonia, in attesa di raggiungere il nord dell'Europa, ma io posso capire la sua angoscia, la sua rabbia perchè sicuramente aveva detto a se stesso prima di intraprendere questa avventura: "In Europa troverò il rispetto, troverò una buona vita", ma lui poverino non ha capito che l'Europa non lo vuole e sarà usato, come gli stessi europei sono usati dai politici.
A me pare disumano sfruttare i sentimenti del popolo europeo ed i sentimenti dei profughi a favore di scopi politici.

 Se si vuole risolvere veramente il problema dei profughi occorre
1- sbloccare l'embargo sulla Siria perchè ha fatto solo impoverire il popolo siriano.
2- se l'Europa non può accogliere questi numeri di profughi, allora si impegni a migliorare la vita nei campi dei rifugiati vicini alla patria.
3- lavorare seriamente con gli altri Paesi regionali (Iran- Turchia ) ed internazionali (Russia, USA) a spingere i gruppi che combattono in Siria a negoziare, ed usare un linguaggio lontano dalle armi.
4- chiedere ai loro amici Sauditi di bloccare l'insegnamento radicale, perchè il fanatismo ed il radicalismo fanno crescere solamente l'odio.
5- aiutare il popolo siriano, senza ficcare il naso, a scegliere e decidere la sua strada, perchè la democrazia la fa il popolo.
6- aiutare i siriani a ricostruire il loro paese.  

Samaan Daoud , siriano cristiano temporaneamente esule) in Italia

Quello che succede a Lesbo in queste ore... :

mercoledì 28 ottobre 2015

Siria, dove i genitori non sanno se i figli torneranno da scuola...

La testimonianza di Samaan Daoud, profugo cristiano siriano che insieme alla sua famiglia è fuggito in Italia, al convegno 'Genocidio dei Cristiani. La Jihad da Oriente a Casa nostra'.

Roma,  (ZENIT.org)  , di Federico Cenci 

“Io sono un siriano e un cristiano, sono di Damasco, nato e cresciuto a pochi metri di distanza dal luogo in cui San Paolo si è convertito. Sono fierissimo della mia appartenenza”. È con parole solenni e dense di emozione che Samaan Daoud, profugo cristiano siriano, ha iniziato il racconto della sua esperienza nel corso del convegno La jihad da Oriente a casa nostra, che si tiene questo pomeriggio, 19 ottobre, nell’Aula dei Gruppi parlamentari, a Roma.
Samaan, padre di famiglia, in un perfetto italiano ha spiegato di essersi trasferito alla periferia di Damasco una volta sposato. Viveva in una zona residenziale, tranquilla almeno fino al marzo 2011, data d’inizio del conflitto che sta falcidiando la Siria.
Ma l’impeto d’odio non ha risparmiato nemmeno i luoghi lontani dai centri di potere della capitale siriana. La sua casa, in particolare, si trovava in un punto nevralgico dello scontro tra l’esercito regolare e i gruppi ribelli. “I colpi di mortaio sono arrivati fin dentro il mio giardino di casa”, ha raccontato.
Soprattutto, metaforicamente sono arrivati fin dentro il suo cuore procurandogli ferite che il tempo non potrà cancellare. L’uomo ricorda che un colpo di mortaio un giorno ha sfiorato uno dei suoi due figli ed ha colpito a morte un altro bambino all’uscita da scuola. “Ogni giorno, in Siria, quando i genitori mandano i bambini a scuola sanno che potrebbero non tornare più a casa”, spiega.
D’altronde tra le decine di migliaia di morti che la guerra ha provocato in Siria, molti sono bambini. Dei quasi 4milioni di rifugiati, circa la metà sono bambini. Numeri che testimoniano come le vittime principali della guerra siano i più innocenti.
E che testimoniano, al contempo, l’insopprimibile stato di tensione in cui si trovano a vivere i siriani. “Il grido Allah akbar è diventato per noi una maledizione, perché ogni volta che lo ascoltavamo capivamo che stavano arrivando i gruppi terroristi a portarci guerra, e non la benedizione del Signore”, afferma Samaan.
Il sinistro grido è diventato sempre più ricorrente nelle orecchie sue e dei suoi vicini di casa, anche una volta che si era trasferito di nuovo nel centro di Damasco. Da circa un anno e mezzo a questa parte, infatti, i ribelli hanno cominciato ad usare missili più potenti, di lunga gittata, capaci di colpire anche il cuore della capitale siriana da luoghi assai distanti.
La situazione era diventata insopportabile tanto che, non senza patimenti d’animo, lui e la sua famiglia hanno deciso di abbandonare la propria terra per trasferirsi in Italia, dove Samaan ha vissuto alcuni anni nel corso degli studi universitari.
La famiglia Daoud si trova da un mese nel nostro Paese, ma ha lasciato il cuore e la mente in Siria. È quasi commosso Samaan, quando ricorda la condizione in cui versa la Siria oggi. Quando era a Damasco ha spesso accompagnato cronisti italiani per far loro da interprete. I suoi occhi hanno visto lo sfacelo causato dall’Isis, “in villaggi non solo cristiani, ma anche musulmani”, ci tiene a precisare. E aggiunge: “Perché questi terroristi sterminano tutti coloro che non sono disposti ad accettare la loro linea”.
In futuro il Medio Oriente potrebbe ritrovarsi senza più presenza cristiana. In Siria - la riflessione di Samaan - i cristiani erano “il lievito”, perché pur rappresentando solo il 10% della popolazione, era all’interno delle loro comunità che pulsavano la cultura e il fermento industriale.
Da un lato Samaan afferma di invidiare coloro che sono rimasti in Siria, perché “sono martiri viventi, che ancora camminano - dice -. Sono persone che non sono state ancora uccise ma che portano la croce ogni giorno”. Croce che si manifesta in questi mesi sotto forma di mancanza di acqua e di luce elettrica, in ampie zone popolari di Damasco vessate dai colpi di mortaio.
In conclusione del suo intervento Samaan ha citato lo scrittore e filosofo libanese Kahill Gibran, il quale nel suo libro Le tempeste in modo poetico descrive le persecuzioni del passato e prefigura l’esperienza tragica che sta vivendo ancora oggi il Medio Oriente: “Ma la mia famiglia non è morta ribellandosi, e nemmeno è stata distrutta dalla guerra e nemmeno travolta dalle macerie durante un terremoto. La mia famiglia è morta in croce”.

venerdì 28 agosto 2015

Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati.

Sono tanti i cristiani siriani che trovano la morte nel Mediterraneo


Aiuto alla Chiesa che Soffre, 28 agosto 2015

«Molti cristiani hanno cercato un futuro migliore in Europa attraversando il Mar Mediterraneo. Alcuni ce l’hanno fatta, altri hanno trovato la morte in mare. Ma la disperazione continua a spingere i nostri fratelli nella fede a far salire i propri figli su quei barconi».

Al telefono da Damasco, Samaan Daoud racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il dramma dei tanti cristiani di Siria che in oltre quattro anni di crisi sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese, soprattutto a causa della loro fede. Secondo quanto riferito ad Aiuto alla Chiesa che Soffre dall’agenzia Habeshia, tra i tanti profughi che approdano sulle coste italiane, i siriani rappresentano il gruppo maggiormente numeroso. E tra loro è alto il numero di cristiani. La stessa agenzia ha rivelato come negli ultimi anni, la percentuale dei cristiani tra i naufraghi che giungono sulle nostre coste sarebbe aumentata di circa il 30%.

 «Almeno tre volte a settimana un pullman parte da Duelha e Tabbale, due dei principali quartieri cristiani di Damasco, con a bordo venti o trenta ragazzi giovanissimi in cerca di un futuro migliore. Un mio amico ha da poco fatto partire suo figlio, di appena 16 anni». Il viaggio costa almeno 2500 dollari. Dalla capitale siriana si arriva a Beirut, da dove i profughi si imbarcano per raggiungere la Turchia e poi l’Europa. «Chi può permettersi di pagare di più, può viaggiare in navi sicure. Gli altri devono rischiare la vita sui gommoni».

In questi anni, molte famiglie siriane hanno trovato la morte in mare. Un cristiano è naufragato appena due settimane fa assieme alla sua famiglia al largo delle coste turche. L’uomo è stato seppellito in Turchia, mentre i corpi della moglie e dei suoi due figli non sono mai stati ritrovati. «Lo conoscevo bene, viveva nel mio quartiere e frequentava la parrocchia delle suore del Buon Pastore non lontano da casa mia». Altre famiglie cristiane provenienti dal Nord della Siria sono morte nel Mediterraneo qualche mese fa.
«Sono tutti volti a noi cari e conosciuti, come un mio amico farmacista che un anno e mezzo fa è stato accoltellato su un barcone e poi gettato in mare».

Nonostante le molte tragedie, la tragica situazione siriana spinge sempre più cristiani a cercare un futuro migliore all’estero. «Un mio amico ha messo in vendita la sua casa per ottenere il denaro necessario a partire. Come lui molti altri che quasi sicuramente non torneranno più in Siria. E questo è il grande pericolo che affrontiamo tutti noi cristiani d’Oriente».



 di Patrizio Ricci

Sono le notizie più diffuse quotidianamente: quelle sui migranti. Come sempre, ci descrivono tutti i particolari. Cosa indossano, in quanti arrivano, le loro condizioni, i salvataggi in mare. Ci tengono aggiornati delle drammatiche morti durante il tragitto. Ci raccontano le sofferenze, gli abusi subiti, le vessazioni e le percosse durante il viaggio… Ci parlano con disprezzo del governo ungherese che innalza muri, ed esaltano il nostro governo che invece – dicono –  è il migliore. Dicono che il trattato di Dublino va corretto e che gli altri paesi se ne lavano le mani.
Il messaggio si sussegue continuamente durante la giornata sui nostri schermi televisivi, viene ripetuto incessantemente. Lo ha detto l’on Boldrini, lo dicono tutti: «La Ue non sia indifferente, salvare vite è la priorità».  Dichiarazione sacrosanta. Ma solo apparentemente. Sì, perchè noi, proprio noi, europei, italiani, siamo causa del problema.  Ed è scomodo dirlo, perciò un’informazione omologata, cassa di risonanza del potere non può farlo.  Cosicchè nei bollettini di morte e nelle discussioni parlare delle cause di questo sconvolgimento non ha diritto di asilo.
Non ci dicono da cosa fuggono.  La ‘svista’ è troppo clamorosa per pensare che sia casuale e non premeditata. La risposta ci coinvolge come responsabilità di quel male. La principale causa dell’esodo in corso è il caos e la miseria che gli USA e l’Europa hanno portato con la guerra in Libia, Siria, Iraq, Yemen, Somalia.
Qualche accenno in verità c’è, ogni tanto, da parte di qualche politico che ammette laconicamente: ‘è stato un errore la guerra di Libia’ e ‘ si deve trovare una soluzione alla crisi siriana’.  Ma è evidente che è ipocrisia allo stato puro, indegna per un paese (che si dice) libero, democratico, civile.
L’Italia sta ancora contribuendo ad alimentare direttamente o indirettamente  quelle guerre con le sanzioni che affamano il popolo siriano cosicchè alle sofferenze subite da ISIS e fratellanza varia , si aggiungono quelle inflitte dall’occidente.
Per l’Italia i terroristi sono ancora  ‘gli unici rappresentanti del popolo siriano’.  La sua posizione è immutata nonostante la realtà sia cambiata velocemente. Ed allora con una mano si salvano i profughi e con l’altra si creano le condizioni degli esodi di massa dei popoli.

Erano “siriani” i migranti morti asfissiati nel camion in Austria


Il problema sono le guerre che assediano l’Europa non i profughi. Se non si fermano le guerre non si fermano neppure i rifugiati. Le migrazioni da fenomeno di natura essenzialmente economica e sociale sono diventate qualche cosa d’altro, il risvolto inevitabile di questioni irrisolte e che si sono aggravate: dalla Siria all’Iraq e alla Libia, dallo Yemen all’Afghanistan, dal fallimento di Stati come la Somalia a dittature africane come quella in Eritrea.....
Alberto Negri, ilsole24ore:    http://www.siriapax.org/?p=20118

lunedì 20 luglio 2015

Aleppo muore di sete: un appello urgente

acqua siria
Piccole Note, 20 luglio

Dal 26 giu­gno Alep­po è senza acqua cor­ren­te. Un dram­ma che va ad ag­giun­ger­si al tor­men­to quo­ti­dia­no fatto di bom­bar­da­men­ti con­ti­nui e scon­tri a fuoco. 
Una sic­ci­tà che non è un ac­ci­den­te na­tu­ra­le della guer­ra, bensì vi ap­par­tie­ne: 
a chiu­de­re le con­dut­tu­re idri­che ai quar­tie­ri an­co­ra sotto il con­trol­lo del go­ver­no di Da­ma­sco sono stati i mi­li­zia­ni di al Nusra, rei­te­ran­do un cri­mi­ne già per­pe­tra­to in pas­sa­to. Non è la prima volta, in­fat­ti, che gli ji­ha­di­sti ri­cor­ro­no a que­sto me­to­do bel­li­co, un’ar­ma di de­va­sta­zio­ne di massa che col­pi­sce in­di­scri­mi­na­ta­men­te tutta la po­po­la­zio­ne di Alep­po.

Da gior­ni i ci­vi­li sono co­stret­ti a file este­nuan­ti pres­so i pochi pozzi an­co­ra in uso, chi con qual­che latta, chi con bi­do­ni, chi con qual­che raf­faz­zo­na­ta bot­ti­glia di pla­sti­ca. A di­stri­bui­re loro l’ac­qua sono i fra­tel­li Ma­ri­sti e la par­roc­chia ar­me­no-cat­to­li­ca della San­tis­si­ma Tri­ni­tà, gra­zie ai pochi pozzi an­co­ra fun­zio­nan­ti. 
In que­sti gior­ni sem­bra­va che qual­co­sa si fosse sbloc­ca­to, dopo un ac­cor­do tra Da­ma­sco e ji­ha­di­sti. Ma era solo pro­pa­gan­da: l’Os­ser­va­to­rio per i di­rit­ti umani in Siria (sem­pre pron­to a de­nun­cia­re ma­le­fat­te – vere o pre­sun­te – del re­gi­me e al­quan­to re­ti­cen­te sui cri­mi­ni com­piu­ti dal­l’al­tra parte) ha an­nun­cia­to il ri­tor­no del­l’ac­qua per il 18 lu­glio, vero, ma in se­ra­ta tutto è tor­na­to come prima, peg­gio di prima.
Nota  a mar­gi­ne. I Ma­ri­sti hanno de­nun­cia­to pub­bli­ca­men­te l’en­ne­si­mo cri­mi­ne com­piu­to con­tro la po­po­la­zio­ne ci­vi­le e hanno in­di­ca­to una ne­ces­si­tà ur­gen­te. Serve ga­so­lio per far fun­zio­na­re il pozzo della chie­sa della San­tis­si­ma Tri­ni­tà e so­prat­tut­to per ac­qui­sta­re due fur­go­ni-ci­ster­ne (e il ga­so­lio ne­ces­sa­rio) per poter por­ta­re l’ac­qua alle per­so­ne che non pos­so­no spo­star­si per ri­for­nir­si: an­zia­ni, fa­mi­glie lon­ta­ne, am­ma­la­ti. L’ap­pel­lo dei Ma­ri­sti è stato ri­lan­cia­to dall’as­so­cia­zio­ne Aiu­tia­mo la Siria! Onlus (Aiu­las) che sta rac­co­glien­do fondi per com­pra­re tali fur­go­ni.
Chiun­que vo­glia con­tri­bui­re, può farlo in­vian­do una do­na­zio­ne al conto indicato qui, sotto alla descrizione del Progetto :
foto R. Casadei
Il racconto di Samaan Daoud :

Aleppo muore di sete, le parrocchie continuano a essere “fari di speranza”


sabato 23 maggio 2015

DAL CUORE DELLA SIRIA , INERME , UNA PREGHIERA



La situazione in Siria sta peggiorando. Noi cristiani ci sentiamo soli. Le parole non mi aiutano ad interpretare tutto ciò che sentiamo veramente. Ora sto comprendendo cosa vuole dire vivere da vero cristiano, vero fedele di Gesù risorto. Ora sento lo stesso sentimento dei primi cristiani, che erano cosi pieni di fede nonostante le forti persecuzioni. Vedo la fede in Cristo risorto più forte di prima tra la gente, anche se qualcuno quella fede l’ha persa completamente”. 
Così inizia una missiva che ci è pervenuta dalla Siria, da Samaan Daoud, cristiano cattolico (di rito greco-melkita), ex guida turistica che la guida ora non fa più.

Una lettera che è testimonianza cristiana, ma nella quale c’è anche tutto lo scoramento di una situazione insostenibile: la guerra ha falcidiato vite, tante vite, e depauperato un popolo prima prospero. E oggi infuria più che mai, con l’Isis a 200 chilometri da Damasco. Oggi che i confini sono chiusi in una morsa di ferro perché le varie bande di tagliagole li hanno occupati tutti: da quello con la Giordania a quello con la Turchia, da quello con Israele a quello con il Libano (senza che tali Paesi li disturbino minimamente, per scelta o impotenza).
Siamo chiusi in una gabbia”, conclude sconfortato Samaan, che lamenta anche mancanze nei pastori della Chiesa, i quali non comprendono che l’unico desiderio della gente è scappare altrove e che il loro richiamo a restare in Patria, seppur motivato dall’importanza della presenza cristiana in Terrasanta, suona duro. E spesso non riescono a custodire il gregge loro affidato dal Signore come la gente si aspetterebbe (o forse sono semplicemente e totalmente inermi, esattamente come le loro pecore).
Stiamo per diventare legna da ardere per alimentare il fuoco di questa guerra assurda”, conclude Samaan nella sua missiva, ricordando che il figlio più grande presto compirà 17 anni e dovrà arruolarsi anche lui e andare a combattere; per difendere la sua gente, i suoi, dai tagliagole che l’Occidente e le Monarchie del Golfo gli hanno scatenato contro. 
A combattere una guerra senza senso, perché il senso lo ha solo per quanti l’hanno scatenata e la alimentano in ogni modo.

Avevamo iniziato la Quaresima chiedendo ai nostri lettori preghiere e un sostegno economico (felicemente arrivato) per la popolazione siriana. Concludiamo questo periodo pasquale con queste righe che grondano conforto cristiano e insieme, angoscia. 
Sembra paradossale questa unione di opposti, ma certi paradossi appartengono alla grazia di Dio. Così che la vita cristiana scorre tra le tribolazioni del mondo e le consolazioni di Dio, come scrive sant’Agostino e come è evidente, splendente direi, nella lettera del nostro amico Samaan.

Da questa parte di mondo, inani spettatori di quanto si consuma di là del Mare Nostrum, non possiamo che partecipare di questo conforto e di questa angoscia con la preghiera e quei poveri gesti di carità che il Signore suggerisce e andrà a suggerire. 
Inermi di fronte allo scatenarsi delle forze demoniache. E non usiamo tale termine per qualche bizzarro bigottismo, ma perché l’agire dei tagliagole siriani – e iracheni – grondano, volutamente, di simbolismi satanici, come richiesto delle logge sataniche, non certo islamiche, che ne governano l’agire (quelli che sono di Satana, come da Apocalisse di Giovanni).
Inermi che però, come accade per Samaan e per i suoi, nostri fratelli nella fede, possono affidare le proprie pene e le proprie speranze – che abitano il cuore nonostante tutto – al Signore. E in questo mese di maggio, benedetto dalla recita del santo rosario, affidarsi in particolare all’intercessione della Madonna, la nostra Madre celeste, onnipotente per grazia come recita la supplica alla Madonna di Pompei.

venerdì 22 maggio 2015

Il rapimento di padre Jacques Mourad e l'orrore di Palmyra


Rapito padre Jacques Murad, della stessa comunità di padre Paolo Dall'Oglio

Agenzia Fides  22/5/2015

Homs 
 Il sacerdote Jacques Murad, Priore del Monastero di Mar Elian, è stato rapito da alcuni sequestratori che lo hanno prelevato dal Monastero sotto la minaccia delle armi. Secondo alcune fonti locali, contattate dall’Agenzia Fides, il sequestro sarebbe avvenuto lunedì 18 maggio, mentre altre fonti sostengono che il sacerdote è stato rapito nella giornata di giovedì 21 maggio. La notizia è stata confermata oggi dall’arcidiocesi siro cattolica di Homs, che ha chiesto a tutti i fedeli di invocare il Signore nella preghiera affinchè padre Jacques sia liberato e possa tornare alla sua vita di preghiera, al servizio dei fratelli e di tutti i siriani. Secondo alcune fonti locali, insieme a padre Jacques sarebbe stato prelevato dai rapitori anche il diacono Boutros Hanna. Ma tale indiscrezione non è stata al momento confermata dall’arcidiocesi siro-cattolica di Homs.
Secondo le prime ricostruzioni, il rapimento è stato realizzato da uomini armati giunti in moto al Monastero di Mar Elian. I sequestratori hanno costretto padre Jacques a mettersi alla guida della propria auto e, sotto la minaccia delle armi, gli hanno imposto di dirigersi verso una destinazione sconosciuta. 
Fonti locali consultate da Fides ipotizzano che dietro il rapimento ci siano gruppi salafiti presenti nella zona, che si sono sentiti rafforzati dai recenti successi dei jihadisti di al-Nusra e dello Stato Islamico in territorio siriano.
Padre Jacques Murad è Priore del Monastero di Mar Elian e parroco della comunità di Qaryatayn, 60 chilometri a sud est di Homs. L'insediamento monastico, collocato alla periferia di Quaryatayn, rappresenta una filiazione del Monastero di Deir Mar Musa al Habashi, rifondato dal gesuita italiano p. Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico. 
Negli anni del conflitto, la città di Qaryatayn era stata più volte conquistata da miliziani anti-Assad e bombardata dall'esercito siriano. Proprio padre Jacques, insieme a un avvocato sunnita, avevano assunto la funzione di mediatori per garantire che il centro urbano di 35mila abitanti fosse risparmiato per lunghi periodi dagli scontri armati. 
Nel Monastero sono stati ospitati centinaia di rifugiati, compresi più di cento bambini sotto i dieci anni. Padre Jacques e i suoi amici hanno provveduto a trovare il necessario per la loro sopravvivenza anche ricorrendo all'aiuto di donatori musulmani. 
Bastano questi pochi cenni a far intuire quale oasi di carità rappresenti il Monastero di Mar Elian per tutto il popolo siriano, massacrato da una guerra assurda, alimentata dall'esterno. 


Vive inquiétude après l’enlèvement d’un prêtre syrien près de HOMS

.....   « Alors que je lui proposais de quitter un moment Qaryatyan avec le rapprochement du DAECH il m’a répondu « comme prêtre et pasteur je ne quitterai jamais le lieu tant qu’il y a des gens, sauf si on ne chasse » nous confie-t-il .....


Se una colonna vale più di un uomo

In queste ore l'Isis compie massacri spaventosi nelle stesse aree, ma a quegli orrori ci stiamo abituando ....  Piangiamo per le pietre, ma non muoviamo un dito per gli umani. E forse per questo rischiamo di venir sconfitti.

Il Giornale, Ven, 22/05/2015
di Gian Micalessin 

Ormai c'indigniamo per una statua ridotta in briciole, ma rimaniamo impassibili di fronte ad una, dieci, cento teste umane mozzate. Un giorno storici e antropologi lo chiameranno, forse, il paradosso di Palmira.


Ma per il momento non è una sindrome antica o esotica. È solo una tragedia orribile e crudele. Pronta a compiersi. Sotto i nostri occhi. Sempre più avvezzi all'orrore. Sempre più indifferenti. Succede ora. Adesso. Mentre leggete questo pezzo centinaia di uomini in divisa e in abiti civili sono costretti ad inginocchiarsi davanti ai boia dello Stato Islamico. Quando avrete finito di leggere il loro urlo sarà solo un gorgoglio di sangue e fiato spento.
Succede a Palmira. Succede a poco più di duecento chilometri a est di Damasco. Lì sono entrati mercoledì notte i tagliagole del Califfato. Lì il Califfato ha creato la sua nuova roccaforte pronta a congiungersi in linea retta con Ramadi in Iraq e con Raqqa più a nord. Una roccaforte da cui avanzare verso Homs per stringere in una morsa implacabile Damasco e quel che resta della Siria di Bashar Assad. Mentre i militari governativi fuggivano, mentre i responsabili di musei e siti archeologici caricavano sui camion le ultime statue loro già rapivano e massacravano.
Samaan, l'amico cristiano compagno di tanti viaggi nella disgraziata Siria in guerra, me lo racconta al telefono. «Sono andati casa per casa. Quelli dell'Isis si sono fatti guidare dai jihadisti di Palmira. Si sono fatti indicare tutti quelli che collaboravano con il governo, con l'esercito o con le milizie. Un mio amico, uno che conoscevo da tanti anni, l'hanno decapitato subito assieme a una decina di altri civili e a tanti soldati. Gli altri attendono la sentenza della Corte islamica. Ma lo sappiamo tutti, per loro non ci sarà pietà. Tra poche ore anche le loro teste rotoleranno nella sabbia».
Palmira Samaan la conosce bene. Ci ha lavorato per anni come guida turistica. Ci ha portato migliaia di turisti italiani. A Palmira ha ancora tanti, troppi amici. «Non so neanche per chi preoccuparmi. A uno hanno già tagliato la testa, lo so per certo. Un altro è prigioniero e probabilmente verrà mandato a morte. Ma gli altri dove sono? Che fine hanno fatto? Non riesco a sentirli, i telefoni hanno smesso di funzionare. Non so più nulla di loro».
È la tragedia di Palmira. Quella vera. Quella di centinaia di migliaia di esseri umani inermi di fronte alla barbarie e alla crudeltà che avanza. Uomini e donne destinati alla morte o alla schiavitù. Certo l'antica «porta del deserto», la millenaria tappa della via della seta è anche un patrimonio dell'Unesco. È anche una distesa di reperti d'inestimabile valore. Non a caso per lei si è mobilitata la direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova, assieme a decine di intellettuali e artisti occidentali.
Eppure la tragedia vera, quella per cui nessuno qui in Occidente sembra più voler piangere, è quella dei suoi civili, dei militari colpevoli soltanto di averla difesa. Il loro destino è segnato. Nelle prossime ore le loro teste verranno passate a fil di coltello dai tagliagole con le bandiere nere mentre un lugubre e roco «Allah Akbar» consacrerà l'ennesima barbarie. È già successo a Mosul con yazidi e cristiani. Sta succedendo, sempre in queste ore, a Ramadi dove le vittime sono migliaia di civili e militari sciiti. Continuerà a succedere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ovunque arriverà la legge del Califfato.
Eppure questo nuovo mattatoio ci appare ormai un dettaglio, un appendice rispetto al destino di opere d'arte e siti archeologici destinati, come già successo a Ninive, Hatra e Nimrud a subire la furia distruttrice e iconoclasta dei fanatici di Allah. Solo questo ormai c'impressiona. Piangiamo per le pietre, ma non muoviamo un dito per gli umani. E forse per questo rischiamo di venir sconfitti.

venerdì 27 febbraio 2015

«Non abbandonateci, non lasciateci soli»

Samaan Daoud: il nostro desiderio della vita è più forte della morte 


Il Sussidiario , giovedì 26 febbraio 2015

INTERVISTA a Samaan Daoud

Duecento cristiani assiri sono stati rapiti dall’Isis nel corso di raid nei villaggi nella provincia siriana di Hasakeh, mentre quasi mille di loro sono dovuti fuggire per evitare la stessa sorte. La maggior parte delle persone catturate sono donne, bambini e anziani. Le milizie curde e cristiane stanno combattendo nella zona contro i militanti dello Stato Islamico. Il rapimento dei cristiani assiri da parte dell’Isis ha provocato un vero e proprio esodo da parte di famiglie terrorizzate che hanno abbandonato le loro case. Ne abbiamo parlato con Samaan Daoud, un cristiano siriano che vive in un quartiere di Damasco a circa un chilometro e mezzo dall’area controllata dai ribelli.

Daoud, decine di villaggi cristiani sono sotto attacco da parte dell’Isis…
E’ un atto che non sorprende, perché l’Isis non fa più nessuna distinzione nel compiere i suoi atti efferati. Ha già attaccato sia i villaggi curdi sia quelli musulmani sunniti. A Nord, nell’area di Kobane sono circondati, con l’esercito che li sta spingendo nella parte est verso Aleppo. Dovevano quindi sfogarsi contro qualche minoranza pacifica, e così hanno scelto i cristiani. Nel conflitto in Siria l’anello più debole sono i cristiani, perché non credono nella violenza e non hanno scelto di armarsi.
I cristiani la stanno pagando cara, questo fa parte del nostro martirio. Noi cristiani in Siria siamo dei martiri che camminano.

E’ un martirio che riguarda la vita quotidiana di tutti i cristiani siriani?
Noi non cerchiamo il martirio, ma quanto ci sta accadendo è qualcosa che è stato progettato a tavolino. Turchia e Israele vogliono privare completamente il Medio Oriente di qualsiasi presenza cristiana. Non dimentichiamoci che nel 2004 i cristiani in Iraq erano quasi un milione e mezzo e oggi sono rimasti solo in 500mila. In Siria ora si sta ripetendo lo stesso scenario.

Qual è il ruolo della Turchia in questo progetto?
Erdogan ha un progetto neo-ottomano, e sta occupando parte del territorio siriano con la scusa che la tomba del nonno del fondatore dell’Impero Ottomano si trova in Siria, in un’area non molto lontana dal punto in cui i cristiani sono stati rapiti. Non dimentichiamoci che Erdogan è il capo dei Fratelli musulmani, e si sente il nuovo sultano ottomano. Il suo obiettivo è riconquistare il territorio dell’antico impero, anche se si dovrà scontrare con il fatto che i siriani non accettano di buon grado la presenza dei turchi nel nostro Paese.

Qual è invece il ruolo di Israele?
Ritengo che non sia un caso che Israele abbia stabilito dei collegamenti costanti con la zona del nord dell’Iraq e del Kurdistan. In quest’area hanno comprato dei terreni molto vasti e c’è una grande comunità ebraica che sta crescendo. Israele mira a espandersi dal fiume Eufrate fino al Nilo. Non dimentichiamoci che l’Isis è sempre più presente nella stessa area, dal Sinai fino a Mosul, e in questo modo favorisce molto il progetto sionista che mira a impadronirsi di risorse come il petrolio e a indebolire politicamente quest’area.

Com’è la vita quotidiana di un cristiano a Damasco?
Un’ora prima che lei mi chiamasse sono uscito per fare la spesa, per strada ho sentito un colpo e un mortaio è caduto accanto a me. Il mio quartiere si affaccia sulla zona controllata dai gruppi ribelli, a circa un chilometro e mezzo di distanza, e siamo abituati a convivere con questi colpi di mortaio e con il lancio di missili Katiuscia. Ormai fanno parte della vita quotidiana. Uno esce di casa già consapevole che può arrivare un colpo di mortaio quando meno se lo aspetta. Nonostante tutto ciò noi viviamo con una grande gioia: le chiese sono affollate di gente, gli oratori sono una realtà viva e piena di giovani.
Il desiderio della vita è più forte di qualsiasi volontà di morte e di qualsiasi disperazione.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/2/26/CRISTIANI-RAPITI-DALL-ISIS-Douad-il-nostro-desiderio-della-vita-e-piu-forte-della-morte/585810/


Centinaia di cristiani catturati dallo 'Stato Islamico' ...

Radio Vaticana . France

Mgr Jacques Behnan Hindo, l’évêque syro-catholique d’Hassaké. Il revient sur le contexte de cet enlèvement et dénonce quelques faits dérangeants.

Que savez-vous de cette attaque de l'Etat islamique dans la région d'Hassaké ?
Daesh, qui est aux alentours d’Hassaké, à l’Est de la rivière Khabur, tient la montagne d’Abd al-Aziz. Ils ont commencé par le premier village, Chamiram, puis ils ont pris onze villages sur la rive Ouest du Khabur, de Chamiram jusqu'à Tel Hermoz. Nous savons qu’à Chamiram, ils ont encerclé à peu près une trentaine de familles. Un autre petit village, Tal Jazeera, a aussi été encerclé. Il y a une trentaine de familles qui ont été déportées vers la montagne. Ils ont pris à peu près tous les villages. Les gens ont fui. Ils ont brûlé l’église de Tel Hermoz. Hier (lundi), nous avons eu toute la journée les gens qui venaient, à bord d'un tracteur ou de tout ce qu’ils trouvaient comme véhicule de fortune. Nous avons à peu près une centaine de personnes qui sont arrivées hier midi ainsi que toute la journée. Il y en a autant qui se sont réfugiées dans les villages vers l’Est. À Hassaké elle-même, les gens sont reçus et ils ont été logés, dans les églises ou dans les maisons. Les choses vont un peu mieux. Seulement, il y a cette peur, cette crainte.

Les gens que vous avez vu fuir vous ont-ils raconté comment cela s’est passé ? Pourquoi est-ce qu’ils ont enlevé ces chrétiens ? Est-ce que ce sont tous des chrétiens ? Est-ce qu’ils demandent quelque chose ?
Nous savons que tous les villages occupés maintenant sont des villages assyriens. Donc ils sont tous chrétiens. Ils avaient déjà émigré. Pourquoi ? Apparemment parce que de temps en temps les djihadistes venaient faire des incursions, demandant qu’on enlève les croix et ainsi de suite. Mais cette fois-ci, ils ont décidé de mettre la main sur ces villages-là et peut-être, peut-être, attaquer Hassaké. En septembre, j’avais écrit une lettre à sa Sainteté, à Obama, à Rohani en Iran, à Poutine et au président de Chine, leur demandant d’intervenir pour combattre les terroristes en Syrie. J’avais même lancé un SOS avant Noël parce que Daesh commençait à perdre un petit peu de terrain en Irak. Aujourd'hui, ils viennent s’installer dans la Mésopotamie syrienne. Maintenant, ils sont aussi en train de perdre le nord d’Alep. Ils sont en train de s’installer dans notre région. Dans cette région, il y a maintenant un nombre énorme de « Daeshiens ». Daesh est au Nord, à peu près à 7 km d’Hassaké, 5-7 km de Kahtanieh et des autres villes le long de la frontière turque. Cela pose un sérieux problème parce qu’ils peuvent attaquer en grand nombre. Nous, les chrétiens, les Kurdes et les Arabes, nous sommes à peu près un million et demi de personnes. En plus, il y a 300.000 réfugiés des zones de Raqqa et autres, qui sont maintenant dans la région d’Hassaké, Kameshli et ailleurs. On n’aura pas de refuge. Comme on sait que Daesh a une dent contre les Kurdes, tous les Kurdes sont massacrés. Elle a une dent contre les chrétiens sauf que les chrétiens ont trois alternatives : devenir musulman, payer la dîme ou bien, partir. Mais où ? La situation commence vraiment à être très dangereuse.

Vous êtes évêque à Hassaké. Combien de chrétiens reste-t-il ? Quelle est la situation au quotidien sachant que la menace djihadiste se fait de plus en plus pressante ?
Nous étions trois évêques. L’évêque syriaque orthodoxe est aujourd’hui en Europe depuis six, sept mois. Nous restons donc deux évêques : moi-même, syrien catholique et l’évêque assyrien. C’est sa communauté qui trinque, c’est cette communauté qui souffre. Nous souffrons tous avec elle. Nous devons être à peu près 120.000-130.000 habitants chrétiens dans la région, éparpillés un peu partout. La majorité est à Hassaké et à Kameshli. Il y en a pas mal qui ont émigré. Depuis quatre ans que la guerre dure, il y a à peu près 20-25% qui ont émigré. On ne peut vraiment pas avoir un chiffre exact parce que tous les jours, il y a des familles qui émigrent. La seule voie, c’est par avion, de Kameshli à Damas pour pouvoir partir ailleurs. Et même pour tout, il faut aller à Kameshli : pour prendre l’avion et sortir de ce blocus que nous avons tout autour de nous. Au Nord, la Turquie a tout fermé, absolument tout fermé. Elle laisse seulement passer les camions, les « Daeshiens », les troupes de Daesh, le pétrole volé à la Syrie, le blé, le coton. Tout cela peut passer la frontière mais personne ne peut passer.

Quel est l’état d’esprit des chrétiens qui restent, de cette communauté dont vous êtes le pasteur ?
Tout le monde est très mal à l’aise. Depuis Noël, on était beaucoup plus tranquilles. Daesh était à 17 km, ils n’avançaient pas. Tout allait bien dans la ville parce que c’était calme. Mais depuis hier, on sent que Daesh peut à tout moment franchir facilement ces 17 km. À chaque fois que nous avons un problème, le nombre d’émigrés augmente. Maintenant, par exemple, quand cela sera fini - je l’espère d’ici demain, parce que les Kurdes se renforcent pour aller les combattre - vous verrez après cela les avions qui seront remplis de chrétiens, de Kurdes. Tout le monde fuit. Les gens ont peur, c’est absolument normal. Surtout que Daesh a une tactique, une stratégie : elle envoie la peur, la terreur devant elle. Les gens fuient cette terreur. D’ailleurs, ce qui m’exaspère, c’est quand je vois les télévisions en Occident qui ne font que diffuser des égorgements et toutes les exécutions possibles. Ils les diffusent toute la journée. Nous aussi, on les voit et puis, tout le monde a peur. Chacun dit : « je ne veux pas être égorgé, je ne veux pas être brûlé vif ».



Ain Dara (Aleppo) come Mosul?

Vous êtes donc encerclés, sous pression islamiste. Est-ce qu’il y a quand même une quelconque aide humanitaire qui arrive à vous parvenir ?
Il y a une chose que je voudrais dire : la Croix Rouge aide, fournit de l’argent au Croissant Rouge. Or, le Croissant Rouge ne donne absolument rien aux chrétiens. Hier, il y a eu le Croissant Rouge, UNHCR, etc, qui se sont baladés devant les télévisions, qui ont parlé comme s’ils avaient aidé les gens. Or, ils n’ont distribué, même pas une livre syrienne. Jusqu’à maintenant, le Croissant Rouge n’a rien donné aux chrétiens, et ce depuis quatre ans (ndlr : le début de la guerre). Je l’ai dit sur une grande chaîne arabe et là, je vous le dis aussi. Il faut que la Croix Rouge le sache. Il faut qu’il le sache. Ici, les responsables sont tous des Frères musulmans ou apparentés. Je le dis à voix haute parce que cela m’exaspère et me révolte.

Alors de qui provient l’aide que vous recevez ?
Par exemple, de l’Œuvre d’Orient, du Vatican, de la Congrégation orientale. Sinon, la Croix Rouge ne donne rien puisqu’elle donne tout au Croissant Rouge et le Croissant Rouge, ici, ne distribue même pas un milliardième de ce qu’il reçoit, rien aux chrétiens.

Que se passe-t-il par exemple, lors d’une grande distribution, si une personne s’avance et dit qu’elle est chrétienne ?
À chaque fois qu’un chrétien se présente chez eux, ils disent « rien ». Tandis que nous, à l’Église, Caritas, etc, nous donnons aux chrétiens, aux musulmans, à tout le monde. Eux ne donnent rien. 
http://fr.radiovaticana.va/news/2015/02/24/syrie__des_dizaines_de_chr%C3%A9tiens_captur%C3%A9s_par_letat_islamique/1125449

domenica 1 febbraio 2015

“AIUTATECI A RIMANERE A CASA NOSTRA”

WP: in Siria una guerra con combattenti di 80 nazioni

Testimonianza di Samaan Daoud, cristiano di Damasco:


Il Nuovo Giornale di Piacenza,
23 gennaio 2015

"Immaginate la Chiesa senza le sue radici. Senza San Paolo, che è diventato cristiano sulla via di Damasco. Senza Sant’Ignazio. Senza i Padri del deserto. Senza i monaci della Siria. Fra cinquant’anni potreste fare dei viaggi a Damasco e dire: qui una volta c’era la chiesa di Sant’Anania e una comunità cristiana molto forte. Pensare questo è per noi una grossa angoscia. Allora aiutateci a rimanere a casa nostra.
Non accusateci di essere pro Assad o pro governo. Noi siamo pro Siria. Se Assad se ne va, il vuoto da chi sarà riempito? Dai fondamentalisti. Lo abbiamo già visto in Libia, in Iraq, in Egitto, anche se qui per fortuna si sono svegliati”.

Samaan Daoud, cristiano di rito siro-cattolico, fino al 2011 a Damasco faceva la guida ai pellegrini. Classe 1970, sposato e padre di due figli di 16 e 12 anni, da ragazzo si è messo a studiare l’italiano perché innamorato del nostro Paese. Per due anni ha anche vissuto a Valdocco, paese natale di San Giovanni Bosco. Con lo scoppio della guerra, ha dovuto reinventarsi il lavoro. Rientra in quel 50% di siriani che ancora riesce a portare a casa uno stipendio. La guida adesso la fa ai giornalisti occidentali “che vogliono vedere cosa succede davvero”.
Collabora con i salesiani nella traduzione in arabo dei libri di don Bosco – “ne ho fatti sei, l’ultimo, le «Memorie dell’Oratorio », è in stampa” – e ha aperto a Damasco un ufficio della ong “Avsi”, che porta avanti progetti sanitari ed educativi. Nella serata del 16 gennaio – a poche ore dalla notizia della liberazione delle due cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e mentre in piazza Cavalli si radunava il corteo contro il terrorismo – è stato ospite a Piacenza di un incontro organizzato dall’Ordine della Santa Croce di Gerusalemme all’oratorio della Santissima Trinità. Un’amicizia nata negli anni dei pellegrinaggi in Siria guidati da mons. Riccardo Alessandrini e mai interrotta ...

Sei moderato se hai un kalashnikov?

— Dopo l’attentato di Parigi milioni di persone sono scese in piazza, in tutta Europa. Perché una mobilitazione simile non si è vista per le vittime del fondamentalismo in Medio Oriente e in Africa? È solo una questione di cattiva informazione?
La nostra sofferenza è cominciata nel 2011 e nessuno ha detto «Io sono i 200mila civili siriani morti» o fatto lo stesso con le 5mila donne siriane vendute al mercato. Già dall’inizio della “primavera araba” tantissimi sono stati ingannati. I capi politici dei Paesi di grande influenza, potendo controllare i media che godono di una certa credibilità, come Cnn, Bbc, Al Jazeera, El Arabia, hanno ingannato i loro e i nostri popoli. Ma le bugie hanno le gambe corte. Dopo un paio d’anni si è cominciato a capire che in Siria o Medio Oriente non è più questione di un uomo cattivo che sta ammazzando tutta la brava gente. Ci sono grossi giocatori, che prima stavano dietro le quinte e che adesso si fanno vedere: America, Russia, Iran, Arabia Saudita, Turchia..
Nel 2013, quando sono venuto in Italia – e ho parlato anche a Piacenza – dicevo: state attenti ai fondamentalisti, perché verranno pure a casa vostra. Il fanatismo non ha confini. Adesso siamo nella stessa barca: il popolo siriano, gli occidentali, i cristiani yazidi in Iraq e quelli in Nigeria.
Chi ci sta attaccando è stesso nemico. E il fanatismo attacca anche i musulmani. 

— Sta dicendo che l’Occidente ha spalleggiato i gruppi fondamentalisti e adesso se li trova davanti come nemici? 
La Francia nel 2013 l’ha detto chiaro e tondo: noi appoggiamo i cosiddetti “ribelli moderati”. La domanda che sempre faccio è: se hai un kalashnikov in mano sei moderato? L’Europa finanzia i ribelli, con milioni e milioni di euro, per far cadere il governo di Assad. Ma chi paga le conseguenze? Con le sanzioni contro la Siria, dal 2012, l’Europa è complice dello stato di miseria in cui oggi vive il Paese. Per venire qui ho dovuto attraversare una strada sotto la neve da Damasco a Beirut, in Libano, e da lì ho preso l’aereo per l’Italia. 

Uno Stato distrutto

— Isolamento totale?
Totale. Gli ospedali non riescono a procurarsi certe medicine. Gli apparecchi sanitari danneggiati sono fermi perché non ci sono pezzi di ricambio. Questa situazione alimenta il mercato nero e l’aggressività del fratello che mangia suo fratello. Far impoverire un popolo è la stessa cosa che se ci avessi lanciato delle bombe.

— Come si vive oggi in Siria?
Rispondo con alcuni numeri ufficiali: 3,8 milioni di siriani rifugiati, 7,6 milioni di sfollati, 12,1 di persone in stato di bisogno su una popolazione di circa 21 milioni, 3 milioni di case distrutte, 1200 scuole rovinate, esportazione zero.
È uno tsunami che ha colpito la Siria e purtroppo si tratta di uno tsunami provocato artificialmente. In Siria nelle loro file Isis e il fronte Al-Nusra filiale di Al Qaeda, hanno combattenti di 80 nazionalità. Il vostro Ministro dell’Interno ha detto in Parlamento che ci sono 50 italiani che sono andati a combattere in Siria? Per qualcuno non è un numero alto. Se di questi ne torna anche il 20-30%, basta poco. Quelli dell’attentato di Parigi erano tre.
Notate il loro modo di combattere: corrono con il kalashnikov in mano, sparano e si guardano attorno. È gente che per due anni ha fatto la guerra. L’Europa adesso si trova ad affrontare gente addestrata ad alto livello.

— Si torna a parlare di intervento armato in Siria.
L’America dopo l’11 settembre ha attaccato l’Afghanistan per eliminare Bin Laden. Ma quanti Bin Laden abbiamo adesso? Il terrorismo è come un albero. L’albero per crescere ha bisogno di acqua; il terrorismo per crescere ha bisogno del sangue. Più guerre fai, più ingiustizia c’è, più sangue viene versato, più il terrorismo si rafforza.
Guardiamo cosa sta succedendo: la Nigeria si sta scannando, il Sudan è tagliato in due, in Yemen c’è una guerra interna, in Iraq non esiste più uno Stato. Basta usare la motivazione del terrorismo per attaccare. Non si può portare la democrazia con i carri armati e gli aerei. 

— La strada allora qual è?
Dire ai turchi: chiudete la frontiera, così non aiutate più Isis e Al Nusrah. Ai giordani: basta fare campi di addestramento dalle vostre parti. A Israele: impegnati seriamente a non irrompere in Siria. All’Arabia Saudita: smetti di fornire soldi e armi da Al Nusrah. Al Qatar: basta fornire armi e terreno a Isis. E poi c’è l’Iran che fornisce armi al governo siriano. C’è la Russia. E l’America, la Francia… Quando i leader politici si metteranno attorno a un tavolo con grande buona volontà, si trova la soluzione.
La Siria che ha 21 milioni di abitanti e ha fatto arrivare al potere Assad è capace di far arrivare un altro siriano (e con il tono di voce sottolinea l’aggettivo “siriano”), che crede in uno Stato laico nel quale c’è rispetto per tutte le religioni. Lo ripeto: come cristiani non siamo legati ad Assad, ma siamo legati alla Siria. Se però Assad adesso se ne va, il vuoto chi lo riempie?

 Gemellaggi tra oratori 


— Questo per i politici. Ma noi gente comune, cosa possiamo fare?
Aiutate le ong.  Con “Avsi”, che lavora in modo serio, aiutiamo i siriani poveri, anche in Giordania e in Libano. Abbiamo progetti sanitari, di distribuzione del cibo, per pagare gli affitti. Le idee in testa ci sono; le realizziamo in base ai fondi che abbiamo. Dall’anno scorso con il Coordinamento nazionale per la pace in Siria e il gruppo di italo-siriani lavoriamo per creare un ponte tra i nostri Paesi.

Io ho lanciato l’idea del gemellaggio tra parrocchie e scuole. Ho avuto risposta in Italia da una scuola elementare di Lecco, che ha fatto una raccolta per comprare pecore per il villaggio di Malula, che è stato distrutto come reazione all’appello del Papa di pregare per Siria nel settembre 2103 uccidendo tre giovani cristiani che si sono rifiutati di convertirsi all’islam.
Poi un asilo ha preparato dei disegnini da portare ai bimbi di un asilo di Damasco. Mi piacerebbe allacciare dei gemellaggi tra oratori.

Ad Aleppo, la città martire cristiana, frequentano l’oratorio 600 ragazzi. A Damasco dai salesiani ci sono 400 giovani. L’ideale è garantire almeno una volta al mese un contatto via Skype: per dirsi ciao, guardarsi in faccia, vedere che non siamo tanto diversi. Anche questo spezza la solitudine. 

A mio figlio dico: “il nostro esempio è Gesù”


I radicali seminano diffidenza. È come un bicchiere rotto: per rimetterlo insieme ci vuole il balsamo della riconciliazione

“Mio figlio maggiore è nell’età che comincia a farmi domande ‘politiche’, a parlare di giusto e non giusto. Ha visto morire i suoi amici per i colpi di mortaio, ne ha visti altri lasciare la Siria. Di fronte a questi fatti sempre gli dico: il nostro esempio è Gesù Cristo”.
foto Carla Boulos
Si è incrinato qualcosa, nella società siriana che dagli anni Cinquanta ha visto convivere in modo pacifico cristiani e musulmani. “Quando metti a bagno qualcosa, viene a galla lo sporco. Così nelle guerre: cosa emerge? Il male, chi vuol arricchirsi in fretta. Stiamo vedendo questi radicali che indossano l’abito dell’islam e portano certi versetti scritti nell’interpretazione del Corano, ma un’interpretazione che poteva andare mille anni fa. Bisogna che si scriva un’interpretazione del Corano adatta alla mente dell’uomo che vive nel 2015. Non basta dire: questi non rappresentano l’islam. Non basta piangere. C’è un detto siriaco che dice: mio servo aiutati così da poter aiutarti. Se non inizi ad aiutare te stesso, non posso far nulla.

Bisogna che gli intellettuali musulmani si impegnino fortemente a dire: l’islam non è questo, ti faccio vedere il vero insegnamento, bisogna rispettare tutti nella legge sociale, ciascuno nel suo ambito religioso. Io rispetto un musulmano credente che prega e chi prega per il Signore rispetta gli altri perché Dio dice: non uccidete”.
Per Samaan e per il milione di cristiani rimasti in Siria – prima della guerra erano il 10% della popolazione, ora nemmeno il 5% – oltre che con la difficoltà quotidiana dovuta alla miseria e alla mancanza di prospettive, c’è da combattere con il veleno della diffidenza instillato dal fondamentalismo. “Quando rompi un bicchiere – usa questa metafora – puoi provare a metterlo a posto, ma i segni restano. Allora devi rimetterlo a cuocere nel forno e applicare il balsamo per farlo tornare nuovo. Questo balsamo si chiama «riconciliazione ». 
Mio figlio mi ha chiesto: ma è possibile? Cristo sulla croce ha detto: padre perdonali perché non sanno quel che fanno. Gesù pure a noi ha detto: un giorno sarete perseguitati e diranno bene quando vi ammazzano. Questo giorno lo stiamo vedendo. Però o rimani nell’odio che vuol dire nel male – o perdoni”. 

Samaan crede nell’educazione, “a partire dai genitori”. Porta l’esempio di un progetto del governo rivolto a studenti delle Elementari di varie confessioni religiose. “È andato molto bene, alla conclusione del percorso è nata un’amicizia tra un bimbo cristiano e musulmano.
Quel musulmano che non sapeva niente di cristianesimo ha visto al collo dell’amico una catena con la croce e gli chiesto cos’era. Il bimbo cristiano gliel’ha voluta regalare. Tutto contento, torna a casa e la fa vedere alla mamma. Sono bastate due parole per farlo tornare indietro e buttarla in faccia al bimbo cristiano. Per questo dico che bisogna lavorare con gli adulti. Se tu calpesti qualcosa, tuo figlio farà altrettanto”.

sabato 3 gennaio 2015

Samaan Daoud: le Festività in Siria tra paura e speranza


I cristiani in Siria si sentono abbandonati e rischiano la vita ogni giorno, tuttavia le loro poche chiese ancora attive sono piene di fedeli durante le messe

Lo ha raccontato a ZENIT Samaan Daoud, già guida turistica per italiani prima dello scoppio della guerra. Samaan è uno dei cattolici siriani che, coraggiosamente, ha scelto di rimanere nel suo paese.  

Zenit, 22 dicembre 2014

Ci può raccontare della sua attività di guida turistica in Siria?
Iniziai a fare la guida turistica con gruppi italiani nel 1994 ma purtroppo dal 12 maggio 2011 ho perso improvvisamente questo lavoro. Continuo a fare la guida ma non più turistica: nel 2012, dopo nove mesi di stop, ho cominciato a guidare i giornalisti nei campi di battaglia e nelle zone di conflitto. Ero a Maalula, quando nel settembre 2013 fu presa dai fondamentalisti Qaedisti del Fronte di Al-Nusra. Attualmente traduco anche libri dei Salesiani del Medio Oriente dall'italiano all'arabo: in totale ne ho tradotti sei.

Come è tradizione per i siriani trascorrere il Natale? Ci sono usanze particolari?
Il Natale è una festa nazionale a cui tutto il popolo partecipa: soltanto i cristiani fanno il presepe, tuttavia la maggior parte dei siriani allestisce l’albero del Natale in casa propria. Vi sono ancora cristiani che fanno il digiuno natalizio, che dura quaranta giorni e che rappresenta un’antica tradizione cristiana medio-orientale. In questo mese ci sono tanti concerti che si tengono sia nelle chiese che in grandi teatri. Le strade vengono abbellite con addobbi natalizi ma purtroppo nei ultimi tre anni, molti di questi addobbi non si vedono più, perché tante famiglie hanno perso dei loro cari e il paese è mezzo distrutto (in questi tre anni in Siria sono state distrutte 3 milioni di case).
Alla vigilia tutti i cristiani vanno in chiesa per la messa, poi nella tarda serata fanno la cena. Il giorno di Natale tutte le famiglie si incontrano dal capo famiglia ed ogni zona della Siria ha il suo piatto particolare; ad esempio, il piatto natalizio più noto a Damasco si chiama kibbeh (grano macinato fino con carne di montone): questa pasta viene riempita di carne fritta, pistacchi, cipolle e poi messa nello yogurt cotto. Nella tradizione damascena si serve un piatto bianco, sempre a base di yogurt.

Che tipo di Natale trascorreranno i cristiani in Siria? Hanno paura?
I cristiani in Siria hanno paura e vivono in uno stato di grande preoccupazione, siamo nel mirino del fanatismo e del radicalismo islamico. Siamo un obiettivo facile da colpire e abbiamo avuto molti martiri cristiani in questa assurda guerra. Quasi il 50% dei cristiani sono fuggiti dal paese, la maggior parte della comunità cristiana, che si trova ad Aleppo, è in grandissimo pericolo perche sia l’Isis che il fronte di Al-Nusra li minacciano in continuazione. I cristiani fuggono da Aleppo: ero lì un mese fa ed ho visto tanta sofferenza e tanta paura. Lo stesso discorso vale per i cristiani del Nord-Est della Siria, nella zona di Al-Qamishli, dove l’Isis circonda la zona e ha ucciso e rapito tanti cristiani, impossessandosi anche dei loro terreni.

In questa immane tragedia della guerra, si levano voci di speranza, come quella di papa Francesco che più di un anno fa, convocò una giornata di preghiera per fermare l'intervento militare internazionale che effettivamente non avvenne. Che speranze destano nei cristiani siriani la Chiesa Cattolica e il Papa?
I cristiani in Siria oltre a sentire la paura, soffrono della sindrome da abbandono. È difficile rimanere in Siria. Se non viene garantita pace, la sicurezza e la possibilità di lavorare, è impossibile chiedere ai cristiani di rimanere. Non bastano  parole ci vogliono degli atti più forti contro questo fanatismo che distrugge e minaccia la nostra esistenza… 
In Occidente taluni ci criticano perché siamo a favore del regime di Damasco, ma non hanno capito che l’opposizione al regime è più sanguinaria e disumana del regime stesso. 
Il miracolo è che, nonostante le enormi difficoltà gli sfollati e i rifugiati cristiani mantengono una forte fede in Gesù l’Emmanuele e le chiese sono piene di fedeli.

http://www.zenit.org/it/articles/il-natale-in-siria-tra-paura-e-speranza


"Il Natale sottoterra di noi cristiani. Il presepe unica gioia"

Padre, madre e due figli. A Damasco vivono con l'incubo delle bombe: "Quando esci di casa rischi la vita, il dono del Signore è un po' di sicurezza in più"

Il Giornale, 22/12/2014 , di Gian Micalessin -

«Stavamo facendo il presepe. Michael all'improvviso si è bloccato. Ci ha pensato un attimo... poi l'ha detto. “Papà perché non ci mettiamo le foto di chi non c'è più?”. Io e Riima siamo quasi scoppiati a piangere. Michael ha solo dodici anni, ma come tutti i bimbi è riuscito a ricordarci in quattro parole l'inferno a cui siamo sopravvissuti. L'inferno in cui ancora viviamo. In un attimo ci sono passati davanti questi quattro anni, con il loro carico di guerra, morte e tristezza. In un attimo abbiamo rivissuto lutti, paure e orrori».

L'amico Samaan è il solito fantasma squadrettato evocato da Skype. Riima, sua moglie, gli è accanto. Dietro nell'ombra digitale ed evanescente del piccolo appartamento giocano Philippe e Michael. Fuori, tredici gradini più su, ci sono piazza Khouri, il quartiere cristiano di Khassan, la Damasco in guerra. Quante volte abbiamo parcheggiato in fretta. Quante volte io e Samaan siamo corsi a testa bassa giù per quella scala mentre mortai e missili ribelli colpivano il quartiere cristiano di Damasco. Riima era sempre lì, oltre la porta socchiusa, oltre quei tredici gradini. A guardarci con quel misto di rimprovero e preoccupazione. A urlarci «veloci, veloci che vi fanno secchi». E nel piccolo soggiorno tra divano e televisione c'erano, come ora, gli occhioni di Philippe e Michael. Filippo ha 16 anni un piede in gesso. «No, mica per le bombe ... giocando a calcio dai salesiani», mi urla in fretta prima di tornare al presepe. «Vedi siamo ancora qui. Ancora vivi, ma ancora prigionieri di questa guerra, di questa casa. Pronti per un altro Natale in gabbia», sussurra Riima. Lei quell'appartamento nel seminterrato non l'ama proprio. Samaan l'ha affittato in fretta e furia quando le schegge spazzavano il balcone della loro grande casa di Jaramana, un quartiere diventato d'improvviso prima linea ribelle. «Non è spaziosa come quella, ma è sicura perché sta quasi sottoterra» - le ripete lui. «Ma quest'anno - s'arrabbia Riima - è pure gelida, faremo il Natale in frigorifero». Samaan scuote la testa. Sospira. «È vero abbiamo dovuto rinunciare alla stufa, ma che ci posso fare? Il diesel è scomparso. Se lo tiene tutto il Califfato. Da quando l'Isis ha conquistato gli ultimi pozzi nel nord est la situazione è drammatica. Il gasolio è introvabile. E quello venduto sottobanco ha un prezzo impossibile. Spero solo che non nevichi. Il problema dei prezzi è terribile. Chi come me faceva la guida turistica non lavora da tre anni.

A Damasco è pieno di cristiani nella mia situazione. Noi cristiani non lavoravamo per lo stato, preferivamo le attività individuali. E quindi la maggior parte di noi sopravvive con i risparmi di prima della guerra. L'altro giorno sono andato dal calzolaio. Una volta mi faceva i tacchi in dieci minuti, tra una chiacchiera e l'altra. Stavolta è scoppiato a ridere. "Butta le scarpe su quella montagna là dietro e se sei fortunato - m'ha detto - te le ridò tra dieci giorni". Mi son girato e ho capito. C'era una vera montagna di scarpe in attesa. Qui nessuno compra più niente. Tiriamo avanti tutti con quel che abbiamo. E più passa il tempo, più peggiora. I vestiti nuovi per i figli erano uno dei simboli del Natale. Quest'anno rinuncio anche a quelli. E Riima mi ha detto di scordarmi pure le castagne. L'odore delle caldarroste fatte saltare nella padella e servite prima del pranzo è il ricordo di tutti i miei Natali fin da quand'ero bimbo. Ora chi le trova più. Le poche che arrivano costano un occhio della testa. Sono un ricordo impossibile». Riima sorride. «Eppure una piccola speranza io quest'anno ce l'ho. Oggi il tuo amico Samaan mi ha portato a fare una passeggiata. Era una settimana che non mettevo il naso fuori. Ma è bastato. Per un attimo, per la prima volta dopo tre lunghi anni ho respirato l'atmosfera di Natale. No, non pensare, non quella di un tempo quando dalle cucine arrivava l'odore del kahak al minad del biscotto di Natale messo a cucinare con latte burro e cannella. Non il clima spensierato di un tempo quando le famiglie correvano da un negozio all'altro tirandosi dietro pacchi e pacchetti. No, scordatelo, tutto quello non c'era. Le famiglie camminavano e basta. Qualcuno neppure parlava. Ma era già qualcosa. Li ho guardati e, d'improvviso, ho capito. Anche Daoud e io, per la prima volta dopo tanti mesi, passeggiavamo tranquilli. Senza chiederci se saremmo tornati a casa vivi. Un mese fa non era così. Uscivi e ti facevi il segno della croce. Poteva succedere in qualsiasi momento. Una granata o un missile ti cadevano accanto, ti facevano a pezzi. Da un anno e mezzo i ribelli di Al Nousra, quelli di Al Qaida erano a due chilometri da qui. Ci tenevano sotto tiro. L'esercito adesso è riuscito a respingerli un po' più in là. E noi ora, grazie a Dio, respiriamo. L'ho letto negli occhi degli altri cristiani del quartiere. Ho capito che quel po' di sicurezza in più era il vero regalo del Signore per Natale. Per questo sono tornata a casa e ho urlato... dài facciamo il presepe».

Samaan sorride. «Dovessimo fare come dice Philippe dovremmo metterci almeno quindici foto, le foto di quelli che se ne sono andati in questi dodici mesi. Uccisi anche dalle malattie. Perché la guerra non ti uccide solo con le bombe e i proiettili. Il tumore s'è appena portato via Dahsan il fratello di Riima. Se non fosse per l'embargo, per la mancanza di medicine, per i cecchini ribelli che battono la zona di Harasta attorno all'ospedale di Berroumi sarebbe ancora qui. Berrouni è l'unico ospedale per i malati di cancro. Eppure tante volte abbiamo dovuto rinunciare alle terapie, girare l'auto, tornare a casa.... altrimenti rischiavi di morire in strada con una pallottola in testa». Riima scosta Saaman, occupa l'obbiettivo. «Abbiamo fatto il presepe, ma non l'albero. Quando sei in lutto qui in Siria non fai l'albero. L'albero è simbolo di gioia, ma se la tua vita è nera, l'albero non la può riaccendere. Qui nel quartiere ci sono tanti presepi, ma pochi alberi. George Kalash il figlio dei vicini, quelli dell'appartamento due piani sopra, è morto a marzo. Il colpo di mortaio è caduto all'entrata del palazzo. L'ha fatto a pezzi. Michael lo conosceva bene. Non è stato facile spiegarglielo. È difficile spiegare la morte a un bimbo di dodici anni. Per questo forse ha detto quella frase. Un Natale tranquillo non basterà a rimarginare tutte le ferite. Non ne possiamo più di stragi, autobombe, corpi mutilati. Non ne possiamo più del terrore che c'infliggono quei fanatici ribelli. Philippe e Michael cresceranno segnati da questi orrori. Noi già lo siamo».

Samaan annuisce. Lui nell'ultimo anno li ha vissuti tutti. «A febbraio un colpo di mortaio ha centrato lo scuola bus armeno qui alla porta orientale. Ho visto l'autista e quei quattro scolari dilaniati. Poi i colpi sono caduti davanti alla scuola di Michael. Quella mattina c'era sangue dappertutto. Ho riaccompagnato a casa Philippe e Michael e sono corso all'ospedale, cercavo la figlia di un mio amico. Al reparto lui non c'era... però sentivo le urla della figlia. Ho riconosciuto la sua voce. Gridava «papà, papà dove sono le mie gambe...». Se ci ripenso mi vengono i brividi. Ogni volta che Philippe e Michael sono in giro da soli risento quella voce. E fino a quando continuerò a sentirla non riassaporerò né la gioia della vita né quella del Natale».

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