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sabato 2 marzo 2024

I Patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme rilasciano una dichiarazione sui recenti attacchi contro la folla radunata per ricevere aiuti umanitari

 

Patriarcato Latino di Gerusalemme, 1 marzo 2024

Nelle prime ore del mattino di giovedì 29 febbraio, secondo testimonianze oculari, le forze israeliane nel sud-ovest della città di Gaza hanno aperto il fuoco su folle di civili che cercavano di ricevere sacchi di farina per sfamare le loro famiglie affamate. La carneficina che ne è seguita ha causato la morte di più di cento gazawi e altre centinaia di feriti gravi. I medici presenti sul posto e gli ospedali ricoveranti hanno riferito che la maggior parte di loro è stata uccisa o ferita da colpi di arma da fuoco, mentre alcuni sono stati vittime dopo essere stati calpestati dalla folla in preda al panico o colpiti dai camion dei soccorsi che fuggivano dalla orribile scena. 

Sebbene i portavoce del governo abbiano inizialmente cercato di negare il coinvolgimento dei soldati in questo incidente, il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano non solo ha elogiato i combattenti dell'IDF per aver agito in modo "eccellente", ma ha anche tentato di incolpare le vittime della loro stessa fine, accusandole di aver cercato di fare del male a soldati pesantemente armati. Ha poi attaccato la consegna di aiuti umanitari a Gaza, sostenendo che dovrebbe cessare. 

Questo desiderio dichiarato è già diventato una dura realtà per il mezzo milione di persone rimaste a Gaza Città, dove le consegne di aiuti si sono quasi fermate a causa delle pesanti restrizioni all'ingresso e della mancanza di scorta di sicurezza per i convogli.

I funzionari umanitari hanno avvertito così spesso della carestia indotta dall'assedio nel nord di Gaza che i governi stranieri di buona volontà sono stati costretti come ultima risorsa a condurre lanci aerei umanitari. Tuttavia, questi offrono solo una minima parte del soccorso necessario per una popolazione civile residua superiore a quella di Tel Aviv, la seconda più grande città di Israele. 

All'indomani degli orribili eventi di ieri e del loro crudele contesto, Noi, i Patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme, condanniamo questo attacco sconsiderato contro civili innocenti e chiediamo che le parti in guerra raggiungano un cessate il fuoco immediato e prolungato che consenta la rapida distribuzione dei soccorsi in tutta la Striscia di Gaza e l'attuazione di un rilascio negoziato di coloro che sono detenuti come prigionieri e prigioniere. 

Nell'esprimere queste suppliche a nome di tutti gli innocenti che soffrono a causa della guerra, noi trasmettiamo le nostre speciali preghiere di sostegno alle comunità cristiane di Gaza sotto la nostra cura pastorale. Tra queste, gli oltre 800 cristiani che si sono rifugiati nelle chiese di San Porfirio e della Sacra Famiglia a Gaza City da quasi cinque mesi. Allo stesso modo estendiamo le stesse espressioni di solidarietà all'intrepido personale e ai volontari dell'Ospedale Ahli, gestito dagli anglicani, e ai pazienti che servono. 

Nel lanciare questo appello, la nostra speranza finale è che la fine delle ostilità, il rilascio dei prigionieri e la cura degli oppressi aprano un orizzonte per serie discussioni diplomatiche che portino finalmente a una soluzione giusta e duratura qui nella terra in cui nostro Signore Gesù Cristo ha preso per primo la sua croce in nostro favore. Possa Dio concedere a tutti noi la sua grazia mentre cerchiamo di realizzare questa visione pasquale piena di speranza.

I Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme

https://lpj.org/en/news/hoc-statement-on-the-recent-attack-on-crowds-gathering-to-receive

venerdì 8 maggio 2020

Terra Santa: i capi delle Chiese preoccupati per il piano di Israele di annettere la terra della Cisgiordania


Dichiarazione dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Terra Santa 
su Progetti di annessione unilaterale israeliani
(7 maggio 2020)
La paralisi del processo di pace in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi ha portato a un'intera serie di iniziative unilaterali per annettere terre in Cisgiordania da parte di Israele. Questi progetti, supportati principalmente da fazioni di destra, sollevano interrogativi estremamente seri sulla fattibilità di qualsiasi accordo di pace per porre fine a questo conflitto decennale che continua a rivendicare la vita di molte persone innocenti. come parte di un circolo vizioso di tragedia e ingiustizia umane.
Il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese di Terra Santa considera questi progetti di annessione con grande preoccupazione e invita lo Stato di Israele ad astenersi da tali azioni unilaterali che porterebbero alla perdita di ogni speranza di successo in il processo di pace.
Il Consiglio invita inoltre gli Stati Uniti d'America, la Federazione russa, l'Unione europea e le Nazioni Unite a rispondere a questi piani unilaterali di annessione con un'iniziativa di pace a tempo determinato e graduale, conformemente al diritto internazionale e alle risoluzioni delle Nazioni Unite sulla questione, al fine di garantire una pace globale, giusta e duratura in quella parte del mondo considerata santa dalle tre religioni abramitiche.
Chiediamo inoltre all'Organizzazione per la liberazione della Palestina, in quanto unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, di risolvere le controversie interne - nonché eventuali conflitti con altre fazioni non sotto il loro controllo - al fine di presentare un fronte unito dedicato al raggiungimento della pace e alla costruzione di uno Stato praticabile basato sul pluralismo e sui valori democratici.

+ Patriarca Teofilo III, Patriarcato greco ortodosso
+ Patriarca Nourhan Manougian, Patriarcato apostolico armeno ortodosso
+ Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico, Patriarcato latino
+ P. Francesco Patton, ofm, Custode di Terra Santa
+ Arcivescovo Anba Antonious, Patriarcato copto ortodosso, Gerusalemme
+ Vicario Generale Padre Gabriel Daho, Patriarcato Siro Ortodosso 
+ Arcivescovo Aba Embakob, Patriarcato ortodosso etiope
+ Arcivescovo Yaser AL-Ayash, Patriarcato greco-cattolico melchita
+ Arcivescovo Mosa El-Hage, Esarcato patriarcale maronita
+ Arcivescovo Suheil Dawani, Chiesa episcopale di Gerusalemme e Medio Oriente
+ Mons. Ibrahim Sani Azar, Chiesa evangelica luterana di Giordania e Terra Santa
+ Padre Ephram Samaan, Esarcato Patriarcale Siro cattolico 
+ Reverendo Joseph Nersès Zabarian, Esarcato patriarcale armeno cattolico 

domenica 26 gennaio 2020

Riunione del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente: Gerusalemme Est sia “la Capitale dello Stato palestinese indipendente”


Riunione del comitato esecutivo del MECC - Cipro, 21-22 gennaio 2020 - Dichiarazione finale
Nel corso di due giorni (21-22 gennaio 2020), il Comitato Esecutivo si è riunito regolarmente a Larnaca - Cipro. L'incontro è stato generosamente ospitato da Sua Beatitudine Chrysostomos II°, Arcivescovo di Nova Justiniana e Tutta Cipro della Chiesa greco-ortodossa di Cipro. I membri del Comitato Esecutivo che hanno partecipato alla riunione provenivano da Cipro, Egitto, Siria, Libano, Iraq, Giordania e Palestina.
L'incontro è stato presieduto da Sua Beatitudine Youhanna X°, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente per il Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e presidente del Consiglio per la Comunità Greco-Ortodossa, da Sua Santità Mor Ignazio Aphrem II°, Patriarca di Antiochia e tutto l' Oriente e Capo supremo della Chiesa Ortodossa Siriaca Universale che è presidente del Consiglio per la Famiglia Ortodossa Orientale, da Sua Beatitudine Mar Louis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia per i Caldei e presidente del Consiglio per la Comunità Cattolica, e da Right Rev Dr. Habib Badr , Presidente dell'Unione Evangelica Nazionale del Libano e presidente del Consiglio per la Famiglia Evangelica.
Questo incontro si tiene nel mezzo di un periodo pieno di eventi dolorosi e sofferenze che affliggono i nostri paesi del Medio Oriente. I membri del Comitato Esecutivo sono pienamente consapevoli della sofferenza, delle afflizioni e delle sfide che devono affrontare le genti e le Chiese della regione. Hanno contemplato l'affetto divino di Nostro Signore Gesù Cristo e il suo impareggiabile amore per l'umanità. Invitano i credenti cristiani in Medio Oriente a conservare la loro Fede e Speranza e a credere che Dio è in mezzo a noi, ci sostiene e ci coinvolge nella Sua vita divina. Esortano anche le Chiese membri del Consiglio ad essere pienamente presenti accanto a tutti i rifugiati e gli sfollati che soffrono dopo aver perso la famiglia, gli amici o le proprietà a causa della violenza e della guerra, in modo che le Chiese rimangano un'icona della tenerezza e prossimità del Signore.
Dopo la preghiera di apertura, l'ordine del giorno è stato approvato e sono stati adottati i verbali della riunione del Comitato esecutivo tenutasi presso il Patriarcato siriano ortodosso di Antiochia (Atchaneh - Bickfaya - Libano / 22-23 gennaio 2019) . Le discussioni del primo giorno hanno affrontato molti argomenti come il rinnovamento spirituale, le sfide ecumeniche, geopolitiche e il dialogo interreligioso, nonché lo sviluppo istituzionale del MECC e il suo potenziamento dopo la crisi che ha attraversato. Ciò porterà allo sviluppo del suo orientamento strategico in preparazione della 12ª Assemblea Generale. Il secondo giorno, i partecipanti hanno discusso della relazione della dott.ssa Souraya Bechealany, il segretario generale, che include i risultati del Consiglio nel 2019 e le sue prospettive future. Hanno anche esaminato le relazioni annuali dei dipartimenti e la relazione finanziaria.
Sulla base delle discussioni, incentrate principalmente sulle sfide affrontate dai Cristiani in Medio Oriente e dai loro partner in materia di cittadinanza, il Comitato esecutivo ha sottolineato le seguenti linee guida:
1- Promuovere la cooperazione ecumenica tra le Chiese del Medio Oriente a livello teologico, dei servizi sociali e dei media per confermare la loro scelta di unità nella testimonianza di Gesù Cristo risorto.
2- Pregare perchè si possa conoscere la sorte delle loro Eminenze l'arcivescovo Boulous Yazigi e l'arcivescovo Youhanna Ibrahim che sono stati rapiti nell'aprile 2013 e richiesta alla coscienza internazionale di lavorare per il loro ritorno sicuro e di consentire loro di continuare la loro missione che si concentra sulla costruzione della pace e dignità umana.
3- L'escalation della tensione in Medio Oriente e nel mondo arabo richiede preghiera e lavoro per la pace e nuove iniziative per contrastare le ondate di estremismo al fine di preservare la pace nella società, proteggere la dignità umana e spianare la strada a saggi dialoghi e alla risoluzione dei conflitti respingendo la violenza e la guerra.
4- Il movimento popolare a cui si sta assistendo in Iraq chiede un contributo attivo per ottenere giustizia sociale, integrità economica, buon governo, sovranità nazionale e rafforzare i principi di responsabilità e lotta alla corruzione attraverso un sistema giudiziario equo.
5- L'esacerbazione della sofferenza del popolo siriano richiede immensi sforzi in tutti i settori per l'eliminazione dell'embargo, promuovere il percorso di costruzione della pace, il ripristino della sicurezza e lavorare con forza per garantire le condizioni appropriate che consentano il ritorno nella loro terra dei rifugiati e degli sfollati.
6- Riconoscere gli sforzi del Regno Hascemita di Giordania a cui è stata affidata la protezione dei siti sacri cristiani e musulmani nella città santa di Gerusalemme, nonché il rafforzamento della presenza cristiana in collaborazione con le Chiese. Oltre a ciò, ha lavorato per la promozione del dialogo cristiano-musulmano e per vivere insieme nella cittadinanza.
7- I partecipanti pregano per il Libano che sta assistendo a proteste di massa condotte dal popolo libanese che chiede una vita dignitosa e una buona gestione delle loro risorse comuni; così che il Libano, il "Messaggio", riacquista il suo ruolo culturale come modello di pluralismo per il bene comune e come esempio di libertà responsabile.
8- Sostenere tutti gli sforzi per ripristinare l'unità di Cipro al fine di unificare il popolo cipriota, promuovere la pace regionale e internazionale e porre fine all'occupazione che ha causato la divisione dell'isola.
9- Sostenere continuamente le Chiese in Palestina e riconoscere la resilienza delle persone nonostante la loro sofferenza di fronte all'occupazione, alla segregazione e alla colonizzazione. Chiedere il rispetto della libertà di religione per tutti i Palestinesi, compresi Cristiani e Musulmani, e il rispetto dello status quo legale e storico riguardo al fatto che Gerusalemme Est è la capitale di un vivibile Stato Palestinese Indipendente.
10 -Il popolo Egiziano ha sempre aspirato a consolidare il principio di cittadinanza, libero dall'estremismo e dall'isolamento. Sta impegnandosi insieme per promuovere la convivenza, il che ci porta a confermare che sono collettivamente consapevoli delle conseguenze positive che vengono a crearsi nel loro Paese.
11 - Il fatto che i popoli nella regione chiedano una cittadinanza completa basata sulla parità di diritti e doveri e sulla diversità, richiede una revisione dei sistemi e delle leggi. Ciò dimostra la necessità urgente di formulare un percorso che sottolinei la comprensione dell'unità nella diversità, considerando che la diversità è ricchezza, lontano dalle esortazioni settarie e di fazione e da tutte le forme di intolleranza.
12 - La povertà e l'emarginazione di cui soffrono alcune classi della società nella regione chiamano tutti gli stati e le istituzioni ecclesiali a progettare politiche di sviluppo sostenibili che garantiscano una vita dignitosa per ogni essere umano e che contribuiscano alla giustizia sociale e alla prosperità economica.
13 - Il MECC invita i cristiani in questo benedetto Medio Oriente a restare nelle loro terre con fede e speranza, costituendo esse la loro eredità e la loro identità, e a rafforzare il loro ruolo nel consolidamento della convivenza, del rispetto reciproco e della solidarietà sociale.
14 - L'attuale crisi dei rifugiati e degli sfollati richiede intensi sforzi da parte della comunità internazionale, in particolare delle Nazioni Unite e delle organizzazioni religiose, per facilitare il ritorno di questi rifugiati e sfollati nei loro paesi di origine, offrendo loro una dignità e proteggendo la loro identità e civiltà. Questa situazione richiede anche il costante sostegno alle comunità ospitanti e la garanzia di componenti di resilienza, nonché la protezione dei rifugiati e degli sfollati fino al loro sicuro ritorno.
15 - Garantire un coordinamento e una comunicazione attivi in preparazione dell'Assemblea generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente che si terrà tra il 16 e il 19 settembre 2020 in Libano. Si intitolerà “Coraggio , sono Io; non temere”. (Matteo 14:27) e sarà generosamente ospitato dal Sua Beatitudine il cardinale Mar Bechara Boutros Al-Rai, Patriarca maronita di Antiochia e di tutto l'Oriente - a Bkerki.
In conclusione, i membri del Comitato Esecutivo del MECC ringraziano Sua Beatitudine Chrysostomos II° e la Chiesa greco-ortodossa di Cipro per aver ospitato generosamente questo incontro e ringraziano Nostro Signore Gesù Cristo, che raccoglie la sua Chiesa attraverso il suo amore. I membri del Comitato Esecutivo del MECC sono fiduciosi che le Chiese del Medio Oriente non sono state e non saranno mai sole nella loro testimonianza, rinnovando la loro fede nella promessa di Dio: "Io sono sempre con te, fino alla fine dei tempi". (Matteo 28:20). Riteniamo inoltre che il cammino verso la XIIª Assemblea Generale rappresenterà la comune testimonianza delle Chiese e farà luce da una prospettiva realistica e profetica sul ruolo dei cristiani nel Medio Oriente sofferente, in particolare nella lotta per la dignità umana. Ciò richiede la solidarietà dei leader e una solida cooperazione per garantire un futuro luminoso degno per questo Medio Oriente e il suo valore, in cui la diversità è un modello di convivenza.
 (Trad Gb. P. OraproSiria) 
https://www.mecc.org/mecc/mecc-excom-meeting-larnaca

lunedì 6 agosto 2018

Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente: I cristiani d’Oriente oggi, timori e speranze (Testo completo)

«In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati» (2Cor 4,8). È il titolo dell’undicesima lettera pastorale del Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente (CPCO), pubblicata il 20 maggio 2018, elaborata durante la riunione tenutasi dal 9 all’11 agosto 2017 nei pressi di Beirut, in Libano. In quell’occasione i patriarchi cattolici d’Oriente hanno riflettuto sulla situazione umana, sociale e politica dei paesi del Medio Oriente, poiché «nessun paese arabo conosce la pace o la stabilità» a causa di guerre, terrorismo, povertà, emigrazione dei cristiani. 

La lettera si rivolge ai fedeli delle Chiese cattoliche d’Oriente, ma anche ai concittadini delle altre religioni, ai governanti e ai leader occidentali


dal sito del Patriarcato latino di Gerusalemme 


Introduzione
Ai nostri fratelli vescovi, preti, diaconi, religiosi e religiose e a tutti i nostri diletti fedeli, in tutte le nostre eparchie, in Oriente e nei paesi di emigrazione, «grazie a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!» (1Cor 1,3).

1. Vi scriviamo questa lettera nella festa di Pentecoste, dopo aver celebrato la Pasqua gloriosa di nostro Signore Gesù Cristo e la sua vittoria sulla morte e sul male. Abbiamo bisogno, infatti, di contemplare Cristo risorto e di chiedere allo Spirito Santo di colmarci della sua forza e di rinnovare la nostra fede, in questo tempo nel quale ci vediamo sommersi dal male della guerra e della morte in tutta la regione.
 In molti dei nostri paesi vediamo morte e distruzione, a causa di una politica mondiale, economica e strategica, mirante a creare un «nuovo Medio Oriente».
Tutti, cristiani e musulmani, veniamo uccisi o costretti a emigrare, in Iraq, Siria, Palestina e Libia. Nessun paese arabo conosce la pace o la stabilità.
 Oggi molti parlano della nostra estinzione o della riduzione drammatica del numero dei nostri fedeli. Noi continuiamo a credere in Dio, Signore della storia, che veglia su di noi e sulla sua Chiesa in Oriente. Continuiamo a credere nel Cristo risorto e nella sua vittoria sul male. In Oriente resteranno sempre dei cristiani che proclameranno il Vangelo di Gesù Cristo, testimoni della sua risurrezione, anche se rimarremo solo un piccolo gruppo. Resteremo «sale, luce e lievito» (cf. Mt 5,13.14; 13,33), come ci ha detto il Signore Gesù Cristo, il quale ci aveva anche preannunciato: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio; io ho vinto il mondo!… Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 16,33; 14,27).

2. Fratelli e sorelle, vi inviamo questa lettera, dopo il nostro incontro annuale alla residenza patriarcale di Dimane (Libano), dal 9 all’11 agosto 2017, dove siamo stati ospiti del nostro fratello, il patriarca card. Bechara Boutros Raï. La indirizziamo a voi, nostri fedeli, ai nostri paesi, a tutti i nostri concittadini cristiani, musulmani e drusi, ai nostri governi e anche ai responsabili politici in Occidente, che hanno deciso di creare un nuovo Medio Oriente e pensano di avere il diritto di decidere dei nostri destini, grazie alle loro potenze materiali o militari.
  In questa lettera rivolgiamo tre messaggi: il primo ai nostri fedeli; il secondo ai nostri concittadini e ai governanti dei nostri paesi; il terzo a coloro che in Occidente decidono della politica del Medio Oriente e a Israele

Capitolo 1: Messaggio ai nostri fedeli

Tempi difficili
3. Sappiamo che è difficile rivolgere una parola ai nostri fedeli che hanno subito molteplici prove, hanno pianto la morte dei loro cari e vicini o sono stati dispersi nel mondo. Davanti a tanta sofferenza, la parola più eloquente è il silenzio. Silenzio anche davanti al mistero di Dio e del suo amore per tutte le sue creature, un mistero che noi non riusciamo a comprendere, con tutto il male che ci invade.
Silenzio e rispetto di fronte alle prove subite dai nostri fedeli; insieme a loro facciamo nostro il grido del salmista: «Fino a quando, Signore?». «Signore, Dio, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato» (Sal 6,4; 80,15-16a).
Silenzio, preghiera, e abbandono e sottomissione alla volontà di Dio. Ringraziamo al tempo stesso Dio per ogni cosa, per la sua Provvidenza che veglia sulla Chiesa d’Oriente, su ogni persona che è in mezzo a noi e sul mondo intero.
  Circondati dal sangue e dalla distruzione, dispersi nel mondo, noi meditiamo le parole di Cristo, il quale ci ha preannunciato difficoltà e persecuzioni: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio» (Gv 16,2). E ancora: «… e sarete condotti davanti a governatori e re, per causa mia» (Mt 10,18). Ma ci ha detto anche che lo Spirito sarà con noi: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12).
Questa è la nostra situazione, come quella del salmista che afferma: «Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello» (Sal 44,23; cf. anche Rm 8,36) e come quella di Paolo, che scrive: «Ogni giorno io vado incontro alla morte» (1Cor 15,31). Ma l’apostolo ci rivolge anche una parola di incoraggiamento: «In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati» (2Cor 4,8). Ispirati da queste parole della Scrittura, noi definiamo i nostri comportamenti umani, nelle nostre Chiese e nei nostri paesi. E in mezzo alle difficoltà, sempre con il salmista, rinnoviamo la nostra fede: «Ho creduto anche quando dicevo: sono troppo infelice» (Sal 116,10).
Noi crediamo, pur sapendo che è difficile credere mentre siamo sommersi dalle tenebre e dalle ingiustizie di questo mondo.
  Vediamo la terra piena di miserie. Vediamo la crudeltà degli uomini, gli uni verso gli altri e verso di noi. Sperimentiamo un tempo di morte e di martirio. Davanti a tutto questo, noi guardiamo la bontà di Dio, gli chiediamo la forza e la capacità di accogliere la sua grazia. Gli chiediamo di accompagnarci nell’ora del martirio quando giungerà. Gli chiediamo di accompagnarci, se restiamo nelle nostre case, se le nostre Chiese sono distrutte e se siamo dispersi nel mondo. Gli chiediamo la forza di restare saldi nella nostra fede e nella nostra fiducia nella sua bontà. Nonostante la morte che ci minaccia, noi crediamo che Dio non cessi d’inviarci nei nostri paesi o nel mondo portando dentro di noi una briciola della sua bontà divina, della sua forza e del suo amore per tutto il mondo.

Emigrazione
4. In alcuni dei nostri paesi assistiamo all’emigrazione forzata di nostri fedeli a causa delle prove disumane che hanno conosciuto. Ringraziamo i paesi, le Chiese, le organizzazioni assistenziali internazionali che hanno accolto i nostri fedeli e hanno offerto loro l’aiuto necessario per assicurare loro una vita umana degna. Ma ripetiamo a tutti, soprattutto ai politici, che il miglior aiuto da dare ai nostri fedeli è quello di permettere loro di restare a casa loro, nei loro paesi, di non suscitare disordini politici e le varie forme di violenza che li costringono a emigrare.
  C’è anche un’emigrazione di cristiani in altri paesi, nei quali la situazione è relativamente tranquilla, ma che ugualmente risentono del clima di guerra e d’instabilità politica generale nella regione. Noi ripetiamo a tutti i nostri fedeli l’importanza della presenza cristiana in Oriente e della presenza di ognuno e ognuna di voi nei vostri paesi dove Dio vi ha chiamati e vi ha inviati. In tempi difficili, i vostri paesi e le vostre Chiese hanno bisogno di voi. Vi diciamo di resistere per quanto potete alla tentazione dell’emigrazione e di continuare a vivere la vostra missione nei vostri paesi e nelle vostre Chiese. L’avvenire delle nostre Chiese e della presenza cristiana in generale nella regione dipende anche dalla vostra decisione di partire o di accettare la volontà di Dio restando là dove vi ha chiamati.

I nostri martiri
5. Dai nostri morti, dai nostri martiri e dalla crudeltà degli uomini nei nostri confronti noi impariamo due cose. Anzitutto restiamo dei messaggeri portatori di vita nei nostri paesi e nelle nostre società. In secondo luogo, se la morte è una realtà, per il credente anche la vita è una realtà ed essa finirà per trionfare sulla morte. La vita piena, la «vita in abbondanza» (Gv 10,10) che Cristo è venuto a offrirci e ci permette di comunicare agli altri. Nelle molteplici difficoltà, i nostri corpi vengono uccisi, ma il messaggio rimane. Noi restiamo portatori di un messaggio, qui e sulle strade del mondo. Qui contribuiamo alla costruzione delle nostre società, e sulle strade del mondo, là dove giungiamo, portiamo il Vangelo di Gesù Cristo.
  Noi non disperiamo, non fuggiamo lontano da un mondo nel quale regna la morte. Anche coloro che uccidono hanno bisogno di sale e di luce, per riuscire ad aprire gli occhi e uscire dalla loro cecità e dalla loro disumanità. Noi non fuggiamo davanti a coloro che uccidono nelle nostre società o nel mondo. Cerchiamo piuttosto di ricondurli alla vita, perché uccidendoci uccidono sé stessi. La missione delle nostre Chiese, e di tutti i nostri fedeli, è una missione difficile, sanguinosa. Essa consiste nel rendere la vita a una generazione di morti, nel rendere la bontà di Dio a coloro che se ne sono privati, nel rendere la vista a coloro che l’hanno perduta e sono diventati incapaci di vedere l’amore di Dio e dei figli di Dio.

Che cosa ci dicono i nostri martiri?
6. I nostri martiri dicono a noi cristiani una parola di verità. Dio ha voluto che noi ricevessimo in questo XXI secolo il battesimo del sangue.
 I nostri martiri ci dicono di rinnovare il nostro amore gli uni verso gli altri, anche se siamo ancora separati da strutture esterne che si sono formate nel corso dei secoli. Anche se continuano le nostre differenze nel modo di comprendere ed esprimere la fede nell’unico Signore Gesù Cristo. Un solo amore nelle nostre Chiese, una sola voce per il povero, per l’oppresso e per la pace, uno stesso impegno nelle nostre società, nelle quali il Signore ci ha posti e ci ha mandati per costruirle e per avviarvi una nuova fase della nostra storia. Il nostro contributo alle nostre società consiste nel rendervi più presente Dio e nell’introdurvi più amore e pace.
 I nostri martiri hanno dato la loro vita per Gesù Cristo e per la vita delle nostre Chiese e dei nostri paesi. Perciò le nostre Chiese elevano insieme la loro lode all’unico Signore Gesù Cristo e avanzano verso una maggiore unità fra di noi e nelle nostre società. Essendo state battezzate nel sangue dei nostri martiri, le nostre Chiese hanno il dovere di rinnovarsi per diventare fonte di vita per tutti.
 I nostri martiri ci dicono di rinnovare la nostra preghiera, affinché sia al tempo stesso culto reso a Dio e amore del prossimo, amore delle persone più vicine e anche di quelle più lontane, amore di tutte le nostre comunità e di tutte le nostre società. La nostra preghiera non resterà fra le mura delle nostre Chiese, ma si estenderà a tutte le nostre relazioni reciproche e alle nostre società. La nostra preghiera si estenderà a tutti i bisogni materiali e spirituali di tutti. Questo implica anche un rinnovamento delle nostre tradizioni, delle nostre liturgie e delle nostre devozioni, affinché diventino un nutrimento che trasforma la nostra vita quotidiana e ci aiuta ad assolvere la nostra missione nel mondo.
 Il sangue dei nostri martiri è un seme per un rinnovamento delle nostre Chiese, dei nostri fedeli, dei nostri sacerdoti, vescovi e patriarchi. Anche se la strada aperta dal sangue dei nostri martiri è lunga e difficile, noi la percorriamo. Camminiamo insieme a loro, con lo sguardo fisso al cielo, ricordandoci della nostra vera vocazione, come cristiani e come esseri umani creati a immagine di Dio: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Anche la strada della perfezione è lunga e difficile. Perciò, mentre avanziamo sulla strada della perfezione, i nostri martiri ci dicono anche di saperci preparare al battesimo del sangue.
 Ai loro persecutori, ai loro assassini vicini o lontani, a viso scoperto o nascosto, i nostri martiri dicono: anche per voi noi abbiamo dato la nostra vita, affinché anche voi possiate vedere Dio e i figli di Dio, vedere Dio in ogni essere umano, sia che appartenga alla vostra religione, sia a un’altra. Aprite i vostri occhi e i vostri cuori alla vita. Ritrovate la vostra libertà, non restate contemporaneamente assassini e vittime del vostro male. Non restate persecutori dei vostri fratelli e schiavi del male che c’è in voi.
 Il sangue dei nostri martiri annuncia una vita nuova, la nascita di un uomo arabo nuovo, cristiano, musulmano e druso. Essi sono morti per la gloria di Dio e sono diventati una benedizione per le loro Chiese e le loro società arabe. Il numero dei cristiani diminuisce, ma il sangue dei martiri è seme di vita e di grazia. Il numero dei cristiani diminuisce, ma la grazia sovrabbonda.
 In mezzo alle difficoltà e alla morte, noi ricordiamo sempre la bontà e la misericordia di Dio. Lo ricordiamo a coloro che ci uccidono, perché anch’essi, nonostante tutto il male che c’è in loro, hanno qualcosa della bontà di Dio. Anch’essi possono amare. Dio non ha creato l’uomo per la morte, per la sua morte o per quella degli altri. Lo ha creato per essere fratello e sorella di tutti e di tutte, quali che siano e a qualunque religione appartengano. Creati a sua immagine, noi siamo in grado di vivere e di amare come lui.

Capitolo 2: Che cosa diciamo ai nostri concittadini e ai nostri governanti?

La nostra realtà
7. La nostra realtà è caratterizzata da un lato da prosperità, ricchezza, grandi edifici e una parvenza di pace, con molto benessere, molta religione, molta scienza e molto denaro; dall’altro da molta povertà e, in alcuni dei nostri paesi, molti senzatetto. Nel campo della religione, per molti i nostri metodi di educazione religiosa sono un terreno fertile per l’estremismo o il confessionalismo chiuso e settario. Sul terreno, come nelle anime, domina una situazione di guerra e di sedizione. In alcuni dei nostri regimi politici si ha paura della libertà delle persone. I nostri paesi sono in cammino verso una stabilità non ancora realizzata. Dall’esterno e dall’interno ci sono state imposte delle guerre. E il nostro futuro rimane ignoto.

I nostri capi politici
8. Ringraziamo i nostri capi politici per i loro sforzi a servizio dei nostri popoli. Ma ricordiamo loro anche ciò che abbiamo detto sopra. La strada che ci separa dalla «città virtuosa» resta ancora lunga. Continuiamo a soffrire per la povertà, la corruzione, la limitazione delle libertà, il confessionalismo e le guerre. Tutto questo dovrebbe essere già stato superato.
 Siamo pienamente consapevoli delle difficoltà e della complessità della situazione. Ma nonostante le difficoltà e la complessità, il male e la corruzione devono cessare. E questo è possibile. Il governo è un servizio reso alla comunità ed esige uno sforzo per migliorare le sue condizioni di vita. Il suo scopo è quello di assicurare a ogni cittadino una vita degna e libera, a livello sia materiale, sia spirituale, sia sul piano delle libertà. Siamo in grado di raggiungere tutto questo. Ma ne siamo ancora molto lontani.

Distacco e bene comune
9. I veri capi sono disinteressati. Sono servitori, cercano il bene delle persone e delle comunità. Paolo dice di se stesso: «Io non cerco il mio interesse, ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1Cor 10,33). Con le sue parole, egli esortava i suoi fedeli a «imitare Dio». È bene e anche necessario che i capi politici ascoltino questa parola: non cercare il loro interesse personale, ma quello degli altri. È necessario che chi governa cerchi l’interesse del popolo dal quale ha ricevuto il mandato di governarlo. L’autorità è un servizio per l’edificazione della comunità.
 Noi diciamo alle nostre autorità: ascoltate la voce dei poveri. Un buon governante è quello che sradica la povertà. Nelle nostre società vi sono grandi fortune; ci sono anche le conoscenze e la capacità organizzativa. Nelle nostre società, nelle quali si trovano tante risorse e ricchezze, la povertà è un segno della noncuranza o dell’incapacità dell’autorità. La povertà esiste quando un fratello non vede il proprio fratello. Essa è la conseguenza inevitabile di un governante che cerca il proprio interesse e non quello della comunità.
 Perché nei nostri paesi ricchi di risorse esiste ancora la povertà? Dipende da una nostra mancanza di «umanità»? Dipende dall’egoismo e dall’incapacità dei nostri ricchi o dei nostri capi politici di uscire dal loro ego per pensare agli altri?
 O forse la religione, nonostante la sua onnipresenza, è in realtà assente? Infatti tutto l’Oriente, cristiano o musulmano o druso, è religioso, o diciamo piuttosto saldamente legato alla sua comunità religiosa. La religione è presente, ma spesso Dio non è presente. Può capitare, infatti, che nonostante la fedeltà alle pratiche rituali religiose Dio sia assente. Si è religiosi, si va in chiesa o in moschea, ma si trascura il povero che è creatura e figlio di Dio. Le elemosine sono certamente frequenti. Alcuni costruiscono anche una chiesa o una moschea. I nostri paesi e le nostre società, dove esistono molte ricchezze e molti poveri al tempo stesso, hanno bisogno di ben più di questo. Non hanno bisogno solo di elemosine, ma di giustizia sociale, di un’economia giusta che assicuri la dignità umana a ognuno.
 La povertà nei nostri paesi ricorda a tutti coloro che hanno grandi patrimoni, ai governanti, ai responsabili dell’economia, che i nostri paesi hanno bisogno di qualcosa che va al di là dell’«elemosina». Hanno bisogno di sistemi e di piani economici in grado di distribuire e organizzare le ricchezze della nazione, e anche degli individui, affinché nessun abitante resti nel bisogno. La religione è molto presente, ma dobbiamo rendere presente Dio stesso, Dio misericordioso, il quale ci dice di aver dato a tutti la stessa dignità umana. Questo esige una migliore comprensione della religione. Questo esige capi che sappiano essere servitori, che lavorino per gli altri e assicurino una vita degna a ogni cittadino. E nessuno dica che le cose sono difficili e complicate. I responsabili facciano piuttosto uno sforzo per vedere e riconoscere che esistono intenzioni francamente cattive e mancanza di buona volontà per realizzare la giustizia sociale.
 Questa questione della povertà riguarda anche le nostre Chiese, ossia tutti noi, in primo luogo pastori, vescovi, preti, religiosi e religiose. Infatti noi possiamo attivarci per reclamare e realizzare una migliore giustizia sociale. E possiamo anche dare l’esempio nel nostro modo di possedere e usare le ricchezze di questo mondo. I poveri presenti nelle nostre società ci invitano tutti, responsabili religiosi e politici, a fare un esame di coscienza sul nostro atteggiamento verso il denaro e sulla nostra azione o noncuranza di fronte al grido del povero.

La libertà
10. Ascoltate la voce degli oppressi che sono stati privati della loro libertà. «Amate la giustizia, voi giudici della terra» (Sap 1,1). Le autorità politiche hanno il dovere di formare un governo forte e garantire a tutti la sicurezza e la tranquillità. Ma non è permesso al governo, qualunque sia il regime, di diventare dittatura e tirannia. Non è permesso di umiliare la persona umana o di ucciderla in forza della sua libertà, la quale ha certamente i suoi limiti, che sono il bene delle persone e delle comunità.
 Il buon governante non teme la libertà e neppure l’opposizione. Al contrario, si basa su di esse e le prende come guida per assicurare meglio il bene comune.
È certamente difficile rispettare pienamente la libertà umana. Ma chi ha accettato di governare deve essere in grado di affrontare ogni difficoltà, senza cadere nelle ingiustizie. Deve sapere come trattare la libertà delle persone senza opprimerle.   Un buon governante si dimostra tale proprio attraverso la sua capacità di trattare la libertà delle persone e dei gruppi, fra cui i partiti politici e tutti coloro che si oppongono a lui con le loro idee. Non ha diritto di gettare in prigione gli intellettuali e le persone libere del popolo per il solo fatto di appartenere all’opposizione. Anche nelle prigioni, deve essere rispettata la dignità della persona umana. Non si possono correggere le differenze di opinione attraverso l’annientamento della persona umana, soggetta unicamente a Dio e non alla tirannia di un dittatore.

Di fronte alla politica mondiale
11. Vogliamo dei leader politici indipendenti dalle pressioni e dai piani esterni. Sappiamo che esistono molte pressioni di ogni sorta, che costituiscono fardelli pesanti da portare, limitano la libertà dei governanti e vanno contro il bene dei loro popoli.
 Perciò abbiamo bisogno di leader politici forti. Ed è nel popolo che essi troveranno la loro forza, ma solo se ne sapranno rispettare la libertà e la dignità. Sostenuti dal loro popolo, i capi possono far fronte a tutte le pressioni esterne mondiali e alle grandi potenze che pretendono di cambiare a loro piacimento il nostro Medio Oriente.
 Abbiamo bisogno di leader che, sostenuti dal loro popolo, siano in grado di tener testa ai potenti di questo mondo e di trattare con loro alla pari; essi non temeranno alcuna minaccia militare o economica.
 Un popolo rispettato dai suoi leader è la loro forza e la fonte della loro libertà di decisione di fronte a ogni aggressione dall’esterno e di fronte a ogni tentativo di distruzione o di sedizione e di guerre civili, come abbiamo visto e come vediamo ancora nei nostri diversi paesi.
 La regione ha bisogno di leader che siano artefici di pace per il loro paese e per i paesi vicini. Essi rifiutano ogni incitamento alla guerra che proviene loro dall’esterno, nonché le alleanze contro il bene dei loro popoli o dei paesi vicini. Vogliamo capi liberi, con le mani pulite, che possano far uscire la regione dalle sue molteplici guerre e stabilirvi una pace stabile e definitiva.

Lo stato laico
12. Noi ci aspettiamo dai nostri capi che costruiscano uno stato laico, basato sull’uguaglianza di tutti i suoi cittadini, senza discriminazione sulla base della religione o di qualsiasi altra ragione. Uno stato nel quale ogni cittadino si senta a casa propria, uguale a tutti gli altri e con le stesse opportunità di vita, governo o lavoro, indipendentemente dalla sua religione. Tutti si sentiranno fratelli nella stessa patria, con gli stessi doveri e gli stessi diritti.
 Lo stato laico separa religione e stato, ma rispetta tutte le religioni e le libertà. Si sforza di comprendere meglio la questione religiosa nei nostri paesi, con le sue componenti, cristianesimo, islam e comunità druse, senza lasciare che si trasformino in confessionalismo religioso o politico. Questo richiede due cose: anzitutto noi, cristiani e musulmani e drusi, dobbiamo imparare come vivere insieme, come creare insieme lo stato moderno; e in secondo luogo dobbiamo apprendere come formare le nostre generazioni attraverso una nuova educazione basata sugli stessi principi: rispetto reciproco, collaborazione e destino comune, nel paese nel quale Dio ci ha mandati.
 Per questo vogliamo leader politici che abbiano il coraggio d’intraprendere una nuova educazione alla vita politica, alla formazione della persona umana e di un nuovo cittadino. Vogliamo un’autorità che formi persone che tendono al proprio perfezionamento e a quello dei loro fratelli e di tutta la patria. Cittadini e credenti che non sono chiusi in sé stessi, ma sono aperti e capaci di abbracciare tutti i loro fratelli e sorelle e il mondo intero.

I capi religiosi
13. Noi vogliamo capi religiosi che abbiano visioni nuove, capi religiosi cristiani, musulmani e drusi uniti dalla fede in Dio uno e unico, misericordioso, amico degli uomini. Capi che collaborino e si sforzino di formare dei credenti che si amano gli uni gli altri, quale che sia la rispettiva religione.
 Condanniamo le guerre religiose del passato, le lasciamo alla storia e per esse chiediamo perdono a Dio. Gli chiediamo d’illuminarci per configurare insieme la nostra nuova storia e di darci la forza di camminare nella sua luce e nella sua misericordia, affinché la religione resti, a immagine di Dio stesso, una religione di amore e di misericordia per tutte le sue creature.
 Nella nostra realtà quotidiana esistono dialogo e accettazione reciproca. Ma esiste anche il contrario. Continuano a esistere correnti religiose contrarie alla collaborazione e all’uguaglianza fra i credenti di religioni diverse. C’è un rifiuto dello stato laico e dell’uguaglianza dei cittadini. Nel cuore di molte persone si trovano ancora l’estremismo religioso e l’esclusione. Le nostre ferite in Iraq e in Siria sono ancora aperte. Gli attacchi contro le chiese in Egitto continuano a ripetersi. Esistono ancora fra noi fanatismi religiosi che separano i credenti in nome di Dio, che è uno e unico e ama tutte le sue creature indipendentemente dalla religione alla quale appartengono. Vi sono anche quelli che uccidono in nome di Dio.
 Nei cuori di alcuni cristiani si è formata anche una reazione di carattere confessionale, che non è cristiana ed evidenzia un sentimento di disperazione e di rifiuto dell’altro.
 Di fronte a queste realtà noi ci fermiamo, riflettiamo e ci facciamo un esame di coscienza per ridefinire insieme i nostri atteggiamenti e rinnovare la nostra fede in Dio, che è amore e misericordia. Rinnoviamo il nostro amore per Dio e gli uni per gli altri. Decidiamo di cambiare i vecchi comportamenti che dividono e li sostituiamo con l’amicizia e il rispetto reciproco.
 Anche i capi religiosi sono «servitori» degli altri e non di loro stessi. Essi camminano e guidano i credenti nelle vie di Dio, ossia l’amore e la misericordia. Hanno la responsabilità della formazione di persone umane nuove, forti, misericordiose, amanti di ogni uomo, di ogni religione. Possono formare una generazione di credenti che danno la vita e non la morte; possono formare credenti sinceri, misericordiosi e non omicidi.
 L’amore del capo religioso abbraccia certamente i credenti della sua comunità, ma si spinge oltre, perché l’amore non ha confini, è universale come l’amore che Dio ha per tutta la sua creazione. Il nostro Medio Oriente, saturo di sangue e di morte, ha bisogno di capi religiosi che lo guidino nelle vie della vita. Abbiamo bisogno anche di capi religiosi che abbiano il coraggio di resistere a tutte le forze di discriminazione e di morte, che ancora operano nelle nostre società, sia che provengano da noi stessi sia che provengano dall’esterno o da correnti che hanno un grande potere di distruzione.
 Abbiamo bisogno di capi religiosi in grado di compatire le sofferenze di tutti, di portarle in loro stessi e di insegnare che le sofferenze non sono per la morte, ma sono una strada verso una vita nuova, sull’esempio della croce di nostro Signore Gesù Cristo, che fu un percorso dalla morte alla risurrezione. Tutta la vita umana ha un carattere pasquale; essa è un continuo passaggio da ogni forma di morte alla vita; è una continua vittoria sul peccato e sul male fino a giungere alla vita nuova.
 I capi religiosi devono lasciare allo stato la sua indipendenza nel suo ambito. Devono insegnare e richiamare i grandi principi della morale. Attraverso il loro insegnamento devono sostenere lo stato in ogni azione giusta che conduce a una vita degna e tranquilla della comunità. Devono alzare la voce per difendere i poveri, gli oppressi. Devono andare in cerca di tutte le persone oppresse o bisognose per rendere loro giustizia e assicurare loro una vita degna. Devono difendere la libertà e insegnare al tempo stesso ai credenti come usare la loro libertà non per discriminare, non per arrecare pregiudizio alla società e opprimere, ma per costruire insieme.

Una nuova educazione
14. Quanto siamo venuti dicendo dimostra che abbiamo bisogno di una nuova educazione per formare un essere umano nuovo. La responsabilità tocca allo stato, come anche alla chiesa e alla moschea. Ogni capo religioso, in ogni religione, ne è responsabile. Abbiamo bisogno di una nuova educazione basata sulla misericordia e sull’amore, sull’uguaglianza e sulla pari dignità data da Dio a tutti.
 Quando riusciremo a formare un uomo nuovo, formeremo anche un credente nuovo, capace di vedere Dio creatore, misericordioso e amico degli uomini. Così nascerà anche una nuova società basata sulla giustizia, sulla libertà e sulla collaborazione. Con un uomo nuovo nascerà uno stato nuovo per tutti i suoi cittadini, quale che sia la loro religione.
  Un’educazione religiosa sana, per il cristiano e per il musulmano, ciascuno nella sua religione, rende possibile un progetto nazionale nuovo nel quale tutti e ciascuno sono ugualmente uomini e cittadini, tutti credenti e ciascuno fedele alla sua religione. Un progetto nazionale crea una patria per tutti e al di sopra di tutti. È uno slogan che sentiamo ripetere spesso, ma che finora non abbiamo saputo realizzare. L’unione e l’uguaglianza non sono ancora sufficientemente realizzate. Esistono ancora fra noi discriminazioni o privilegi tra i cittadini a motivo della religione o della libertà. Nei nostri paesi addirittura esistono ancora ingiustizie, delitti, torture in detenzione per chi rivendica la libertà. Dobbiamo ricordare i mali che ancora esistono, per non dimenticare che non abbiamo ancora raggiunto la perfezione. Abbiamo ancora molto lavoro da fare per educare, formare e purificare.

Chi educa? Chi forma l’uomo nuovo?
15. Siamo paesi «religiosi». La religione ci ha divisi in passato e in alcuni casi e luoghi continua tuttora a dividerci. Perciò, come abbiamo già detto, i leader religiosi hanno la responsabilità di lavorare alla nuova educazione. Infatti o assicuriamo una formazione sincera, che dica chiaramente a ogni uomo e donna che ogni credente, anche di una religione diversa, è suo fratello e sua sorella, e tutti i cittadini sono fratelli e sorelle, oppure continueremo a dire che non siamo tutti uguali e che «tu sei migliore di tuo fratello». Questa è stata l’educazione religiosa impartita fino a ora, ed è stata per ciò stesso un terreno fertile per le discordie, le guerre civili e l’oppressione di chi fosse per un aspetto o per l’altro diverso.
 Abbiamo bisogno di una nuova educazione religiosa e civile che dica a ognuno: tu sei anzitutto una persona umana, creata da Dio, e ogni altra persona diversa da te è, come te, creatura di Dio. Per la creazione noi siamo tutti fratelli e sorelle. E in patria siamo tutti uguali.
 Abbiamo bisogno di un’educazione religiosa che ricordi sempre il comandamento di Cristo: «Amatevi gli uni gli altri» (cf. Gv 13,34) senza limiti. Gesù non dice: amate i vostri fratelli che credono come voi, dice: «Amatevi gli uni gli altri… amate il vostro prossimo come voi stessi» (cf. Gv 12,15; Gal 5,14). Il «prossimo» è ogni persona umana, senza limiti e senza classificazione.
Il capo religioso ha un ruolo determinante da svolgere in questa nuova educazione. È lui infatti a ispirare gli atteggiamenti assunti in famiglia, nella scuola e nella società. L’educazione in famiglia ha bisogno di purificarsi da ogni atteggiamento che rifiuta chi è diverso nella sua religione e dai pregiudizi del passato, trasmessi di generazione in generazione. La famiglia deve passare per una fase di purificazione, di cambiamento di mentalità e di comportamenti verso l’altro.
 In tutta la società bisogna operare una conversione. I massacri, le guerre civili e le crudeltà degli ultimi anni non sono ancora terminati, e tutto questo richiede purificazione, conversione e un passaggio dalla morte alla vita.
 Vi sono ancora persone che uccidono in nome di Dio, o che educano potenziali assassini basandosi su vecchi metodi educativi. Anch’essi per parte loro devono cambiare, per poter acquisire uno spirito nuovo ed educare uomini e donne capaci di amare e rispettare tutti quelli che professano una religione diversa.
 Anche le nostre scuole private e pubbliche, le nostre università e i mezzi di comunicazione sono responsabili della nuova educazione, che dice a tutti: siamo tutti uguali in umanità e nella dignità che Dio ci ha dato. I responsabili delle scuole private e pubbliche devono chiedersi: che tipo di credente, cristiano o musulmano o druso, stiamo preparando? Che tipo di cittadino e che futuro prepariamo per il paese? Stiamo costruendo una società unita, compatta, nonostante le differenze religiose o partitiche, o stiamo alimentando il confessionalismo religioso o politico e preparando guerre civili in nome di Dio o del partito?
 Che tipo di credenti vogliamo? Vogliamo credenti e cittadini forti e fraterni, che non opprimono nessuno e non si lasciano opprimere da nessuno. Credenti la cui forza sta nella loro capacità di amare e di opporsi a ogni aggressione contro loro stessi o contro gli altri.

Capitolo 3:  Che cosa diciamo  ai leader occidentali?

sabato 14 aprile 2018

Dichiarazione dei Patriarchi di Antiochia Greco-Ortodosso, Siro-Ortodosso e Greco-Melkita Cattolico sull'attacco a Damasco


Damasco, 14 aprile 2018

Dio è con noi; lo comprendano tutte le nazioni e si sottomettano!

Noi, i Patriarchi: Giovanni X°, Patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, Ignazio Aphrem II°, Patriarca Siriaco Ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, e Giuseppe Absi, Patriarca Melchita-greco cattolico di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme, condanniamo e denunciamo la brutale aggressione che ha avuto luogo questa mattina contro il nostro prezioso Paese, la Siria, da parte degli Stati Uniti, dalla Francia e dal Regno Unito, con l'accusa secondo cui il governo siriano avrebbe usato armi chimiche. Leviamo le nostre voci per affermare quanto segue:
1. Questa brutale aggressione è una chiara violazione delle leggi internazionali e della Carta delle Nazioni Unite, perché è un assalto ingiustificato a un paese sovrano, membro dell'ONU.
2. Ci provoca grande dolore che questo attacco provenga da Paesi potenti a cui la Siria non ha causato alcun danno in alcun modo.
3. Le accuse degli Stati Uniti e di altri paesi secondo cui l'esercito siriano starebbe usando armi chimiche e che la Siria è un Paese che possiede e usa questo tipo di arma, sono affermazioni ingiustificate e non supportate da prove sufficienti ed evidenti.
4. Il tempismo di questa ingiustificata aggressione contro la Siria, quando la Commissione internazionale indipendente di inchiesta stava per iniziare il suo lavoro in Siria, mina il lavoro di questa commissione.
5. Questa aggressione brutale distrugge le possibilità di una soluzione politica pacifica e porta a un'escalation e a maggiori complicazioni.
6. Questa ingiusta aggressione incoraggia le organizzazioni terroristiche e dà loro lo slancio per continuare nel loro terrorismo.
7. Chiediamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di svolgere il suo ruolo naturale nel portare la pace piuttosto che contribuire all'escalation delle guerre.
8. Facciamo appello a tutte le Chiese dei Paesi che hanno partecipato all'aggressione, perché adempiano ai loro doveri cristiani, secondo gli insegnamenti del Vangelo, e condannino questa aggressione, richiamando i loro governi a impegnarsi per la protezione della pace internazionale.
9. Salutiamo il coraggio, l'eroismo e i sacrifici dell'Esercito Arabo Siriano che coraggiosamente protegge la Siria e fornisce sicurezza alla sua popolazione. Preghiamo per le anime dei martiri e per il riabilitazione dei feriti. Siamo fiduciosi che l'esercito non si piegherà davanti alle aggressioni terroristiche esterne o interne, ma continuerà a combattere coraggiosamente contro il terrorismo fino a quando da ogni centimetro della terra siriana sarà sradicato il terrorismo. Allo stesso modo, lodiamo la coraggiosa posizione di Paesi che sono amichevoli nei confronti della Siria e della sua popolazione.
Offriamo le nostre preghiere per la sicurezza, la vittoria e la liberazione della Siria da ogni tipo di guerra e terrorismo. Preghiamo anche per la pace in Siria e in tutto il mondo e chiediamo di rafforzare gli sforzi della riconciliazione nazionale per proteggere il paese e preservare la dignità di tutti i Siriani.

venerdì 22 dicembre 2017

Messaggio natalizio dei capi delle Chiese a Gerusalemme, 2017

Il Custode di Terra Santa padre Patton: "Gerusalemme deve essere una città condivisa piuttosto che una città divisa, quindi una città condivisa tra due popoli e una città condivisa tra tre religioni. Ovviamente, i due popoli sono il popolo israeliano e il popolo palestinese e le tre religioni sono l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo.  Quindi è per questo che spesso si fa riferimento al cosiddetto status quo, cioè a una situazione che evita uno sbilanciamento per così dire in una sola direzione."




«Ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”» (Luca 2, 10).
In questo momento lo sguardo del mondo è fisso su Gerusalemme, una città che è santa per tutte le fedi di Abramo. Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese a Gerusalemme, mentre ci avviciniamo alla celebrazione del Natale, riaffermiamo la nostra chiara posizione nel chiedere la conservazione dello Status Quo della Città Santa fino a quando non sarà stato raggiunto un accordo di pace tra israeliani e palestinesi sulla base dei negoziati e del diritto internazionale.
I cristiani di Terra Santa sanno che la loro presenza e testimonianza sono strettamente collegate ai Luoghi Santi e alla loro accessibilità come luoghi di incontro e di unità tra popoli di fedi diverse. Sono i Luoghi Santi che hanno dato significato alla regione. Qualsiasi esclusivo approccio politico su Gerusalemme priverà la città della sua vera essenza e delle sue caratteristiche e calpesterà il meccanismo che ha mantenuto la pace attraverso i secoli. Gerusalemme è un dono sacro; un tabernacolo; terreno sacro per il mondo intero. Tentare di possedere la Città Santa Gerusalemme e limitarla con termini di esclusività porterà ad una realtà molto oscura.
In questo momento, mentre attendiamo la venuta della Luce, vi portiamo grandi notizie di gioia, speranza e pace dalla Città della speranza e della pace, Gerusalemme! Anno dopo anno ci uniamo alla Chiesa universale nel celebrare la nascita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. L’Incarnazione del Verbo fatto carne continua, dopo due millenni, ad essere una fonte di gioia, speranza e pace, nonostante la sofferenza e l’afflizione di molte nazioni e comunità in tutto il mondo.
La proclamazione angelica ai pastori di Betlemme ha portato buone notizie, grande gioia e una promessa di pace a tutte le persone, specialmente a coloro che soffrono e vivono nella paura e nell’ansia di ciò che il futuro riserva a loro e ai loro cari. L’angelo apparve ai pastori che stavano vegliando sul loro gregge di notte, e la gloria del Signore venne per dissipare l’oscurità della loro notte e per annunciare il nuovo giorno che era spuntato con la nascita di Cristo. In quel momento i pastori avevano paura e non potevano comprendere il significato della proclamazione angelica, e come la nascita avrebbe avuto un impatto sulle loro vite e sulla vita della loro comunità.
Queste persone di Betlemme che hanno sofferto sotto l’occupazione romana e il loro compatriota Erode, e soggette alle distinzioni e alle esclusioni dell’economia socio-politica, si sono confrontate con un’economia diversa: la provvidenza di Dio. Il messaggio degli angeli ha rivelato ai pastori – fuori dal loro contesto – una nuova realtà, in cui i concetti di potere e autorità vengono trasformati dall’Incarnazione di Dio in una umile mangiatoia.
I pastori risposero immediatamente a questa teofania e andarono a vedere «questo avvenimento che il Signore ha fatto conoscere [loro]». Il mondo di oggi si confronta ancora una volta con la sfida di rispondere alla proclamazione angelica che richiede la partecipazione all’economia divina nel portare gioia, speranza e pace in un mondo dilaniato da violenza, ingiustizia e avidità.
Continuiamo a mantenere l’intera regione del Medio Oriente nelle nostre preghiere e chiediamo al Principe della pace di ispirare i cuori e le menti di tutti coloro che hanno autorità affinché camminino sulla via della pace, della giustizia e della riconciliazione tra le nazioni. Mentre celebriamo la venuta di Cristo come luce del mondo, siamo ispirati e ci consoliamo con le parole dell’inno di Zaccaria: «Per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace».
Vi auguriamo un felice Natale e un Nuovo Anno di pace.
Patriarchi e capi delle Chiese a Gerusalemme
+ Patriarca Teofilo III, Patriarcato greco-ortodosso
+ Patriarca Nourhan Manougian, Patriarcato Apostolico armeno-ortodosso
+ L’Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico, Patriarcato Latino
+ Fr. Francesco Patton, ofm, Custode di Terra Santa
+ Arcivescovo Anba Antonious, Patriarcato copto-ortodosso, Gerusalemme
+ Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato siriano-ortodosso
+ Arcivescovo Aba Embakob, Patriarcato etiope-ortodosso
+ Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Patriarcato greco melchita-cattolico
+ Arcivescovo Mosa El-Hage, Esarcato patriarcale maronita
+ Arcivescovo Suheil Dawani, Chiesa episcopale di Gerusalemme e Medio Oriente
+ Vescovo Munib Younan, Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa
+ Vescovo Pierre Malki, Esarcato patriarcale siriano-cattolico
+ Mons. Georges Dankaye’, Esarcato patriarcale armeno-cattolico

lunedì 21 agosto 2017

I Patriarchi cattolici d’Oriente e la fine delle comunità cristiane orientali

Sperando contro ogni speranza” e rimettendosi nelle mani della “giustizia di Dio”: con questa coscienza il Consiglio dei patriarchi cattolici d’oriente ha pubblicato il comunicato finale della sua sessione annuale (10-11 agosto 2017), tenutosi a Dimane (nord del Libano), sede estiva del patriarcato maronita.

Non senza tristezza, i patriarchi rimproverano la comunità internazionale di assistere allo spegnersi - a causa dell’insicurezza e dell’emigrazione - l’una dopo l’altra le Chiese orientali in Iraq, Siria, ma anche in Palestina, Libano e perfino in Egitto, senza che la loro reazione sia all’altezza della tragedia. Essi avvertono che se questo stato di cose continuerà, si tratterà di un vero “progetto di genocidio” e di un “affronto contro l’umanità”.

Il loro messaggio coincide con la pubblicazione di cifre eloquenti sulla diminuzione dei cristiani nei vari Paesi del Medio oriente, in particolare in Iraq, Siria e Terra santa. In quest’ultimo spazio condiviso dal punto geografico fra Israele e i Territori occupati, i cristiani rappresentano solo l’1,2% della popolazione; in Siria, per il fatto della guerra scoppiata nel 2011, il loro numero è in caduta da 250mila a 100mila, secondo statistiche recenti. E intanto anche il patriarca dei caldei fa fatica a convincere i cristiani della Piana di Ninive a riguadagnare il suolo natale, riconquistato a Daesh.
In un “appello generale” un po’ confuso, forse per essere stato scritto a più mani, dove la speranza di mescola alle grida e ai lamenti, i patriarchi affermano: “È tempo di lanciare un appello profetico a testimonianza della verità… siamo invitati a restare attaccati alla nostra identità orientale e a restare fedeli alla nostra missione. Assumendo la cura del piccolo gregge, noi patriarchi orientali siamo afflitti nell’assistere all’emorragia umana dei cristiani che abbandonano le loro terre natali in Medio oriente”.
Gli oppressori che agiscono in piena cognizione di causa, gli insensati che abusano del nostro pacifismo, sappiano che la giustizia di Dio avrà l’ultima parola. Ai nostri fedeli, diciamo che ormai noi somigliamo al lievito nella pasta, alla luce che brilla in un mondo assetato dello Spirito vivificante. Restiamo radicati nella terra dei padri e degli antenati, sperando contro ogni speranza in un avvenire in cui, come componenti di un patrimonio autentico e specifico, saremo compresi come delle fonti di arricchimento per le nostre società e per la Chiesa universale in Oriente e in Occidente”.
Dobbiamo rimanere attaccati alla proclamazione della verità nella carità, e a proclamare con coraggio la legittimità della separazione fra Stato e religione nella costituzione delle nostre patrie, e dell’uguaglianza di tutti per diritti e doveri, senza badare all’appartenenza religiosa o comunitaria. Si tratta di una condizione sine qua non perché vengano rassicurati i cristiani e gli altri piccoli componenti nazionali”.

Appello alla comunità internazionale
Alle Nazioni Unite e ai Paesi interessati in modo diretto dalla guerra in Sira, Iraq e Palestina, noi domandiamo di fermare le guerre, i cui obbiettivi sono ormai chiari: distruggere, uccidere, spingere all’esodo, rilanciare le organizzazioni terroriste, diffondere lo spirito d’intolleranza e di conflitto fra le religioni e le culture. Il prosieguo di questa situazione e l’incapacità a stabilire una pace giusta, globale e duratura nella regione, assicurando il ritorno dei rifugiati e degli sfollati al loro focolare nella dignità e nella giustizia, rimarrà come uno stigma di vergogna per tutto il XXI secolo”.

Appello a papa Francesco
Al successore di Pietro, diciamo che siamo pronti a rispondere all’appello per la santità, seguendo il Salvatore sul cammino della Passione. Ma ricordiamo pure che noi rappresentiamo delle Chiese fiorite in terra d’Oriente fin dall’epoca apostolica... e la cui esistenza è in reale pericolo”.
Abbiamo tutti partecipato a conferenze, seminari, fatto incontri; abbiamo cercato di trasmettere al mondo la bruttura della sorte inflitta al popolo cristiano. Ma non siamo una “nazione” con larghe frontiere, o che attiri l’attenzione dei giganti della finanza; noi siamo ormai un ‘piccolo gregge’ pacifico! Un piccolo gregge che non conta su nessun altro che voi per invitare i grandi che presidiano ai destini del mondo, che continuano a spingere all’esodo i cristiani del Medio oriente e, senza dubbio, a un progetto di genocidio, una catastrofe umana, come pure uno scacco alla civiltà e un affronto a tutta l’umanità”.

In Libano scuole a rischio chiusura
In altra parte, il comunicato registra la sequenza ecumenica tradizionale, tenutasi al primo giorno, con la presenza dei patriarchi orientali ortodossi e la visita al capo di Stato. Come è ovvio, i patriarchi ortodossi orientali condividono le stesse preoccupazioni e sono di fronte alle stesse sfide.
Il comunicato esprime anche l’inquietudine del Segretariato delle scuole cattoliche del Libano (che accolgono il 70% della popolazione scolastica), di fronte all’approvazione della nuova griglia salariale di cui beneficiano gli insegnanti e che andrà a gonfiare almeno del 20% i costi del funzionamento. Il segretariato prevede che numerose scuole gratuite, sovvenzionate dallo Stato, specie in provincia e nel mondo rurale, saranno incapaci di far fronte agli aumenti e dovranno chiudere. Essi hanno dunque espresso la loro preoccupazione nel vedere “centinaia” di insegnanti lasciati disoccupati e domandano allo Stato libanese di supplire agli aumenti generati.
Il comunicato non ha mancato di presentare il Libano come un modello democratico, che tutti i Paesi arabi dovrebbero imitare, a causa del principio della separazione fra lo Stato e la religione; ed ha infine domandato il ritorno degli sfollati [siriani e palestinesi - ndr] accolti dal Libano e divenuti “un pesante fardello e una minaccia per la sicurezza politica, economica e sociale” del Paese.

Fra i partecipanti al raduno vi sono: i patriarchi cattolici Béchara-Raï (maroniti); Ignace Youssef Younan III (siro-cattolici); Joseph Absi (greco-melchiti cattolici); Ibrahim Isaac Sidrak (patriarca emerito copto cattolico, presidente del consiglio dei patriarchi e vescovi cattolici d’Egitto); Louis Raphaël I Sako (caldeo); Gregorio Bédros XX (armeno cattolico);  William Shomali (rappresentante di mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme).
Fra i capi religiosi presenti alla sessione ecumenica: patriarca Youhanna X (greco-ortodosso); patriarca Ignatius Ephrem II (Siro-ortodosso); Catholicos Aram I ( armeno ortodosso);  Salim Sahyouni (presidente della Comunità evangelica in Siria e Libano).


domenica 16 aprile 2017

Paschal message of the Patriarchs Greek Orthodox and Syriac Orthodox 2017


Greek Orthodox 
Patriarchate 
of Antioch 

and all the East

Syriac Orthodox 
Patriarchate 
of Antioch 

and all the East
2017-04-14
Paschal message
Beloved spiritual brethren and children,
Christ is risen, truly He is risen.
Christ is risen and the East is bleeding. Christ is risen and our people of all faiths pay with their own lives the cost exacted from selfish interest. Christ is risen and the destiny of our brother-archbishops Paul and John is still unclear. Pascha falls this year close to the day of their abduction, the twenty-second of April. This fourth anniversary is perhaps the most appropriate time for us to raise our voice once more, and to put in the ears of our believers and of all the world the voice of our pain in the Church of Antioch, and the voice of all those who are afflicted in this East.
We are being crucified in this East, suffering this great ordeal. The world looks at the cross of our agony, and is satisfied merely by expressing grief over us. Nevertheless, the power of this world will not drive us out of our land, because we are the sons of the cross and the resurrection. We have been displaced throughout history, and we are still being displaced up to this day, but each of us is called to remember that the land of Christ will not be emptied of his beloved ones and of those who were named after him two thousand years ago. And if the act of kidnapping the two archbishops and priests aims at defying our Eastern Christian presence, and uprooting it from this land, our answer is clear. Even though it has been four years since the two archbishops were kidnapped and this crisis has lasted six years, we are staying here next to the tombs of our fathers, and their hallowed ground. We are deeply rooted in the womb of this East. We are determined not to leave our land, furthermore we will defend it with our own blood and lives.
In giving his peace, Christ said, "Fear not, for lo, I am with you until the end of the age." We remind ourselves and our children and the whole world that the open-minded Christian presence in this East is more than a presence; it is an identity rather than a boast. Our summons today brings to the attention of the world, organizations, states, governments, associations and embassies, a cry of truth: We want to live in this East in harmony and peace with all faiths. We are not in need of sympathy for us or denunciation of others, but we are in need of serious and sincere good will from all parties to foster peace in our land. The lives of our people are not cheaper than anyone else’s life. Archbishops Paul Yazigi and John Ibrahim were kidnapped and no one troubled himself to issue more than a mere statement of denunciation or promise yielding no results up to this very moment. We value and appreciate the work and zeal of some who have worked with all their strength in behalf of this issue, but the truth must be said: We were, and are still awaiting more than that, especially from those who have the power of binding and loosing internationally and regionally. We do not leave this issue in the care of the civilized world, which has burdened us with its talk about democracies and reforms, while our eastern man is deprived of bread and of all means of livelihood. The ever-higher cost of living and the asphyxiating siege are affecting the livelihood of the poor. There is a war, unfortunately, imposed upon us as Syrians, and there are consequences that burden us as Lebanese. And there is a price which we pay as Easterners all over the Middle East stemming from the results of all wars, as though bets are waged on our land. Our summons today reflects upon events, as we cry "enough!" in the face of those who feed our land with terrorism, takifirism and blind extremism. Our summons today is a cry "enough!" in the face of those who finance the terrorist, but feign blindness of his existence, and later rush to fight him or to make a claim to fight him.
In the Holy Paschal season, we supplicate the risen Lord to remove the stone from our hearts and to break with his spear the war of this world. In these holy days, we pray again for our abducted archbishops, repeating our call for their release. We have knocked on the doors of embassies, omitting no international and regional forum, in our effort to present the crisis in Syria and to explain its repercussions, including kidnapping and displacement of our people to the world at large. We have raised the issue of the kidnapped archbishops. On this occasion, we call on everyone, here and abroad, to work hard toward the liberation of the Archbishops of Aleppo and toward closing this case, which has been suspended by international amnesia. However, this issue is always present in our souls and in the souls of all our children Christian and Muslim, as well as all those of good will.
On the day of the resurrection of Christ, we ask that the peace of his resurrection be upon you, and upon our sons at home and abroad. During Pascha, which means passing over, we raise our earnest prayers to the Lord of the angels to bring peace to our country and to the whole world. Our earnest prayer is for all the kidnapped, all the abductees. Our prayers are for every displaced, homeless, miserable, afflicted and poor person. Our heartfelt prayer to the risen Lord is that He may send his true spirit of peace to silence all the voices of strife and unrest in the Middle East and in the world at large.
In the Resurrection of Christ, those who are called by his name, the Christians of the Church of Antioch, always pledge to remember that the path of the resurrection began with the Cross, and was crowned with the light of the empty Tomb. As we imitate Christ, we do not fear death or adversity, but we pray in our weakness, as our Lord Jesus Christ Himself prayed, that the cup of suffering may pass.
We are in the days of remembering the resurrection of Christ, even though mingled with a heartache that has not been healed for four years. We pray today to the risen Lord to instill his hope in our hearts, granting to them His Holy Spirit, and bestowing upon us the gift of the release of all the kidnapped, so that we may always cry: Christ is risen and the angels are exulted. Jesus is risen and the bars of Hades are destroyed. Christ is risen and life is renewed; to whom is due all glory and dominion unto ages of ages. Amen.
Christ is risen, truly He is risen.
Damascus, April 14, 2017.
John X
Greek Orthodox 
Patriarch of Antioch

and all the East

Ephrem II
Syriac Orthodox 
Patriarch of Antioch 

and all the East 
and the Primate of the Syriac 
Church in the world.