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lunedì 17 aprile 2023

Siria: quale futuro in un “nuovo” contesto mediorientale?

 

Nota redazionale. Tutto sarà dimenticato?

Dopo dodici anni di guerra, terrorismo, isolamento, sanzioni e il recente terremoto come sale sulle ferite, quali spiragli si intravedono per il futuro della Repubblica Araba Siriana? I Paesi della regione, quegli stessi che negli anni hanno contribuito alla distruzione del paese, lasciando passare terroristi provenienti da mezzo mondo o finanziandoli e armandoli, sembrano volersi lasciare alle spalle i crimini inauditi da loro perpetrati, e perfino discostarsi dai tradizionali alleati occidentali. 

Pur auspicando, come necessari per la sopravvivenza e la ricostruzione, sia la riammissione della Siria nella Lega araba (dalla quale era stata espulsa dal 2012) che una generale ripresa di rapporti diplomatici ed economici, non dobbiamo dimenticare quello che i paesi del Golfo e la Turchia hanno fatto, insieme a Stati Uniti, Israele ed Europa. La Siria non è stata la loro prima vittima: fin dal 1991 con la guerra del Golfo all’Iraq, le petromonarchie hanno alimentato la belligeranza; dal 2011, poi, la Turchia di Erdogan ha assunto un ruolo distruttivo di primo piano, prima facendo da autostrada per il terrorismo e poi occupando intere porzioni della Siria. 

E adesso, con l’apparente svolta, almeno da parte di alcuni paesi arabi? Tutto sarà dimenticato? L’impunità legale ed economica per crimini e danni di guerra trionferà? Gli aggressori degli anni scorsi approfitteranno anzi della ricostruzione? 

Ed è scongiurato per sempre il rischio che simili aggressioni si ripetano? E davvero l’alleanza di ferro fra quei paesi mediorientali e i burattinai di Washington sta tramontando?

 Nota di Marinella Correggia


Colloquio di Steven Sahiounie con l’analista Elijah Magnier

Le sabbie mobili del Medio Oriente sono state coinvolte in un turbine il mese scorso, quando è stato annunciato l’accordo tra Arabia Saudita e Iran in Cina. Le due potenze rivali della regione si sono impegnate a lavorare per la pace e la prosperità di entrambe le nazioni.

Quali saranno gli effetti di questa nuova relazione su Siria, Stati Uniti, Israele, Turchia e Lega araba? Per approfondire questo sorprendente sviluppo nella regione, Steven Sahiounie di MidEastDiscourse ha intervistato  Elijah J. Magnier, veterano corrispondente da zone di guerra e analista politico con oltre 35 anni di esperienza in Medioriente e Nordafrica.

Magnier ha coperto molte delle guerre e degli scontri militari più importanti della regione, tra cui l’invasione israeliana del Libano nel 1982, la guerra Iraq-Iran, la guerra civile libanese, la guerra del Golfo del 1991, la guerra nella ex Jugoslavia tra il 1992 e il 1996, la guerra in Afghanistan del 2001, l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 e la successiva guerra e occupazione, la seconda guerra del Libano nel 2006 e le più recenti guerre in Libia (2011) e Siria (2011-2019). Avendo vissuto per molti anni in Libano, Bosnia, Iraq, Iran, Libia e Siria, Elijah J. Magnier possiede una conoscenza unica degli affari culturali e tribali locali, delle realtà e delle tendenze geopolitiche e della storia di una regione che continua a porre sfide ai suoi abitanti e al mondo.

Il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita si recherà a Damasco per invitare il presidente siriano Assad al prossimo vertice della Lega araba previsto per il 19 maggio a Riad. Quanto è significativa questa fine dell’isolamento per la Siria e cosa significa per le relazioni degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita?
È chiaro che l’Arabia Saudita non considera più solo l’interesse degli Stati Uniti, ma anche l’interesse saudita di porre fine a tutti i conflitti in Medioriente e di avviare un nuovo rapporto con i suoi vicini, anche quelli colpiti da illegali sanzioni unilaterali da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Dal 2015, l’Arabia Saudita ha smesso di finanziare i jihadisti in Siria. Da allora, ci sono stati diversi incontri tra funzionari dei due paesi a livello politico e di sicurezza. Naturalmente, gli Stati Uniti non vedono di buon occhio questo riavvicinamento, poiché mina l’efficacia delle loro sanzioni e separa l’Occidente dal Medioriente. Tuttavia, è prudente non precipitarsi a una normalizzazione completa tra Siria e Arabia Saudita, a meno che i sauditi non siano disposti a contribuire alla ricostruzione di oltre un decennio di guerra, in cui Riad è stata parte attiva e provocatrice. È troppo presto per giudicare finché non vedremo i risultati.

Riportare la Siria nella fratellanza delle nazioni arabe sembra una mossa coraggiosa da parte del principe ereditario Mohammed bin Salman. Come reagiranno le altre nazioni arabe a questa nuova politica?
L’Arabia Saudita non è la prima a tornare alle relazioni con la Siria. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno riaperto la loro ambasciata e ripristinato le relazioni anni fa. Tuttavia, la mossa saudita di accogliere nuovamente la Siria nel vertice e nella Lega araba ha implicazioni significative per tutti quegli arabi che hanno boicottato la Siria e continuano a finanziare i jihadisti, come il Qatar. Anche in questo caso, resta da vedere come questo riavvicinamento sarà tradotto dagli altri Stati del Golfo, al di là delle foto di gruppo al prossimo vertice. 

L’Arabia Saudita intende invitare sia l’Iran che la Turchia al vertice della Lega araba. Il recente ripristino delle relazioni diplomatiche tra Riad e Teheran ha aperto la strada a questo invito. E la Turchia quale ruolo avrà nella nuova politica sulla Siria?
La Turchia è preoccupata per le elezioni presidenziali e l’attuale presidente Erdogan vorrà capitalizzare il suo incontro con il presidente Assad. Finora la condizione che i siriani hanno posto è stata l’impegno a un completo ritiro di Ankara dalla Siria. E’ un obiettivo difficile da raggiungere per Erdogan, perché significherebbe che decine di migliaia di jihadisti e takfiristi gli si rivolterebbero contro, essendo rimasti senza sponsor e copertura. Inoltre, gli Stati Uniti faranno pressioni sulla Turchia perché sperano che il presidente Assad non riprenda il controllo dell’intero territorio. Ecco perché Assad per ora tiene duro, nonostante le pressioni russe e iraniane per convincerlo a incontrare Erdogan. Non vedo cosa potrebbe guadagnare il presidente siriano dall’incontro con il suo omologo turco quando la Turchia è a un mese appena dalle elezioni.

Quali sono i vantaggi economici per il mondo arabo che derivano dal ritorno della Siria al tavolo del vertice?
La Siria ha bisogno di circa 300-500 miliardi di dollari per ricostruire il paese e sviluppare le sue risorse naturali. Se gli Stati Uniti lo consentiranno, le monarchie del Golfo avranno molto da guadagnare dalla partecipazione alla ricostruzione della Siria. Alla fine, il Golfo sta compiendo un passo positivo verso la Siria, ma questo non significa che gli Stati Uniti siano diventati un nemico. Al contrario, le conseguenze della guerra tra Stati Uniti e Russia in Ucraina hanno portato molti Stati ad adottare un approccio equilibrato e ad ampliare le proprie opzioni. È quello che stanno facendo gli Stati arabi: aprirsi all’Iran e alla Siria, ma tenere sotto controllo il livello di rabbia degli Stati Uniti.

Che dire delle nazioni arabe che hanno stretto patti di normalizzazione con Israele; accetteranno la posizione della resistenza siriana? E il Qatar: si è opposto al ripristino dei legami con la Siria. Come reagiranno?
Israele è il maggior perdente nel riavvicinamento tra sauditi, iraniani e siriani. Siria e Arabia Saudita sono stati nemici per oltre dieci anni, e Tel Aviv ha beneficiato di questa narrazione. Ora che la situazione sta cambiando, lo Stato Ebraico si sente a disagio e più isolato, soprattutto perché visite ufficiali programmate sono state rimandate a data ignota. Man mano che le conseguenze della guerra in Ucraina diventeranno più evidenti, gli Stati del Golfo si avvicineranno alla Siria e saranno coinvolti nella ricostruzione del paese. Esiste un notevole potenziale per una piena normalizzazione in prossimità delle elezioni statunitensi. Per quanto riguarda il Qatar, i sauditi devono trovare un equilibrio per la riconciliazione. Damasco non chiuderà le porte a Doha, ma questa dovrebbe interrompere il proprio sostegno finanziario ai jihadisti nella Siria occupata a nord-ovest.

Steven Sahiounie è un giornalista pluripremiato

https://www.mideastdiscourse.com/2023/04/12/saudi-arabia-has-an-interest-to-end-all-conflicts-in-the-middle-east-interview-with-elijah-j-magnier/

mercoledì 25 gennaio 2023

Damasco, l’inverno peggiore

Le distruzioni della guerra, la perdita dei giacimenti petroliferi e le sanzioni occidentali influenzano tutti gli aspetti della vita di milioni di siriani. Reportage da una capitale fantasma.


PAUL KHALIFEH, DI RITORNO DA DAMASCO

traduzione di MARINELLA CORREGGIA


«Ali, domani andrai con tuo zio ad Harasta a raccogliere legna da ardere!». Rannicchiata sotto due spesse coperte in un angolo del soggiorno, Soumaya rimprovera il figlio con uno sguardo severo. «Non avresti dovuto aspettare che gli ultimi rami fossero consumati prima di andare», lo rimprovera Al centro della stanza coperta di tappeti, le ultime manciate di ghiande di quercia e gusci di pistacchio bruciano in una stufa a legna color ruggine. Il poco calore che emette non è sufficiente a migliorare davvero la temperatura. Dall’altra parte della stanza, un uomo anziano si strofina energicamente le mani. Al centro della stanza, quasi incollati alla stufa, due bambini condividono una pelle di montone. 

A Damasco, dove la temperatura è vicina allo zero, la lotta contro il freddo è la sfida principale per gli abitanti. «La mia unica preoccupazione è riscaldare la mia famiglia durante questo rigido inverno, dice Soumaya, vedova, che a 50 anni ne dimostra dieci di più. Tutto ciò che può essere bruciato va sul fuoco». «Il freddo è il peggior nemico», afferma il vecchio con voce roca.

Combustibili introvabili

Per la maggior parte dei siriani, il sistema di riscaldamento centrale a gasolio è un vecchio ricordo, un grande lusso che solo pochi fortunati possono ancora permettersi, vista la cronica carenza di carburante. La maggior parte delle famiglie è passata alle stufe a legna, che per essere installate richiedono di perforare le pareti o i soffitti per far passare i tubi..

Ma anche questo metodo di riscaldamento all’antica non è una passeggiata. Una tonnellata di legno viene venduta a oltre 2 milioni di lire siriane, l’equivalente di 320 dollari al tasso del mercato nero. Un prezzo inaccessibile in un paese in cui lo stipendio di un dipendente pubblico arriva al massimo a 100.000 lire siriane, ovvero meno di 17 dollari al mese.

Foreste spazzate via

«Il legno scarseggia, dice Khaled, un ex meccanico che si è dedicato al commercio della legna. Prima della guerra, la Ghouta orientale di Damasco era ricoperta di frutteti e boschi. I combattimenti e i tagli incontrollati incoraggiati dalla mancanza di sorveglianza non hanno lasciato nulla. In alcuni luoghi, come a Maliha, un tempo verdi e boscosi, non è rimasto in piedi nemmeno un albero».

li andrà quindi ad Harasta, una località situata a circa dieci chilometri a nord-est di Damasco, distrutta per il 60% dai combattimenti tra l’esercito siriano e i ribelli. «Lì i raccoglitori di macerie hanno smontato persiane, porte e tetti in legno per venderli. Dicono che sia molto più economico che abbattere alberi», spiega con calma.

Ma i problemi del giovane non sono finiti. La carenza di carburante ha colpito duramente il settore dei trasporti. Il gasolio e la benzina sono fortemente razionati e spesso non disponibili.

La maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani si trova a Hassakeh, nel nord-est, e nella provincia orientale di Deir Ezzor, entrambe controllate dalle forze curde, sostenute dagli Stati uniti. L’esercito statunitense ha trasformato i campi petroliferi in basi militari. Il governo siriano non è quindi in grado di sfruttare le risorse energetiche del paese, che ora vengono utilizzate per finanziare l’amministrazione autonoma curda.

Le quantità di carburante disponibili sul mercato provengono dall’Iran e, più raramente, dalla Russia, i due alleati della Siria. La priorità nella distribuzione va alle forze armate. Ciò che rimane, cioè poco, è riservato alla popolazione.

Nelle ultime settimane, la penuria si è aggravata. «Con la mia tessera annonaria (rilasciata due anni fa dal governo a milioni di persone), normalmente ho diritto a 50 litri di gasolio due volte nell'inverno. Ho fatto la mia richiesta a metà settembre sulla piattaforma, ma non ho ancora ricevuto risposta», si lamenta Mustafa, insegnante cinquantenne di una scuola pubblica.

Il combustibile contrabbandato dalle aree controllate dai curdi viene venduto a 250.000 lire siriane per un bidone da da 20 litri, ovvero quasi 40 dollari. La benzina, che arriva di contrabbando dal vicino Libano, viene venduta quasi allo stesso prezzo. Solo una piccola minoranza può permettersi di acquistarla.

Damasco, una città fantasma

Gli effetti della carenza di carburante sono impressionanti. Damasco, solitamente molto trafficata e congestionata, sembra una città fantasma. Di giorno il traffico è scorrevole, di notte le strade sono quasi deserte di notte e i taxi sono rari. Al calar della notte, gli abitanti si rintanano nelle loro case fredde e buie, a causa del draconiano razionamento dell’elettricità. Ventuno ore di interruzione di corrente al giorno a Damasco, ventitré nelle zone rurali. «Da due mesi non vado all’università a causa dell’alto costo dei trasporti, si lamenta Salim, studente di medicina al secondo anno. Ho pensato di andare in bicicletta da Douma (10 km a est della capitale) a Damasco. Ma il viaggio di ritorno di notte attraverso queste strade buie e deserte mi ha dissuaso». Il giovane sostiene che un terzo degli studenti dell’Università di Damasco, la più grande del paese, non frequenta più regolarmente le lezioni.

Nessun settore è risparmiato dalla crisi. Alla fine della scorsa settimana, un gran numero di panifici statali non era più in grado di rifornire il mercato di pane a causa della mancanza di olio combustibile.

Le amministrazioni pubbliche, le scuole e le banche vanno al rallentatore. A differenza del Libano, dove i generatori privati di quartiere forniscono a caro prezzo l'elettricità alle abitazioni e alle imprese commerciali, in Siria non funziona nulla quando manca la corrente. «Per diversi giorni, ho aspettato ore per diversi giorni davanti al bancomat per prelevare il mio stipendio, ma la macchina non ha mai funzionato a causa della mancanza di elettricità, lamenta Ayman, un pensionato del Damascus Water Board. Ho chiesto che il mio reddito non venga più trasferito alla banca. Voglio essere pagato in contanti».

Anche il razionamento è in crisi

La tessera di razionamento, che per un certo periodo ha contribuito a organizzare la fornitura di generi alimentari di base e di carburante alla popolazione, non è più efficace. «In teoria, il riso, lo zucchero e l’olio sovvenzionati dallo Stato sono da tre a quattro volte più economici dei prezzi di mercato, dice Mustafa. Ma la distribuzione è irregolare da tre mesi. Facciamo le richieste ma non riceviamo più il messaggio che fissa la data di consegna».

Coloro che possono permetterselo sono costretti ad acquistare cibo a prezzi di mercato e, nei periodi di carenza, al mercato nero. «Il mio stipendio di 100.000 lire siriane mi permette di comprare 5 kg di zucchero e 3 litri di olio vegetale. Per tutto il resto devo arrangiarmi», dice l’insegnante.

Il peso delle sanzioni statunitensi

La situazione è più gestibile nel settore privato, dove gli stipendi sono da quattro a cinque volte superiori a quelli del settore pubblico. «Con il mio stipendio di 400.000 lire, sono una privilegiata, dice Ghada, segretaria in uno studio legale. Ma in realtà, per vivere decentemente servirebbe dieci volte tanto».

L’assistenza sanitaria è ancora teoricamente gratuita per tutti. Ma i tempi di attesa sono molto lunghi. «Un’operazione a cuore aperto costa 1,3 milioni di lire in un ospedale pubblico, con un tempo di attesa tipico di tre o quattro mesi. In un ospedale privato, l’operazione è immediata ma costa 55 milioni di lire. Quanti siriani possono permettersi di pagare questa cifra?», si chiede Atef, cardiologo dell’ospedale al-Bassel.

Le persone interpellate sono unanimi. Questo è il peggior inverno che la popolazione siriana abbia affrontato dall’inizio della guerra nel 2011. La distruzione di gran parte delle infrastrutture e l’impossibilità dello Stato di sfruttare le risorse energetiche e agricole del paese, situate in regioni fuori dal suo controllo, sono responsabili di questa situazione. Ma le sanzioni occidentali, in particolare il Caesar Act approvato dal Congresso degli Stati uniti nel 2020, hanno esacerbato la crisi. «Le sanzioni hanno reso molto difficili le importazioni, afferma un alto funzionario che ha chiesto l’anonimato. Nessuno osa effettuare transazioni finanziarie con i siriani per paura di essere bersagliato dalle sanzioni. Questa situazione ha spezzato le catene di approvvigionamento e ha sviluppato un enorme mercato nero nel quale i prezzi stanno esplodendo».

Riportati al Medioevo

Di fronte alla crisi, si sono sviluppate iniziative private di solidarietà. «Commercianti molto ricchi e uomini d'affari hanno contribuito a dotare una scuola di un generatore, un ospedale di letti o una strada di un sistema di illuminazione a energia solare. Ma tutto questo è limitato e insufficiente per far funzionare un paese», dice l’alto funzionario. 

«Non sono riusciti a rovesciare il governo, ma ce l’hanno fatta a riportare la Siria al Medioevo», osserva Soumaya, guardando un tavolino con i ritratti di due uomini. Suo marito e il loro figlio maggiore, uccisi durante la guerra.

https://lecourrier.ch/2023/01/19/damas-le-pire-des-hivers/

mercoledì 9 gennaio 2019

Syria. The force of civilization

Syrian stories 2018
by Marinella Correggia
(originally published by L'Ordine.LaProvincia, December 16, 2018)
Rajab and Safa Wabi (ph. Marinella Correggia)

"Our millennial history will help us". Between street mosaics, archaeological assets to be restored, photovoltaic energy for reconstruction, and agriculture that calls for peace

Finding a place in the Guinness for making the largest wall mosaic in the world with recycled materials deserves vivid eco-artistic compliments. But here is the real world record: the Syrian “architects” of this 720 square meter work in the Mezzeh district of Damascus have done everything in the middle of war. In damascene streets, after 2013, seven long mosaics, a kaleidoscope of colors, fantasy and hope, were born among so many war explosions. Pieces of tiles, broken cups, bottles, tubes, bicycle wheels, electronic metal parts, keys and nails: gathered here and there and brought as a gift from citizens. 
Participated art.
Artist Moaffak Makhoul


"In the difficult conditions facing the city, we wanted to offer a smile and show the love of the Syrians for life, creativity and art. The work started in October 2013 and in January 2014 we had finished » explains the artist Moaffak Makhoul, coordinator of the Guiness mosaic. T-shirt and black trousers, he guides us in the library of Damascus museum for the education showing around. "These books were recovered from schools that were evacuated before the arrival of armed groups who occupied them, in Muhadamya, Ghouta, Daraya".

Outside the silence of the library, the noisy and intense traffic causes one question: How do the Syrians keep their cars after seven years of war that have caused inflation and impoverishment?

The young agronomist Dima Hassan – who is a bit our Virgilio, in Syria ... - does not have a car and lives modestly with her salary, which with the devaluation of the Syrian lira equals 30 euros, but she tries this answer: «Or have relatives abroad, or do three jobs, a situation now common here, or are depleting the savings they had before the war." Some people are exasperated in traffic jams and make jokes about the subway project: "A project which is twenty years old; is it so hard to dig? You could entrust the work to the terrorists of Jaysh al-Islam and to the other mercenaries who in a few years, in the eastern Ghouta area, were able to dug miles of tunnels to secure supplies in weapons and materials! "
The mosaic of the Guinness (ph. Marinella Correggia) 
In front of the art school Abdel Hader, close to the library, the two artist sisters Rajab and Safa Wabi look at a high wall decorated in relief. «We started, with several students, the street art in 2011, at the same time as the crisis that then resulted in the war. And we did not stop even when above our heads were raining mortars that came from areas outside Damascus in the hands of armed groups", says the sister, while the other continues, stretching his arm to a nearby building: "There a missile fell. Working on the street, we did not really have any shelter! But our work magnetically attracted many people, adults and children, and this helped us."
Two little doves in Damascus 
(ph. Marinella Correggia) 

They are approached by two little doves, in small and brown - may be they are the damascene version of our pigeons. The artists indicate the sand and cement doves on the top of the wall: "We have put them as a symbol of peace".

A peace that is not yet in Syria, where many fronts have closed but others are still opened. Certainly in the areas most affected by the conflict, instead of the mosaics there are rubble. For the post-war reconstruction, a titanic work, it is estimated a cost of 470 billion dollars. The machine has already started up with the rehabilitation of public utility buildings and private housings, preceded by the removal of the rubble. The foundation of the Aga Khan is already supporting the restoration of the historical architectural heritage, starting from the huge suq of Aleppo and other monuments of the Old City.

Good news is that the huge amount of rubble will be partly recycled. "The Chinese companies are already at work, in addition to the Syrian government machine", assures a Syrian translator who previously studied and lived in Spain and decided to return to his country in 2014, at the height of the crisis.


This kind of “reuse” makes the pair with a small but significant project in Aleppo. The group of Christian Marist blue volunteers, among the many rehabilitation projects, has one called Heart Made, which practices up-cycling without calling it that, as one of the project managers explains, Leyla Antaki: «We resort to stock of unsold stock over time and transform them by giving them a second life. We take the models on the internet, adapting them to local tastes. Then with the cutouts, sleeves, jeans we make big and small bags, bags that we decorate. In short, it is about avoiding textile waste, learning perfection in work and making beautiful things »

On the huge challenge of the reconstruction, the question is: who will pay to put the country back on its feet? Who will earn? Joan, a student from Damascus whose father is from the Afrin area, hit by the bombing of the Turks, is drastic: "I really hope it does not become a business for the usual ones who first bring ruin and then earn on us... I say that Western countries, Turkey, the Gulf monarchs should compensate the Syrian people! They have fomented a war by proxy, they supported jihadist mercenaries ... ». The damages are much higher than the estimated economic figure show. Because the loss of human lives is priceless, and also the historical architectural and archaeological heritage cannot be refunded.

The war has upset the methodical and often obscure work of archaeologists, restorers and officials. Occupied sites, warehouses of looted artefacts, damaged museums, threats to the life of the personnel. In one of the large laboratory rooms of the National Archaeological Museum of Damascus, cluttered with crates of artifacts, Rima Hawan, director of the restoration department, indicates pieces of statues from Palmira (Tadmor), a World Heritage Site that for ten months straddles 2015 and 2016 was besieged by the self-styled Islamic State (Isis, which in the Arab world is called Daesh, in a derogatory sense): "The situation was absolutely emergency". It was feared the total destruction of the site, in front of images proudly spread by Daesh, with the beheadings of statues and not only: the archaeologist Khaled al Asaad, after a life in Palmira to take care of the site, paid with his life - slaughtered the August 18, 2015 at age 83 - the refusal to reveal the places were the most precious stuff had been hidden to escape the fury.

The director of the Palmira museum Khalil Hariri managed to escape at the last moment, but lost a brother and a cousin as well as several friends. It is located in the museum of Damascus to follow the restoration projects of some statues taken away in time and in a fortunate way: "The terrorists took us by surprise with their advance. Everything seemed to be stronger than us, in those days. In addition to terror, we had a very strong memory of the looting of Iraq's historical heritage in 2003 during the Anglo-American invasion... But we managed with difficulty and danger to evacuate numerous artifacts, a sort of mission impossible» before the arrival of the devils.
Some employees are engaged, in large registers and at the computer, in the meticulous verification of the artifacts. Najma is among the restorers who worked in Palmyra after the escape of Daesh: "There are works totally destroyed, others we are trying to recover, here we work above all on the faces." Kawtar and Hiba brush a monk statue. Who has helped you in these years of isolation, een under economic sanctions, did you always have the necessary materials available? Rima smiles cautiously: "Archaeologists are a world community. The experts with whom we worked to study the immense Syrian heritage, have been concretely close to us.»

Khalil Hariri, museum director
(ph. Marinella Correggia)
Among the areas of crisis there has been for years the National Museum of Aleppo, the one that seems guarded by the huge Hittite statues of dark basalt, the spirited eyes. In July 2016, when it was hit by several missiles and mortar shells fired by armed groups who controlled the Eastern part of the city, most of the collection was already safe. Hariri states that, in the emergence of those years, with the country divided into areas of influence among armed groups, "the Directorate for Antiquities had lost contact with two realities: Idlib, still controlled by Qaedist groups; and Raqqa».

Raqqa: a toponym that for years has evoked terror since, in 2014, the city became the «capital of the caliphate» of the Islamic State. The city museum was rich in finds from various eras, up to prehistoric times. The Directorate had stored most of the collections in a series of buildings near the fortification of the Abbasid period at Heraqla, 7.5 kilometers to the museum. But already in March 2013, the Caliphate looted the warehouses and many pieces, mosaics, terracotta and plaster, the result of decades of excavation missions, left the country through the accomplice Turkey, destination the international market of finds. After all, pieces from Palmira were found for sale in London, one of the most important antiques markets... Anyhow the employees managed to evacuate or hide some of the transportable materials, and then recover three full crates found in Tabqa. ISIS had arrived to place explosive charges near the museum. This is a common destiny at about 300 sites of historical relevance. The war really is an angry elephant in a crystal shop.

Let's go back to the archaeological museum in Damascus. In the courtyard, among artifacts and trees, a small group of workers with orange jackets and helmets are installing a photovoltaic lamp. Interesting union between past and modern.
Installing a solar lamp, Damadcus museum garden
(ph. Marinella Correggia)
A union which is normal as well as desirable for Mahmoud Alawadi, the manager of the company Htm Power solution: "Photovoltaics and archaeological heritage are both key elements of our future. The millennia of history will help us to rebuild. I think that the civilization of force that have staged certain states on our skin should oppose the force of civilization."  Moreover, his deputy director of the company is Slava Abdo, who studied archeology and is full of futuristic enthusiasm: "Syria is the lady of the Sun. The sun is always there, solar energy is our future and must have the greatest attention".

And solar thermal and photovoltaic can be seen around. Here and there, on the roofs of Aleppo and even in Kafarbatna in the eastern Ghouta on the buildings left standing, and in the urban and extra-urban streets to make traffic lights, street lamps, antennas work; up to the torches distributed in the centers for displaced persons. With the war, the supply of electricity and consequently the water supply itself became a problem. Renewable energies represent a solution, very convenient, says Slava, "If you calculate the costs for a diesel generator that compensates for the lack of electricity from thermal power stations, and compare them with those of panels that then work for 24 years ..."

The costs of planting of solar energy can discourage, but the reconstruction of Syria can be a good opportunity, Slava continues: "Photovoltaics are good for every place, in homes, streets, farms, industries ... Not only can they be equipped with reconstructed buildings, but they can be a great resource in the same work of reconstruction” And what about the production on the panels, which had started to be made in Syria before the war? "Currently, the cost-benefit ratio makes us prefer to import from China, but in two years we expect to have our own factory here," concludes Slava while she puts her foot on a platform that lights up. Alawadi proudly displays the operation of photovoltaic water pumps, which are very useful in agriculture.
Apricot producer/seller in Kafarbatna, June 2018
Agriculture: in the land of the fertile crescent, the primary sector has a history of many millennia behind it. The Italian geneticist Salvatore Ceccarelli, with the international organization Icarda - International Institute for Agricultural Research in Dry Areas - has worked extensively in the country with farmers, improving participatory traditional cereals (those cultivated for centuries and centuries), so as to obtain mixtures of varieties capable of responding to environmental and water crises. Mixtures now grown in various countries including Italy.

And in Syria? Here, after the drought that has hit hard since 2008, seven years of war have seriously damaged food production, due to population displacements and clashes that have also involved rural areas and disrupted supply chains and transport.

For this reason it was a small miracle, in a day of end of May, to see the beautiful color of apricots emerge from a box on a farmer's bike in Mleha, East Ghouta, a region near Damascus that was in the eye of the war tornado. The fruits cost 300 Syrian pounds per kilogram: before the war the apricots price was within everyone's reach, but now it is for a few, seen the lowering of wages. Exquisite fruit, a set of delicate flavors. The apricot tree, originally from China, seems to have found the elective homeland in Syria and Turkey. Kobol el arb (“before the war”), the inhabitants of the capital used to go on a trip to the Ghouta at the time of flowering. And they looked forward to the short season of apricot, an expression that is also a way of saying to indicate something fleeting. At the time of the Mamluks, to listen to the Egyptian traveler El Badri, the scholars would put themselves in... leave, leaving chairs and books to gorge the fruit. Which in Syria has inspired a true art of conservation and transformation. "After all, in Argentina we have the apricots called Damascus and now I understand why" says the actress Susana Oviedo, who is visiting Syria.

Farmer from Katana selling her products
in the streets of Damascus (pg. Marinella Correggia)

What place will the primary sector have in the reconstruction of the country? And will the announced government plan for rural women really work? Here is a potential recipient: a food producer of Katana, in her yellow hat and bright blue scarf, arrives every day with a bus in the capital to sell her food. Her place is under one of the mosaics.
Agri-culture is culture, after all.

giovedì 3 gennaio 2019

La forza della civiltà. La rinascita di Damasco.

Storie siriane 2018 (5)
raccolte da Marinella Correggia 
L'Ordine.La Provincia , 16 dicembre 2018
«La nostra storia millenaria ci aiuterà». Fra mosaici da primato, beni archeologici da restaurare, energia fotovoltaica per la ricostruzione, e l’agricoltura che chiede pace
Trovare posto nel Guinness per aver realizzato il mosaico murale più grande al mondo con materiali di recupero merita vivi complimenti eco-artistici. Ma ecco il vero primato mondiale: gli artefici siriani di questa opera di 720 metri quadrati nel quartiere di al Mezzeh a Damasco hanno fatto tutto in piena guerra. Nelle strade damascene, dopo il 2013, fra tante esplosioni belliche sono nati sette lunghi mosaici, un caleidoscopio di colori, fantasia e speranza. Pezzi di piastrelle, tazzine rotte, bottiglie, tubi, ruote di bicicletta, pezzi metallici elettronici, chiavi e chiodi: scovati qui e là e portati in dono di cittadini. Arte partecipata.
«Nelle difficili condizioni in cui versava la città, abbiamo voluto offrire un sorriso e mostrare l'amore dei siriani per la vita, la creatività e l'arte. L'opera è iniziata nell'ottobre 2013 e a gennaio 2014 avevamo finito» spiega l'artista Moaffak Makhoul, coordinatore del lavoro. Maglietta e pantaloni neri, fa da guida nella biblioteca del museo di Damasco per l’educazione a sua volta ricca di pitture murali e arredata all’insegna del recupero. Anche bellico, in un certo senso: «In questi scaffali hanno trovato accoglienza libri profughi dalle scuole che sono state evacuate prima dell'arrivo di gruppi armati che le occuparono, a Muhadamya, Ghouta, Daraya».
Fuori dal silenzio bibliotecario, il traffico rumoroso e intenso provoca la una domanda: Come fanno i siriani a mantenersi l’automobile, dopo sette anni di guerra che hanno provocato inflazione e impoverimento? La giovane agronoma Dima Hassan – un po’ il nostro Viriglio, in Siria… - non ha l’auto e vive modestamente con il suo salario che con la svalutazione della lira siriana equivale a 30 euro, ma tenta questa risposta: «O hanno parenti all’estero, o fanno tre lavori, una situazione ormai comune qui, o stanno dando fondo ai risparmi di prima della guerra». Chi si esaspera per gli ingorghi pensa al progetto di metropolitana: «E’ vecchio di venti anni; è così difficile scavare? Si potrebbe affidare l’opera a Jaysh al Islam e agli altri mercenari che in pochi anni, trincerati nell’area di Ghouta orientale hanno scavato chilometri di tunnel per assicurarsi gli approvvigionamenti in armi e materiali!»
Davanti alla scuola d'arte Abdel Hader, vicina alla biblioteca, le due sorelle artiste Rajab e Safa Wabi siedono davanti a un alto muro decorato in rilievo. «Abbiamo iniziato, con diversi allievi, l'arte di strada nel 2011, contemporaneamente alla crisi poi sfociata nella guerra. E non abbiamo smesso nemmeno sulla testa del quartiere piovevano colpi di mortaio che provenivano provenienti dalle aree fuori Damasco in mano ai gruppi armati» spiega la sorella più giovane, mentre l'altra prosegue, allungando il braccio verso un vicino edificio: «Ecco, là cadde un missile. Lavorando per strada, non avevamo proprio nessun riparo! Ma il nostro lavoro attirava magneticamente tante persone, adulti e bambini, e questo ci era d’aiuto».
Si avvicinano zampettando due tortorelle, o forse sono, in piccolo e in marrone screziato di bordeaux, la versione damascena dei nostri piccioni. Le artiste indicano le colombe di sabbia e cemento posate sulla cima del muro: «Le abbiamo messe come simbolo di pace».
Una pace che non c'è ancora in Siria, dove tanti fronti si sono chiusi ma altri si sono riaperti. Di certo nelle aree maggiormente colpite dal conflitto, invece dei mosaici ci sono macerie. Per la ricostruzione post-bellica, un'opera titanica, si stima un costo di 470 miliardi di dollari. La macchina si è già messa in moto con la riabilitazione di edifici di pubblica utilità e di spazi privati, preceduta dalla rimozione delle macerie. La fondazione dell'Aga Khan sta già sostenendo il ripristino del patrimonio storico architettonico, a cominciare dall'enorme suq di Aleppo e di altri monumenti della Città vecchia.
Una buona notizia è che l'immensa quantità di macerie sarà in parte destinata al riciclo («sono già al lavoro, oltre alla macchina governativa siriana, i cinesi», assicura Mohamed Merie, traduttore siriano che viveva in Spagna e che decise di tornare nel suo paese nel 2014, nel pieno della crisi). 
L'immagine può contenere: 5 personeUn riutilizzo che fa il paio con un piccolo ma significativo progetto ad Aleppo. Il gruppo di volontari cristiani Maristi blu, fra i tanti progetti di riabilitazione ne ha uno chiamato Heart Made, che pratica l’up cycling senza chiamarlo così, come spiega uno dei responsabili del progetto, Leyla Antaki: «Ricorriamo a stock di magazzino rimasti invenduti nel tempo e li trasformiamo dando loro una seconda vita. I modelli li prendiamo su internet, adattandoli poi ai gusti locali. Poi con i ritagli, le maniche, i jeans facciamo borse grandi e piccole, sacchetti che decoriamo. In sintesi si tratta di evitare le spreco tessile, imparare la perfezione nel lavoro e realizzare cose belle».
Sulla ricostruzione, la domanda è: chi pagherà per rimettere in piedi il paese? Chi ci guadagnerà? E’ drastico Juan, giovane artista di Damasco il cui padre è originario della zona di Afrin, colpita dai bombardamenti dei turchi: «Spero proprio che non diventi un business per i soliti che prima portano rovina e poi ci guadagnano... Io dico che i paesi occidentali, la Turchia, i monarchi del Golfo dovrebbero risarcire il popolo siriano! Hanno fomentato per dolo o per stupidità una guerra per procura, hanno sostenuto mercenari jihadisti… ». I danni peraltro sono molto superiori alla cifra stimata per ricostruire. Perché la perdita di vite umane e di parte del patrimonio storico architettonico e archeologico sono senza prezzo.
La guerra ha sconvolto il metodico e spesso oscuro lavoro di archeologi, restauratori e funzionari. Siti occupati, magazzini di reperti saccheggiati, musei danneggiati, personale che rischiava la vita. In una delle grandi stanze laboratorio del museo archeologico nazionale di Damasco, ingombro di casse di reperti, Rima Hawan, direttrice del dipartimento restauro, indica pezzi di statua provenienti da Palmira (Tadmor), sito patrimonio dell'umanità che per dieci mesi a cavallo fra il 2015 e il 2016 fu assediata dal sedicente Stato islamico (Isis, che nel mondo arabo musulmano non integralista è chiamato Daesh, in senso spregiativo): «La situazione era di assoluta emergenza». Si temeva la distruzione totale del sito, di fronte alle immagini orgogliosamente diffuse da Daesh, con le decapitazioni di statue e non solo: l’archeologo Khaled al Asaad, dopo una vita a Palmira a occuparsi del sito, pagò con la vita - sgozzato il 18 agosto 2015 a 83 anni - il rifiuto di rivelare i nascondigli dei reperti. 
 Il direttore del museo di Palmira Khalil al Hariri riuscì a fuggire all’ultimo momento, ma perse un fratello e un cugino oltre a vari amici. Si trova al museo di Damasco per seguire i progetti di restauro di alcune statue portate via in tempo e in modo fortunoso: «Ci colsero di sorpresa con la loro avanzata. Tutto sembrava essere più forte di noi, in quei giorni. Oltre al terrore, avevamo ben presente il saccheggio del patrimonio storico iracheno nel 2003...Ma siamo riusciti con fatica e pericoli a evacuare numerosi reperti, una specie di mission impossible» prima dell’arrivo dei moderni unni.
Alcune addette sono impegnate, su grandi registri e al computer, nella verifica minuziosa dei reperti. Najma è fra i restauratori che hanno lavorato a Palmira dopo la fuga di Daesh: «Ci sono opere totalmente distrutte, altre che stiamo cercando di recuperare, qui lavoriamo soprattutto sui volti.» Kawtar e Hiba spennellano una statua monca. Chi vi ha aiutati in questi anni di isolamento, e avete sempre a disposizione i materiali necessari? Rima sorride cautamente: «Gli archeologi sono una comunità mondiale. Gli esperti con i quali lavoravamo per studiare l'immenso patrimonio siriano, ci sono stati concretamente vicini Sempre».
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@ foto Malatius Jaghnoon
Fra le aree di crisi c’è stato per anni il Museo nazionale di Aleppo, quello che sembra custodito dalle enormi statue ittite di scuro basalto, gli occhi spiritati. Nel luglio 2016, quando fu colpito da numerosi missili e colpi di mortaio lanciati dai gruppi armati che controllavano parte della città, la maggior parte della collezione era già al sicuro. Nell'emergenza di questi anni con il paese suddiviso in aree di influenza fra gruppi armati, precisa Hariri, «il Direttorato per le antichità ha perso contatto con due realtà: Idlib, tuttora controllata da gruppi qaedisti; e Raqqa».
Raqqa: un toponimo che per anni ha evocato il terrore da quando, nel 2014, la città diventò la «capitale del califfato» del sedicente Stato islamico. Il museo cittadino era ricco di reperti di varie epoche, fino alla preistoria. Il Direttorato aveva immagazzinato la maggioranza delle collezioni in una serie di edifici vicino alla fortificazione del periodo Abbaside a Heraqla, a 7,5 chilometri al museo. Ma già nel marzo 2013 il califfato saccheggiò i magazzini e molti pezzi, mosaici, terrecotte, gessi, risultato di decenni di missioni di scavi, uscirono dal paese attraverso la complice Turchia, destinazione il mercato internazionale dei reperti. Del resto, pezzi provenienti da Palmira sono stati trovati in vendita a Londra, uno dei più importanti mercati di antichità… Gli addetti erano riusciti a evacuare o nascondere una parte dei materiali trasportabili, e in seguito a recuperare tre casse piene, ritrovate a Tabqa. Durante l'offensiva antiDaesh da parte degli Usa e delle Syrian Democratic Forces, l'Isis arrivò a piazzare cariche esplosive in prossimità del museo. Dalle foto scattate una volta sfrattato l’emiro, l'edificio non è distrutto ma crivellato di colpi; l'interno è pieno di detriti e molti reperti sono scomparsi.
Un destino comune a circa 300 siti di rilevanza storica. La guerra è davvero un elefante infuriato in un negozio di cristalli.
Torniamo al museo archeologico di Damasco. Nel cortile, fra reperti e alberi, un gruppetto di operai con giubbetto arancione e casco installa una lampada fotovoltaica. Interessante connubio fra passato e moderno. Normale oltre che auspicabile, per Mahmoud Alawadi, titolare della ditta Htm Power solution: «Il fotovoltaico e il patrimonio archeologico sono entrambi elementi chiave del nostro futuro. I millenni di storia ci aiuteranno a ricostruire. Penso che alla civiltà della forza che hanno messo in scena certi Stati sulla nostra pelle si debba opporre la forza della civiltà.» Del resto, la sua vicedirettrice della ditta è Slava Abdo, studi di archeologia ed entusiasmo futuribile: «La Siria è la signora del Sole, il nome stesso di quest’area del Mediterraneo, Sham, ha assonanza con il termine arabo che indica il sole, shams. Il sole c’è sempre, l’energia solare è il nostro futuro e deve avere la massima attenzione». E il solare termico e fotovoltaico in giro si vedono. Qui e là, sui tetti di Aleppo e perfino a Kafarbatna nella Ghouta orientale sui palazzi rimasti in piedi, e nelle strade urbane ed extraurbane per far funzionare semafori, lampioni, antenne; fino alle torce distribuite nei centri per gli sfollati. Con la guerra, l’approvvigionamento in energia elettrica e di conseguenza la stessa fornitura di acqua sono diventati un problema. Le energie rinnovabili rappresentano una soluzione, solo parzialmente sperimentata, eppure «Se si calcolano le spese per un generatore diesel che supplisce alla mancanza di energia elettrica da centrali termiche, e le confrontiamo con quelle di pannelli che poi lavorano per 24 anni…»
I costi d’impianto possono disincentivare, ma la ricostruzione può essere una buona occasione, prosegue Slava: « Il fotovoltaico serve dovunque, nelle case, nelle strade, nelle fattorie, nelle industrie…Non solo se ne possono dotare gli edifici ricostruiti, ma può essere una grande risorsa nella stessa opera di rifacimento.» E la produzione made in Syria dei pannelli, che era stata avviata prima della guerra? «Attualmente il rapporto costi-benefici ci fa preferire l’import dalla Cina, ma fra due anni contiamo di avere una fabbrica nostra, qui» conclude Slava mentre appoggia il piede su una pedana che si illumina. Alawadi mostra con orgoglio il funzionamento delle pompe d’acqua fotovoltaiche, utilissime in agricoltura.
Anche quest’ultima, nella terra della Mezzaluna fertile, ha alle spalle una storia di molti millenni. Ne sa qualcosa il genetista italiano Salvatore Ceccarelli, che con l’organizzazione internazionale Icarda - Istituto internazionale per la ricerca agricola nelle zone aride - ha lavorato a lungo nel paese con gli agricoltori, migliorando in modo partecipativo i cereali tradizionali (quelli coltivati da secoli e secoli), tanto da ottenere miscugli di varietà in grado di rispondere alle crisi ambientali e idriche. Miscugli ora coltivati in vari paesi compresa l’Italia. E in Siria?
Nel paese mediorientale, dopo la siccità che ha colpito duramente dal 2008, sette anni di guerra hanno nuociuto gravemente alla produzione alimentare, per via degli spostamenti di popolazione e degli scontri che hanno coinvolto anche aree rurali e scombinato le filiere e i trasporti.
Per questo è un piccolo miracolo vedere il bel colore delle albicocche spuntare da una cassetta sulla bici di un contadino a Mleha, Est Ghouta, regione alle porte di Damasco che è stata nell’occhio del ciclone bellico. I frutti costano 300 lire siriane al chilogrammo: un tempo alla portata di tutti, ora per pochi visto l'abbassamento dei salari. Squisiti, un insieme di sapori delicati. L’albicocco, originario della Cina, sembra aver trovato la patria elettiva in Siria e Turchia. Kobol el arb, gli abitanti della capitale andavano in gita alla Ghouta al tempo della fioritura. E attendevano con ansia la breve stagione dell'albicocca, espressione che è anche un modo di dire per indicare qualcosa di fugace. Al tempo dei mamelucchi, a sentire il viaggiatore egiziano El Badri gli studiosi si mettevano in...ferie lasciando cattedre e libri per andare a rimpinzarsi del frutto. Che in Siria ha ispirato una vera arte della conservazione e della trasformazione. «Del resto da noi in Argentina le albicocche si chiamano Damasco e adesso capisco perché» dice l'attrice Susana Oviedo, in visita in Siria.
Quale posto avrà il settore primario nella ricostruzione del paese? E funzionerà davvero l’annunciato piano per le donne rurali? 
Ecco una potenziale destinataria. Una produttrice di Katana, cappello giallo, foulard blu vivace, abito bordò arriva ogni giorno con il pulmino da Katana nella capitale per vendere i suoi cibi. Il suo posto è sotto uno dei mosaici. Cultura e coltura.

mercoledì 22 agosto 2018

Siria, storie di ricostruzione. Ad Azeir, il solare solidale delle Monache Trappiste per il futuro di tutti

Storie siriane 2018 (4)
raccolte da Marinella Correggia
 
Dalle torce nelle mani dei bambini sfollati a Jibreen ai semafori nelle strade di Aleppo; dalle luci installate nel giardino del museo archeologico di Damasco ai pannelli spuntati sui tetti dei palazzi rimasti in piedi a Kafarbatna nella Ghouta orientale: il futuro della Siria si presenta solare. Almeno nel senso dell'energia fotovoltaica e termica.
E le monache trappiste di Azeir, un villaggio a metà strada fra Homs e Tartous, hanno avviato un progetto pilota di notevoli dimensioni (1700 pannelli, pari a 40 kw per il pozzo e 40 Kw per lavoro e vita quotidiana di potenza installata), all'insegna, come vedremo, dell'autonomia energetica solidale.

Ecco in questo video 

 su un pianoro in collina, file e file di pannelli solari recentemente installati nei pressi del monastero da tecnici siriani.
La superiora, suor Marta, racconta dal monastero siriano  questa storia che incrocia tecnologia e volontà, doni di materiali dall'estero e lavoro di tecnici e operai siriani. Ma prima, una premessa di contesto.

Le verità di parte, la volontà di vita, la ricostruzione dell'umano
«Di questa guerra in Siria si sono fatte conoscere approfonditamente tutte le atrocità, le violenze, le distruzioni, come è giusto che sia. Anche se purtroppo, come abbiamo detto in altre occasioni, la “verità” viene presentata sempre con una faccia sola- cosa che non è MAI vera- e guarda caso la faccia presentata è quella che più conviene agli interessi esterni al paese, interessi che muovono ogni pedina, come su una tragica scacchiera…. Ciò di cui invece si parla pochissimo è tutta la forza di resistenza, la volontà di vita dei siriani, il quotidiano che faticosamente continua, e non solo per fatalismo…E tutto il lavoro di ricostruzione, nel campo materiale ma anche ricostruzione “dell’umano”.
Il nostro progetto sull’energia rinnovabile - suggerito, per essere onesti, dalla disponibilità di questo grosso dono- viene soprattutto dal desiderio di costruire per il futuro, più ancora che dalla necessità di far fronte alle difficoltà dell’immediato.
Prima di tutto, da ormai tre anni a questa parte, cioè da quando il conflitto ha cominciato poco a poco a prendere una svolta più decisa verso la messa in sicurezza di ampi territori, il numero degli ospiti che accogliamo al monastero, pur con le nostra strutture limitate, aumenta ogni mese. Persone che vengono da città e villaggi più vicini, come Homs e Tartous, ma anche da Damasco, da Aleppo…Ospiti del monastero che cercano un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, per ritrovare se stessi davanti a Dio. Quindi abbiamo bisogno di luce, acqua, di poter coltivare la terra…sempre più. E poi ci sembra importante fare progetti per il futuro: tutti hanno bisogno di lavoro, gli uomini, i giovani, ma anche tante donne rimaste sole a portare il peso dei figli e sovente anche dei familiari più anziani. Ma come creare un lavoro che abbia un rendimento, se il costo dell’elettricità azzera ogni guadagno? Forse le imprese più grandi riescono ad essere competitive, anche con la guerra, ma per le piccole imprese è molto difficile. Noi abbiamo bisogno come monastero di crearci un lavoro per vivere, e così tante donne dei nostri villaggi. Non potremo fare moltissimo, ma almeno dare lavoro a qualche famiglia sì…e se si incomincia, altri saranno incoraggiati a fare lo stesso, a cercare soluzioni possibili e creative…Questa è stata l’idea che ci ha mosso

Un progetto pilota di fronte alla penuria di guerra
Continua la superiora: «Un'azienda internazionale offriva gratuitamente pannelli nuovi in grande quantità, di ottima qualità ma non di nuova generazione. Era stato indetto una specie di “bando di concorso”. Un nostro amico in Italia presentò un progetto per l'autosufficienza del monastero e per l’aiuto a qualche realtà locale. All'epoca la nostra zona era già stata messa in sicurezza, ma ciò non significa che non si soffrissero le condizioni della guerra: in particolare l’elettricità, se eravamo fortunate, veniva per una/due ore al giorno…a volte meno…Quindi i disagi erano tanti, e oltretutto il costo elevato dell'elettricità ci impediva di avviare in modo deciso le nostre attività (ad esempio con le candele e i biscotti) e ancor più di coinvolgere la gente del villaggio, soprattutto le donne del villaggio che chiedono lavoro. L'elettricità dal sole ci avrebbe permesso anche di pagare meno i costi per l'irrigazione - relativi alla pompa del pozzo -, e di pensare all'avvenire in generale».
Il progetto viene accettato. Inizia l'impegno per risolvere i problemi burocratici relativi all'importazione, soprattutto a causa delle sanzioni occidentali alla Siria. Alla fine, con l’aiuto delle autorità civili e portuali, arrivano tre container di pannelli. Alcuni benefattori dall’Italia aiutano il monastero per le spese di trasporto.

Giovani ingegneri siriani molto preparati
A quel punto, prosegue suor Marta, «ci siamo rivolte per l'installazione a diversi professionisti, scegliendo alla fine una ditta di Damasco. Va detto che il settore delle rinnovabili prende sempre più piede qui in Siria». Il lavoro ha visto la preparazione del terreno da parte di operai locali e il controllo e la direzione degli ingegneri di Damasco: «Ci siamo trovate benissimo, hanno lavorato in modo eccellente, con attenzione e precisione. Sono tutti giovani ingegneri molto preparati, e questo per loro è diventato un po' un progetto esemplare, una pubblicità per un settore che si sta sviluppando. E' difficile che qualcuno abbia la possibilità di investire in un'attività di queste dimensioni».
Appunto. La decisione di accettare il dono dei pannelli non è stata presa con disinvoltura: «I pannelli di ultima generazione producono tre volte più energia, a parità di superficie, rispetto a quelli che ci venivano offerti. Quindi il costo dell'installazione poteva essere un deterrente. Ma al tempo stesso, gli ingegneri che abbiamo consultato, in Italia e qui - e soprattutto quelli di qui, che conoscono la situazione-, ci hanno spiegato che si trattava di un'occasione unica, poiché, a causa delle sanzioni , in Siria si possono trovare solo pannelli in silicone, o comunque di bassa qualità- che dopo poco tempo si opacizzano e perdono in efficienza. Quelli che ci hanno offerto sono invece in vetro, di ottima qualità, di lunga durata e di resa perfetta: per studiare il progetto, gli ingegneri hanno realizzato un'installazione di prova, con otto pannelli, misurandone la produzione di energia nelle varie situazioni. Hanno potuto così constatare che la resa dichiarata corrisponde perfettamente a quella effettiva. Questo ha permesso uno studio davvero attento di consumi e alternanze fra parti dell’impianto supportate da batterie e parti a sola energia diurna. Dunque, il progetto era reso vantaggioso dall'efficienza e dalla durata prevista dei pannelli, oltre naturalmente alla loro gratuità».

Fiat lux! per il monastero....
Gli effetti sono chiari come il sole: «Da un mesetto abbiamo elettricità continua, il pozzo (che rappresentava uno dei consumi più alti in termini di energia) si è reso indipendente già da prima. In casa abbiamo energia sufficiente giorno e notte grazie alle batterie. Questa situazione ci permette finalmente di pensare anche ad attività lavorative per noi e il villaggio».
...e presto per il pozzo del villaggio e per l'ospedale di Talkalakh
Lo stock di pannelli solari era decisamente superiore alle necessità del monastero: «Così abbiamo intenzione di fornire elettricità al pozzo del villaggio cristiano, il nostro villaggio; e di donare una parte significatica di pannelli all'ospedale di Talkalakh, il capoluogo della nostra regione nella provincia di Homs. E' una zona mista, con sunniti, alauiti e cristiani, e l'ospedale è quello dei poveri, serve proprio tutti (anche noi) in modo gratuito. Ma ha risentito delle restrizioni della guerra. Il fotovoltaico darebbe energia a una sala operatoria, al pronto soccorso e alle incubatrici, insomma una certa autonomia».
Chi è rimasto lavora per il futuro...sanzioni permettendo
Le trappiste sottolineano la bravura, il coraggio, la volontà di chi è rimasto in Siria e magari si è laureato durante gli orribili anni di guerra: «La nuova generazione di ingegneri rivela una grande precisione nel lavoro. Chi è rimasto ha professionalità e voglia di fare, con materiali nuovi e tecniche nuove. Naturalmente fra i problemi ci sono le sanzioni. Ad esempio i nostri ingegneri che hanno contatti con l'Italia, per aggiornarsi, hanno avuto problemi di visto; ed è complicato portare il materiale. Comunque il settore è in piena espansione. A Damasco si susseguono le fiere di settore, dove si presentano i materiali e progetti più innovativi
Decisamente la ripresa va avanti.

Che cosa possiamo fare noi
D'accordo, pannelli e batterie sono stati regalati. Ma il monastero delle trappiste ha affrontato spese ingenti per il trasporto e l'installazione, da parte di tecnici e maestranze interamente siriani.
Per rifornire il pozzo del villaggio, il progetto è pronto e «con l'aiuto del vescovo latino padre George Abou Khazen e di alcune organizzazioni abbiamo trovato quasi metà della cifra necessaria». Metà…
Anche per l'ospedale, dice Marta, «il progetto è pronto e stiamo prendendo contatti: regaliamo tutta l'attrezzatura ma non possiamo coprire le spese di installazione. Pensiamo di coinvolgere il Ministero Siriano della Salute, proponendo la nostra offerta di pannelli, ma se ci arrivassero fondi...»
...sarebbero di grande aiuto. Al monastero, al villaggio. Alla Siria.

Per contribuire al finanziamento di questo grande progetto di 'solare solidale' si possono effettuare versamenti qui: https://www.nostrasignoradellapace.it/donations/donazione-per-i-progetti-in-siria/