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martedì 20 febbraio 2024

Ricordi: Latakia 1981


 Una pagina del mio diario scritta quando in Siria era in atto la sedizione dei Fratelli Musulmani, ovvero l’intento imperiale della sporca guerra per procura che, purtroppo, si sarebbe concretizzata pienamente a partire dal 2011.

di Maria Antonietta Carta

Sono le due o le tre dopo la mezzanotte. In soggiorno regna un silenzio deserto e io sul divano guardo, inerte, un’altra delle mie notti senza sonno. Notti insopportabili in cui si sta conficcando, infida, la rassegnazione. Non voglio che la mia anima si raggeli. Mi alzo. Metto sul piatto del giradischi la sinfonia Jupiter. Torno al divano. Le terzine in do maggiore cominciano a disperdere il silenzio. Creature fantastiche riempiono lo spazio intorno a me. Arrivano gli archi e mi scuotono la mente. Adesso la musica si fa serena di una serenità a tratti malinconica. Un racconto leggero, suasivo, carezzevole. Ma ecco spirali e spirali di suoni solenni. Il racconto diventa mito, e mi rapisce. Il ritorno del do maggiore mi sorprende. La musica finisce, riappare il silenzio e mi trova colma di stupore. La mia famiglia dorme oltre la parete.

Odo degli spari. “Qualcuno sta colorando l’asfalto col suo sangue” penso.

La sublime musica di Mozart è svanita lasciandomi ancora più sola e inerme. Vorrei dissolvermi nel pulviscolo che copre le cose trascorse. Il canto dei muezzin inonda la città. Nell’oscurità della notte si sta insinuando la luce del giorno nascente.

Le salmodie che riempiono quest’alba ancora deserta mi riconducono al mio primo risveglio in Siria. A Damasco. Ripenso a quella mia prima alba damascena, anch’essa salutata dalle salmodie che si spandevano nell'aria dai minareti della città.

Il brusco risveglio, un sussulto e le orecchie e la mente invase da una preghiera corale allora a me ignota. Durante il viaggio da Damasco a Latakia, nel pomeriggio di quello stesso giorno, avevo visto un numero incredibile di carri armati tutti in fila uno dietro l’altro sulla sottile striscia di asfalto che taglia la steppa alle spalle del riarso Anti-Libano. Ne contai a decine e decine e mi era difficile crederli veri. Non mi sentivo particolarmente turbata o spaventata.

Forse li percepivo, ancora straniera inconsapevole o già misteriosamente disillusa, come il destino ineluttabile di questa terra martoriata. “Arrivano dalla Russia. Sono sbarcati al porto di Latakia” disse l’autista del taxi. Ciò che mi fece capire di essere arrivata davvero in un altro mondo furono invece i bordi della strada vergini di cartelloni pubblicitari. È trascorso un anno da allora.

Una vita. Ieri, mentre preparavo il pranzo, due aerei hanno volato ringhiosi-minacciosi sopra il tetto. Sopra la mia testa. Pochi attimi dopo un’esplosione fortissima. Il palazzo ha tremato. “La guerra” ho pensato. Poi un urlo fuori dalla porta. Sono andata a vedere e c’era la mia dirimpettaia, incinta di otto mesi, che correva verso le scale con le braccia attorno al figlio dentro la pancia. Sul pianerottolo stava rigido l’altro figlio di tre anni, come la mia bambina, abbandonato dalla disperazione della madre. Gli ho preso la mano e tutti e tre siamo scesi in cantina.

‘’Non avere paura, madame, erano aerei spia israeliani, uno è caduto qui vicino abbattuto dalla contraerea.” mi ha detto un uomo. Con gentilezza. Ho ritrovato la vicina all’entrata del palazzo e insieme siamo risalite fino al quinto piano. Abbiamo bevuto un caffè nella mia cucina mentre i due piccoli giocavano - Tu non hai mai vissuto nella guerra. - mi ha detto.

- No, sono nata nel 1948. La guerra in Europa era già finita. Faccio un altro caffè?

- Si grazie. Io sono nata nel 1949. E c’era la guerra. Finita una ne è nata un’altra. Qui la guerra non va mai via. Ogni tanto si nasconde dentro il ventre della terra e quando meno te lo aspetti riappare a tradimento.

È spuntata l’alba, ma il sole appena sorto illumina e accende già il crepuscolo mattutino. Ripenso alle albe primaverili in Sardegna. Con il sole sopra l’orizzonte e qualche ombra notturna ancora intorno al suo alone rosato, esse indugiavano a lungo sull'orlo del mare prima di cedere il posto al giorno. La città si risveglia. Fra poco si sveglierà anche mio marito e mi dirà: ‘’Già alzata? Hai fatto il caffè?’’

Suo padre, Abdallah, quando era giovane, aveva un piccolo battello e commerciava tra la Siria e la Palestina. Poi il battello, che si chiamava Farah (Letizia), fu distrutto da una tempesta. Come la Palestina.

Mi affaccio al balcone e saluto il sole, che ha già inondato la città.

Il sole insostenibile sulla mia vita nuova. Dovrò abituarmi a vivere in questo Paese così pieno di luce, ma rabbuiato dalla guerra. Costretto dalla guerra ad affamarsi per comprare bombe e cannoni. Mi torna in mente la Guerra dei Sei Giorni. Anche allora l’estate stava rinascendo. Il tempo era ancora fresco, ma già pieno di fragranze e colori nel mio paese di montagna con gli orti di ciliegie, albicocche, gelsi e pesche che cominciavano a maturare e il rigoglioso sottobosco dei castagneti e il mare azzurro azzurro in lontananza che si mischiava con il cielo. Vicino alla stazione ferroviaria, i prati ancora teneri ci invitavano a marinare la scuola. Frequentavo il liceo allora.

Mi torna in mente la mattina del 5 Giugno 1967. L’ora di greco. Con i miei compagni le avevamo tentate tutte per evitare l’interrogazione.  Invano. La professoressa, inesorabile, puntava i nostri nomi nel registro spalancato sulla cattedra quando la preside entrò in classe e disse: ‘’Ragazzi, è successa una cosa gravissima. In Medio Oriente è scoppiata la guerra.’’  Si parlò del Medio Oriente e alcuni di noi scamparono l’interrogazione. Com’era lontano allora il Medio Oriente! Sono soltanto le sette di un mattino di prima estate. Non un mattino fresco e soave come quelli della mia giovinezza ma un mattino troppo intenso.

Forse, il ricordo di quei mattini lontani se ne andrà col prossimo scirocco.

lunedì 2 ottobre 2023

La Siria e l'Impero del Cielo

Il commento di Raimbaud sul significato della recente visita del presidente Assad in Cina: l'ex ambasciatore considera la Cina un avamposto per le forze della resistenza che lottano contro l’egemonismo occidentale. 

Di Michel RaimbaudTraduzione dal francese di Maria Antonietta Carta 

L’accoglienza spettacolare che i leader cinesi, con Xi-Jinping in testa, hanno riservato al presidente Bashar al-Assad, accompagnato dalla moglie e da una delegazione imponente, ha colpito per la fastosità, il calore, il simbolismo e il contenuto vario.

Nell’Impero di Mezzo, dove la Storia non è una parola vana, hanno voluto che non ci fosse alcun dubbio sull’importanza politica, strategica e geopolitica attribuita a un Paese di antica civiltà, e sul suo ruolo cruciale nell’aspro confronto tra il blocco eurasiatico capofila del Sud globale da un lato e il campo USA-NATO che incarna l’Occidente dall’altro. E questo tributo è stato reso a un Capo di Stato che non si è mai arreso nella tormenta.

Gli Occidentali del 'campo del Bene', delle grandi democrazie, etc. avranno bisogno di tempo per riprendersi. Che gli piaccia o no, questo incontro tra Xi, diventato un demone del loro pantheon infernale, e Bashar al-Assad, che da tredici anni è lo zoccolo duro, li ha raggirati.

Le espressioni utilizzate nel comunicato congiunto e nelle dichiarazioni individuali gli hanno tolto la speranza di poter accantonare ex abrupto le relazioni sostanziali tra i due Paesi: ad esempio, l’annuncio dell’istituzione di un “partenariato strategico” tra Cina e Siria (analogo all’accordo firmato con l’Iran), l’insistente richiamo al rispetto della sovranità degli Stati, alla non ingerenza nei loro affari interni e all’osservanza del Diritto internazionale, etc...

Di fronte alla grande instabilità e alle incertezze della situazione mondiale, ‘’la Cina è decisa a continuare la collaborazione con la Siria, a sostenersi a vicenda, a promuovere una cooperazione amichevole e a difendere equità e giustizia a livello internazionale”, ha affermato il Presidente cinese. Dal canto suo, Bashar Al Assad ha ringraziato Xi e il governo cinese per ‘’tutto ciò che avete fatto per stare al fianco del popolo siriano in difficoltà’’, sottolineando l’importanza della visita nel contesto e le circostanze attuali: “perché oggi si costituisce un mondo multipolare che ripristinerà l’equilibrio e la stabilità internazionale”.

Il comunicato congiunto sottolinea che “la parte cinese continuerà a fornire alla Siria tutta l’assistenza possibile e a sostenerne gli sforzi per la ricostruzione e la ripresa”. Esso riafferma il principio della sovranità siriana e sottolinea l’imperativo della ricostruzione, chiedendo la fine delle sanzioni e di tutte le misure coercitive economiche e finanziarie, contrarie al diritto internazionale, illegali e letali; di natura quasi genocidaria. É la conferma che la politica cinese contrasta risolutamente la strategia occidentale ipocrita e mortifera.

Per i seguaci dell'"Ah beh e allora", ricorderemo le relazioni di vecchia data tra Damasco e il Regno di Mezzo. Il 1o agosto del 1956 la Siria, indignata per la trilaterale franco-anglo-israeliana, protestava a modo suo riconoscendo la Repubblica popolare cinese; secondo Paese arabo due mesi dopo l’Egitto di Gamal Abdel Nasser. Alla fine degli anni ’60, la Siria e la Cina avevano già stabilito relazioni militari di alto livello e Pechino forniva armi a Damasco. Nonostante le contingenze della storia mediorientale, della Guerra Fredda e delle controversie sovietico-cinesi, il commercio bilaterale è cresciuto comunque a passi da gigante. Nel 2010, alla vigilia della dannata “primavera araba”, la Cina diventò il più grande fornitore della Siria.

All’attenzione dei poetastri dell’analisi e dei lacchè della propaganda occidentale, si conferma che la Cina ha contribuito a rompere l’isolamento della Siria e ha respinto con fermezza qualsiasi interferenza, opponendosi a tutti i tentativi di “disarmare” lo Stato siriano e di rovesciare il suo governo. 

Un semplice aneddoto testimonia la reattività dell’Impero Celeste di fronte alla questione siriana.

Nella primavera del 2011, un giornalista parigino ben introdotto parlava con un diplomatico cinese di stanza a Parigi dell'intervento della NATO contro la Libia, sulla base dell'uso improprio della risoluzione del Consiglio di sicurezza del 1973, reso possibile dall'assenza di un veto di Mosca e/o di Pechino; stuzzicando il suo interlocutore sulla futura posizione della Cina di fronte al progetto che si andava già delineando come un intervento armato in Siria, si attirò una risposta sferzante: ‘’ Ci prendete per degli idioti? Non ci sarà mai più una risoluzione in stile libico del 1973. Gli faremo mordere la polvere’’.

Qualche tempo dopo, un veto russo-cinese, il primo di una lunga serie, avrebbe bloccato qualsiasi operazione sotto la copertura delle Nazioni Unite.

Ci sono stati davvero molti veti a favore della Siria, mentre in precedenza la Cina aveva sempre usufruito con grande parsimonia di questo diritto che in realtà non ha mai amato: dal suo ingresso nel Consiglio di Sicurezza, deciso dall’Assemblea Generale il 25 ottobre 1971, ci sono tre veti riguardanti casi cinesi (Tai Wan o Hong Kong), contro dodici o tredici voti insieme alla Russia per vietare alle Nazioni Unite un intervento armato contro la Siria. Va rilevata anche una cooperazione umanitaria e una discreta, per non provocare Washington, assistenza militare. I Cinesi si preoccupano, a ragione, per i mercenari Uiguri arruolati nel “movimento di resistenza del Turkestan orientale” (Xin Qiang), guidato dalla Turchia, e calati con le famiglie in Siria, dove sono a margine impiegati per la sostituzione etnica della popolazione locale scacciata, (vedi link https://oraprosiria.blogspot.com/2016/11/jihadisti-cinesi-in-siria.html, n.d.t.) nel nord del Paese controllato dai jihadisti. 

I rapporti di fiducia tra le due capitali e i due presidenti sono saldi. La visita di Bashar al-Assad a Pechino dal 21 al 26 settembre 2023 si svolge in un contesto molto diverso. Vittoriosa militarmente e politicamente, la Siria – il suo intero popolo – sta però soffrendo i tormenti per l’embargo occidentale, con pacchetti di numerose e varie sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. È a questa nuova fase di guerra ibrida, insieme all’occupazione e al saccheggio del nord-est del Paese, per non parlare della mobilitazione della Russia in Ucraina, che si deve una situazione di giorno in giorno più drammatica. 

Ma ci sono fattori geopolitici che modificano le linee e cambiano le regole del gioco. L’irruzione in atto della Cina su tutti i fronti diplomatici e conflittuali in Asia occidentale e in Medio Oriente (Afghanistan, Iran/Arabia Saudita, Iraq, Siria, Libano) tende a contrastare il “pivot” di Obama amato dalle élite subordinate dell’Occidente (Il Pivot to Asia era una delle principali iniziative di politica estera dell'amministrazione guidata da Barack Obama, n.d.t.), insieme alla crescente presenza economica in Africa. Pur mostrando chiaramente l’ambizione di ripristinare l’antica Via della Seta con OBOR, il suo “progetto del secolo” che mirava all’espansione verso ovest, la Cina ha accelerato lo spostamento a est verso l’Eurasia del centro di gravità della politica globale. Coloro che pensavano di piegare il Medio Oriente alle loro ambizioni o “domare” la Siria e cancellarla dalla mappa saranno delusi.

La Cina è un avamposto per le forze della resistenza che lottano contro l’egemonismo occidentale. 

Tra Mosca e Pechino, si è sviluppata una stretta collaborazione che apre la strada a una nuova e vigorosa sfida all’ordine mondiale come si è imposto per secoli. La volontà di rifondare è particolarmente evidente lungo l’immensa fascia “verde” il cui epicentro coincide con lo spazio siriano crocevia di civiltà e culla dei tre monoteismi; dove il sentimento del divino risale agli albori dei tempi e si è fuso con la Storia tanto da mescolare intimamente identità e credenze.

Non sorprende, quindi, che questa Siria, dove ininterrottamente regna il senso del sacro, del soprannaturale, abbia trovato il cammino della salvezza dalle parti della Russia eterna e dell’Impero Celeste. 

Michel Raimbaud

arretsurinfo.ch 26 settembre 2023,  Mondialisation.ca, 29 settembre 2023

Le affermazioni e le opinioni qui espresse sono quelle del loro autore e non possono in alcun modo essere attribuite ad OraproSiria

domenica 13 agosto 2023

Siria. La distruzione della memoria : IL SANTUARIO DI SAN SIMEONE

veduta aerea ripresa da nord ( foto Roumi)
 

LETTURE PER CAPIRE (3° PARTE)

(1° PARTE: Le Città Morte QUI)

(2° PARTE: Le chiese paleocristiane QUI

(3° PARTE: Qalb Loze  QUI )


Di Maria Antonietta Carta

La descrizione del sito è antecedente al 2011. Nel 2013, i jihadisti lo occuparono e ne fecero un centro di comando logistico e di addestramento. Non si conosce lo stato in cui possono averlo ridotto e fino a che punto sia stato saccheggiato. Molte delle sue vestigia sarebbero finite in Turchia come altri, innumerevoli, tesori storico-artistici del Massiccio Calcare e di altre regioni della Siria. La colonna di Simeone è stata distrutta.

Per rendere schiavo o annientare un popolo, si tenta di ottenebrarne l’intelletto con messinscene di propagande ingannevoli e cultura trash, con il vile contributo di politicanti inetti o corrotti e di mestatori di ogni genere.  Quando tutto ciò non basta, si passa alle bombe, al terrorismo e all’assedio economico che genera mercato nero che genera corruzione che genera miseria; si razziano le materie prime e le coltivazioni; si condannano a immani sofferenze e all’inedia gli innocenti; si uccide chi resiste, si saccheggiano o devastano le vestigia del passato. Si cerca di cancellare la memoria, come accade in Siria da 12 anni. 
(Nota dell’autrice).

Cenni sul monachesimo siriano delle origini 

Il Cristianesimo cominciò a diffondersi in Siria a partire dal IV secolo (dopo l'editto di Costantino, 313 d.C.) e soprattutto dopo che l'imperatore Teodosio (con l'editto del 380 d.C.) aveva ordinato la chiusura dei templi non cristiani e proibito qualunque manifestazione pubblica degli altri culti, perseguitando gli oppositori con una feroce repressione. Alla nascita dell’Impero Romano d'Oriente (395 d.C.), la Siria passò sotto il dominio bizantino.

I primi cristiani del Massiccio Calcare furono anacoreti e cenobiti che, dissentendo dalla chiesa trionfante ormai partecipe del potere temporale, avevano scelto di vivere un'esistenza primitiva e di praticare la virtù stoica dell'indifferenza al piacere e al dolore. Inizialmente, non furono accettati volentieri dalle popolazioni rurali; soprattutto perché alcuni monaci integralisti, spesso arrivavano a distruggere i luoghi sacri degli autoctoni. Ma con il trascorrere del tempo gli asceti diventarono popolari in quanto al contrario del clero imperiale, che era di cultura ellenistica e si esprimeva in greco, parlavano e pregavano in siriaco, lingua del popolo; ciò facilitava i contatti ed essi finirono per assumere il ruolo sociale di guida in quelle comunità.

Agli inizi del V secolo, il Cristianesimo era ormai radicato nel Massiccio Calcare e verso la fine del VI secolo - alla vigilia delle guerre persiano-bizantine - quasi l’intera popolazione era cristiana, con circa il 4% di monaci, e i cenobi costituivano un elemento fondamentale della società rurale. Alcuni complessi monastici della regione, come quello di Teleda, furono centri insigni di cultura religiosa e profana. Il siriaco, diventato lingua scritta, acquisì anche una connotazione politica quando i frequenti contrasti dei monaci dell'Antiochene con Costantinopoli, sfociarono non solo in divisioni ma persino in lotte cruente, espressione di una volontà autonomistica e nazionalistica. In questo contesto, si inserisce la vicenda del celebre anacoreta Simeone Stilita il Vecchio. 

Chi era Simeone Stilita?

S. Simeone nacque a Sisan, villaggio al confine con la Cilicia, nel 386 d.C. Ancora adolescente, entrò nel celebre convento di Eusobonas a Teleda (odierna Tell Ade) e vi rimase dieci anni. Ne fu allontanato per l'eccesso delle sue penitenze e si trasferì a Telanissos (Deir Simaan) in un monastero reputato severo; ma anche lì i confratelli giudicarono inaccettabili le sue abitudini. Egli raggiunse allora la vicina montagna iniziò la vita anacoretica come stazionario, legandosi al piede una grossa pietra con una catena di ferro lunga meno di dieci metri. Ben presto divenne celebre e i visitatori cominciarono ad affluire al suo eremo. Trovando insopportabile la loro esagerata venerazione, Simeone decise di rifugiarsi su una colonna, eleggendola a fissa dimora. Correva l’anno 422 ed in Siria nasceva una nuova forma di ascesi: lo stilitismo. Protetto unicamente dalla cocolla (indumento con cappuccio a punta caratteristico del l'abito monastico) l'anacoreta viveva esposto ai rigori delle stagioni e praticava digiuni inumani. Recitava i salmi per quasi tutta la notte e durante il giorno fino all’ora nona. Predicava e riceveva i pellegrini che arrivavano da ogni parte dell’Impero Romano per invocare le sue virtù taumaturgiche. Appianava le controversie dei nomadi della steppa e discuteva con devoti e curiosi (anche uomini di cultura) che si recavano a migliaia ai piedi della colonna. Morì a sessantanove anni, avendone trascorso circa quaranta da stilita. All'epoca, il corpo di un asceta diventava ambita reliquia da contendersi anche a costo di lotte sanguinose e le spoglie di Simeone furono portate manu militari ad Antiochia. Più tardi, l'imperatore Zenone, allo scopo squisitamente politico di accaparrarsi il favore popolare, le fece trasferire a Costantinopoli e edificò il santuario del santo sulla montagna teatro della sua ascesi. Nella vicenda di Simeone si riassume la ragione profonda dell'anacoretismo siriano: soggiogare il corpo mantenendo la padronanza di sé e sopportando privazioni e patimenti estremi per elevare lo spirito diventava un’estrema testimonianza di fede e mezzo di santità. Ancora vivente, egli ebbe moltissimi emuli. L’ascesi su una colonna fu forse la più spettacolare, austera ed esagerata forma di penitenza tra quelle predilette dai mistici paleocristiani della Siria, tanto da essere diventata leggendaria. Nelle cronache del VII secolo si citano ‘’selve di colonne di stiliti’’.

Presto essa si diffuse nel resto dell'Impero d’Oriente e oltre.



Il complesso basilicale-monastico di San Simeone dista 36 km. da Aleppo e sorge sulla vasta spianata artificiale di uno sperone roccioso alle pendici del Jebel Simaan degradante a ovest verso la piana di Qatura, dove si trova una necropoli rupestre romana del II secolo d.C. Esso ricorda i santuari-martyrion che derivano dall’architettura funeraria greco-romana.

Nella sua pianta, originale e complessa, la croce – formata da quattro basiliche a tre navate – si fonde con l'ottagono al centro. Dal punto di vista puramente architettonico è ‘’l' edificio cristiano più grandioso prima delle cattedrali dei secoli XI-XII in Occidente.’’ Cfr. J.Mattern, Villes Mortes de Haute Syrie, Imprimerie catholique, Beyrouth 1944, pg.120.

Edificato tra il 476-491 per volere imperiale e unica ‘’isola’’ calcedonese in quella parte del Massiccio Calcare popolata da monaci monofisiti, divenne un centro di pellegrinaggio internazionale comparabile ai Luoghi Santi di Palestina. Fu trasformato in fortezza nel X secolo dai Bizantini dopo la riconquista di Antiochia, ma neppure l'occupazione bizantina e le successive - degli Hamdanidi (985) e dei Fatimidi (1017) - arrestarono l’affluenza dei devoti almeno fino al XII-XIII secolo. E prima della guerra iniqua che sta distruggendo la Siria, questo luogo straordinario raccontava ai visitatori la storia di un'epoca e la grande maestria degli artigiani siriani, depositari di un'antichissima e alta cultura scultorea ed architettonica. 

Vi si accede attraverso una breccia nella cinta muraria fortificata che dà il nome al sito: Qalaat Simaan, la cittadella di Simeone. Una breve strada in salita conduce alla spianata dove si conservano le vestigia del monastero, una torre delle mura medievali e, in fondo a nord, solenne e magnifico in cima alla montagna deserta, il tempio che custodisce al centro la colonna-reliquia del santo.    


Basilica Sud. 

L’arco centrale del nartece, più ampio e più alto dei laterali, poggia su colonne affiancate da pilastri scannellati. Le colonne sono coronate da originali capitelli corinzi con foglie di acanto piegate come per un forte colpo di vento. I timpani triangolari, ben sottolineati da cornici scolpite, poggiavano nel loro punto d'incontro su colonnette che avevano per base gli sporgenti pilastri scannellati (quasi dei contrafforti). Aveva una triplice copertura a doppio spiovente. (foto 1)

Oltre il nartece, si scorge l'alto muro della facciata della navata centrale della Basilica Sud, con due porte molto ampie e quattro finestre sottolineate da modanature e, in origine, separate in due gruppi da colonnette su beccatelli. Il muro termina con un bel cornicione scolpito, ma probabilmente era sormontato da un timpano triangolare. Le due porte più piccole, che introducono alle navate laterali, sono sormontate da archi e decorate con cornici scolpite. Due ordini di colonne (le cui basi sono in situ) separavano le tre navate di questa basilica a pianta quasi quadrata (m. 25 X 24). Anche la maggior parte degli altri elementi architettonici crollati: pietre di archi e claristori con colonnette in aggetto su cui poggiavano le travi dell’armatura del tetto, fusti di colonne, conci e capitelli corinzi giacciono al suolo. I muri perimetrali, formati da grossi blocchi disposti a secco in assise orizzontali, secondo la tradizione regionale, si conservano quasi intatti. Essi risultano alleggeriti da grandi porte e da numerose finestre, nonostante gli archivolti che circondano i tre lati dell'edificio sovrapponendosi ad altri elementi decorativi creino un effetto di gravezza singolare, rispetto all' elegante semplicità che in genere contraddistingue gli edifici sacri del Massiccio Calcare.

Ottagono

È il nucleo materiale e mistico del santuario. Nasce da otto grandi archi poggianti su sottili pilastri che acquistano slancio e leggerezza dalle alte colonne monolitiche ai loro lati. Le colonne sono decorate con foglie di acanto uguali a quelle del nartece. I quattro maestosi archi ovali diretti verso i punti cardinali introducono alle altrettante basiliche a tre navate, da cui la colonna-reliquia alta 21 metri era sicuramente ben visibile, (foto 2) creando una sintesi architettonico-simbolica di straordinaria efficacia. Gli altri quattro archi dell’ottagono, che si aprono su altrettante cappelle trapezoidali con piccole absidi nel fondo, collegano tra di loro le navate laterali e, in questo modo, avvolgono l'ottagono e la croce, conferendo maggior respiro e armonia all'imponente edificio. Queste cappelle dovevano ospitare dei sepolcri, come fa pensare anche il coperchio ad acrotèri di un sarcofago nell'abside N-E. Le decorazioni scolpite dell'ottagono sono uguali a quelle delle navate. Il pavimento di pietra risale al X secolo, epoca in cui il tempio fu trasformato in fortezza. In origine, l’ottagono doveva essere coperto da una cupola, probabilmente simile a quella del battistero a sud della spianata. La parte esterna delle piccole absidi S-E e N-E - più curate delle altre due e con tre finestre ciascuna - richiama nell'ornamentazione l'abside centrale della basilica Est. 


Al centro dell’ottagono e ancora sulla sua base originale (foto 3) - un cubo di quasi due metri di lato tagliato direttamente nella roccia - poggia la colonna di Simeone o meglio il poco che ne rimane, essendo stata per secoli reliquia taumaturgica soggetta alla venerazione devastatrice dei pellegrini. Scriveva a questo proposito lo storico Abu al-Hassan ‘Ali Ibn Bakr al-Harawi: ‘’Si trovano a Deir Sim’an (deir in arabo significa monastero e lo storico definisce impropriamente monastero il santuario) rovine come non ne esistono simili al mondo. In mezzo al Deir, un fusto di colonna utile [per guarire] dalla febbre, se si prende della polvere di questa pietra per un malato e si fa un voto per lui.’’ (J. Nasrallah, Le couvent de Saint Siméon l'Alepin, in La parole de Orient, Paris 1970, II, pg. 343). Uno spazio (detto mandra) intorno alla base della colonna, che era chiuso da una balaustra di legno (di cui si riesce a individuare la posizione originaria) proteggeva l'asceta dalla devozione esagerata dei fedeli. Evagrio lo Scolastico narra di ‘’Abitanti della regione che arrivavano in gran numero e danzavano attorno alla colonna, e di una stella folgorante che apparve varie volte nella parte sinistra del santuario. Alcuni affermavano di aver visto la figura dello stilita, con la testa incappucciata e la lunga barba, volare nella basilica. Persino i cavalieri sui loro cavalli giostravano attorno alla colonna, ma non era permesso alle donne di oltrepassare la soglia del santuario.’’ (Hevagrius, Historia Ecclesiastica, L.I, c. XIII e XIV). Quest'ultimo punto, secondo alcuni studiosi, sarebbe discutibile, dato che le donne accorrevano numerose al santuario per chiedere la grazia di una maternità.

Basilica Ovest. 

 La basilica si prolungava in una loggia, oltre il ripido pendio della montagna, per mezzo di sostruzioni artificiali: contrafforti e poderose arcate. Tre archi su colonne collegavano la navata centrale a questa loggia-belvedere da cui si poteva ammirare lo splendido panorama della piana sottostante con i suoi villaggi e borghi, il Jebel Sheikh al-Barakat, la valle dell'Afrin, la piana ed il lago di Antiochia e la catena montuosa dell'Amanus. Le navate laterali avevano due porte.

Basilica Nord. 

Dagli elementi strutturali allineati al suolo si capisce che il suo interno era praticamente uguale a quello della Basilica Sud. Nei muri esterni, che erano circondati da portici con colonne, si aprono numerose porte (foto 4) - per facilitare la circolazione delle migliaia di pellegrini che accorrevano in certi periodi - e finestre, decorate da modanature a volute. La facciata a nord è particolarmente interessante e ricca di ornamentazioni scolpite.

* Le Basiliche Sud, Nord e Ovest svolgevano essenzialmente la funzione di ambulacri. All'esterno, le porte nel lato ovest ed est della Basilica Sud e quelle nel lato sud della Basilica Est erano precedute da pròtiri. Tutti gli altri muri esterni del santuario erano completamente porticati. 

Basilica Est.

 La vera chiesa, l'unica in cui si officiava, aveva due campate in più delle altre basiliche. Al suolo, restano frammenti di mosaici a disegni geometrici del V e anche del X secolo, come testimonia una iscrizione bilingue - in greco e siriaco - del 979 d.C.: epoca in cui al suo interno fu edificato un palazzetto arabo. Il lato est termina con tre profonde absidi a emiciclo e copertura a semi-cupola. Gli archivolti delle absidi sono decorati con motivi vegetali che abbelliscono in particolar modo la cornice dell'abside centrale perfettamente allineata a est, per cui la basilica risulta leggermente spostata a nord del suo asse. L'abside centrale ha un ordine di cinque finestre nella parte inferiore e una finestra più piccola sopra la cornice che sottolinea la volta. L'archivolto delle finestre è circondato da modanature. Le absidi laterali hanno ciascuna una finestra.

La parte absidale esterna rappresenta un’innovazione nell'architettura siriana del V secolo. Qui, infatti, per la prima volta, le absidi non sono racchiuse in un muro dritto. L’abside centrale ha due ordini di colonne corinzie, un cornicione e una decorazione scultorea a conchiglie. Le absidi laterali, semplicemente circondate da un alto zoccolo che arriva alla base delle finestre e coronate da una cornice, sono affiancate dalla prothesis e dal diaconicon.


La cappella mortuaria.

 A 30 metri circa dalla Basilica Est e praticamente addossata alle mura bizantine, sorge una cappella mortuaria quasi monolitica. Essa fu infatti ricavata nello scavo da cui venivano estratti i massi di calcare per la costruzione del santuario. La facciata e i due frontoni sono le uniche parti importanti in muratura. La cappella è orientata a est, come in generale le chiese della regione. Sotto il pavimento c'era l'ossario. Altre tombe, oltre che nelle piccole absidi del santuario, erano collocate nei lati delle Basiliche Sud e Nord.

Chiesa conventuale.

 Nel lato est di una grande corte, delimitata a nord e a ovest dai muri del santuario, sorgeva una piccola basilica a tre navate per le funzioni private dei monaci. Una porta la metteva in diretta comunicazione con la prothesis del santuario. ‘’... aveva, sopra le navate laterali, tribune che comunicavano con le sacrestie del santuario e con il primo piano del convento. L’abside dritta era fiancheggiata da due torri.’’ (G.Tchalenko, Villages Antiques de la Syrie du Nord, Paris 1953, pg. 236). È particolarmente degno di nota il ciborio scolpito (foto 5) che si trova al suolo, addossato alla parete nel lato ovest della cappella.

Monastero. I lati est, sud ed ovest della corte a cui si affacciava la chiesa conventuale erano delimitati da un monastero a due e tre piani, circondato su tre lati da gallerie aperte. La pianta era piuttosto complessa. Come tutti i monasteri della regione, aveva nel lato est del piano terra un oratorio e diverse sale; scuderie nel lato sud. Esso subì diverse trasformazioni interne in epoca medievale e non è ancora perfettamente studiato. 

Battistero. Sorge all'estremità sud della spianata e presenta una pianta ottagonale inscritta in un quadrato. Nei lati nord, sud e ovest del quadrato, tre gallerie circondano l'ottagono. Nel lato est, si aprono due nicchie e una profonda abside che ospita il fonte battesimale a cui i battezzandi accedevano dalle scale di due piccoli locali che fiancheggiano l'abside. Sia il fondo del fonte battesimale sia il pavimento del battistero erano musivi. L'ornamentazione scultorea della facciata ovest è particolarmente degna di nota. Il battistero era circondato a ovest, est e nord da un portico a colonne. Nel lato sud del battistero, troviamo i resti di una basilica a tre navi destinata ai catecumeni, che per dimensioni e stile architettonico era simile alla chiesa conventuale.

- Nel Massiccio Calcare il battesimo avveniva per infusione. Durante il IV secolo, il battistero si situava nel lato est della chiesa. Nei secoli V e VI diventava un edificio indipendente, disposto a S-E.

- Ai lati est, sud e ovest del battistero, sorgevano tre edifici rettangolari. Probabilmente si trattava di ospizi per i pellegrini. L'edificio a sud aveva portici ai lati sud e nord, mentre da una porta monumentale a doppio arco (propileo) nel lato ovest entravano le processioni provenienti dal vicino centro di Telanissos (Deir Simaan). Negli edifici a ovest e a est. i porticati si aprivano sulla spianata.


Elementi decorativi

L'ornamentazione scultorea interna ed esterna di Qalaat Simaan è complessa sia per la varietà di stili e forme sia per la sua profusione. I motivi classici si uniscono alle invenzioni dell’arte locale e agli apporti regionali. Sono degni di attenzione l’aggetto delle facciate, il coronamento delle porte, le colonne addossate col capitello che serve da appoggio alla cornice, le mensole e le colonnette, i nastri e le volute che circondano i muri perimetrali, le porte e le finestre avvolgendo praticamente l'edificio. Segni cristologici (foto 6), svariate figure geometriche e motivi naturalistici sono copiosamente scolpiti in archivolti, cornicioni, capitelli e architravi. Talvolta, la scultura diventa quasi ricamo, come nel ciborio conservato nella chiesa conventuale o in certi architravi sparsi al suolo. In origine, molte parti degli interni dovevano essere dipinte e i pavimenti erano ricoperti da mosaici. Il bianco calcare - che il tempo ha tinto in parte con una tavolozza di colori che spaziano dal grigio alle varie sfumature dell'ocra - domina sovrano negli elementi strutturali e decorativi.

- Il santuario cruciforme misura 100 metri in direzione E-O e 88 metri in direzione N-S. La sua superficie è di 3. 840 m². La superficie della spianata è di 12.000 m² e potevano sostarvi 10 mila pellegrini alla volta.

Colonne degli stiliti

Le colonne erano composte da una base su cui si fissava il fusto di uno o più tamburi uniti da sbarre o anelli di ferro che assicuravano stabilità in caso di uragani o terremoti, molto frequenti nella regione. La loro altezza massima era in genere di 13-16 metri e la piattaforma larga sufficientemente perché gli asceti potessero trascorrervi la vita. Talvolta, un tetto di frasche o pelli su una garitta di assi li proteggeva dalle intemperie, ma spesso essi si esponevano senza protezione alcuna. Tracce di canalizzazioni, che partono dalla base, fanno pensare a un tubo di piombo o terracotta che ne raggiungeva la sommità e serviva come scarico dei rifiuti organici, che defluivano verso una fossa poco distante.


Le immagini di questo articolo, esclusa la veduta aerea, sono dell’autrice.



AUGURIAMO A TUTTI I NOSTRI AMICI 
SANTA E LIETA SOLENNITA' DI MARIA ASSUNTA:
che Maria salita al Cielo ci aiuti a seguirla, nella fedeltà quotidiana ,  
per vedere con Lei il volto del Figlio e dei Santi 

martedì 28 marzo 2023

Siria. 12 anni di guerra, di sanzioni e un terremoto devastante. Il calvario, il coraggio, la forza d’animo e la dignità di un grande popolo.

Innamorati che camminano tra le macerie. Aleppo, 17 agosto 2019.
 

Di Maria Antonietta Carta e Salima Karroum

La guerra.

Il 15 marzo del 2011 aveva inizio la guerra in Siria: ennesima aggressione occidentale contro un Paese sovrano spacciata come sempre, tra una balla mediatica e l'altra, per intervento umanitario. Una guerra che si protrae fino a oggi. Nei primi giorni sotto forma di rivoluzione colorata, ben presto si trasformò in conflitto sanguinoso di una violenza inaudita, soprattutto con la calata di gruppi terroristici provenienti da ogni parte del mondo. 

L’orrore. Hanno terrorizzato, decapitato, lapidato, impiccato e crocifisso. Hanno rapito, condannato a matrimoni forzati, commesso stupri, ridotto in schiavitù sessuale e costretto alla prostituzione donne e bambine: in un vero mercato di schiave a Raqqa, le più giovani e più belle prigioniere di DAESH erano vendute a caro prezzo.

Hanno rapito bambini e li hanno addestrati a uccidere.

Hanno deturpato la bellezza e tentato di cancellare il passato.

La splendida Palmira, la Aleppo monumentale, il grandioso santuario di S. Simeone stilita, Ebla, Raqqa, la Chiesa Memoriale dei Martiri Armeni, che commemorava il genocidio di 1.500.000 di Armeni nel 1915 perché la località fu uno dei principali luoghi della loro deportazione, la maggior parte delle chiese di Homs, tra cui la chiesa di Umm al-Zennar, tra le più antiche della Siria, le statue del grande poeta Abū al-Alāʾ al-Maʿarrī e centinaia di altre opere e siti di straordinario valore storico-culturale sono stati devastati da bande armate che per i media mainstream occidentali erano gentili “ribelli moderati”.

Hanno distrutto centrali elettriche, dighe, strade, ponti, scuole e ospedali.

Hanno fatto bottino a man bassa delle materie prime e di un numero incalcolabile di preziosi reperti archeologici di una civiltà plurimillenaria.

L’insigne archeologo Khaled al-Asaad, direttore generale delle Antichità e del Museo di Palmira, ora ipocritamente pianto e osannato in Italia, è stato ucciso per mano di criminali fanatici, sostenuti dalla brama di potere neo-coloniale imperialista e da Paesi arabi ignobili.

Rappresentanti di alcuni gruppi di vandali prezzolati e turpi assassini hanno partecipato a Ginevra e ad altre conferenze con la pretesa di candidarsi a governare quel Paese meraviglioso che stavano annichilendo.

Gli USA e la Turchia sono i cinici approfittatori della spoliazione ancora in atto. 

Oscurantismo. Assassinato dagli sgherri degli “esportatori di democrazia” perché era un poeta. 

Nel marzo 2016, l'ISIS giustiziava Muhammad Bashir al-Ani e suo figlio nella città di Deir Ezzor. Il suo crimine? Scrivere poesie. 

Dignità. Levateci l’embargo. La popolazione siriana non vuole mendicare l'aiuto dei grandi organismi umanitari per il suo diritto alla vita, ma vivere come tutte le altre popolazioni del mondo. Non possiamo essere dei mendicanti. Noi rivogliamo la nostra dignità. George Sabe, fratello marista. 

Sanzioni. L’assedio economico, che impedisce di importare i materiali per la ricostruzione edilizia e persino generi di prima necessità quali farmaci salvavita e macchinari ospedalieri, sta prostrando la popolazione.

Michel Raimbaud, ex ambasciatore di Francia, scrive: Le sanzioni sono armi di distruzione di massa finalizzate a minare una società civile e laboriosa. E per questo vengono utilizzati tutti i mezzi: spingere i Siriani a fuggire dal Paese, costringere le minoranze all’esodo e provocare l’emorragia delle élites con lo scopo di prevenire la successiva ricostruzione del tessuto sociale nazionale. Alla fine, è necessario chiamare le cose con il loro nome: gli aggressori della Siria legale, della Siria sovrana, che agiscono in violazione del diritto internazionale, sono delinquenti e criminali. https://oraprosiria.blogspot.com/2017/05/ex-ambasciatore-raimbaud-la-tragedia.html  

La guerra dentro Aleppo. Un grande massacro avviene proprio adesso. Sono state bombardate sia la parte est sia la parte ovest, con centinaia di vittime. Tutti gli ospedali e tutte le farmacie restano aperte e distribuiscono medicinali gratuitamente ai feriti. I civili si aiutano a vicenda nelle zone colpite dalla guerra. Issa Touma da Aleppo. Oggi, 29 aprile 2016. 

Un'immensa tragedia nella tragedia. L'infanzia negata. Poco o niente si parla di loro nei nostri Paesi 

1. Bambini rapiti e dispersi durante il periodo bellico in tutte le regioni siriane.

2. Bambini senzatetto nei campi.

3. Migliaia di bambini che soffrono il freddo e la fame nelle strade delle città e nei villaggi.

4. Bambini costretti ad abbandonare la scuola e prede di sfruttatori, che per contribuire al sostentamento della famiglia trasportano carichi pesanti, sono esposti a pesticidi e sostanze chimiche tossiche e trascorrono giornate lavorative interminabili.

5. Spose bambine. All'interno del Paese, ma soprattutto nei campi lager in Turchia, Libano e Giordania, dove sono innumerevoli anche i bambini siriani di strada o sfruttati nelle fabbriche e nell'agricoltura.

6. Bambini soldato nei territori controllati dall'ISIS sponsorizzato dall'Occidente.

Dal carcere Siria 3 anni fa.  Carissimi amici, qui in carcere non sono solo. Condivido questa cattività con tutti i miei connazionali. Noi Siriani, infatti, viviamo dal 2011 in una grande prigione imposta dalle politiche occidentali, dai Paesi che si arrogano il ruolo di difensori dei diritti civili ma mettono sotto embargo una nazione intera. Sapete perché siamo in questa prigione? Per aver difeso il nostro bellissimo Paese dai terroristi che volevano trasformare la Siria in uno Stato oscurantista.

Oggi, i grandi mezzi di informazione amano mettere in luce la storia di una bimba morta di freddo o una famiglia costretta a fuggire dai bombardamenti, ma questi stessi mezzi non vi parlano dei milioni di Siriani che soffrono il freddo per mancanza di gasolio, che non sempre possono godere di un piatto caldo per mancanza di gas da cucina. Non vi parlano degli studenti che non possono studiare dopo il tramonto per mancanza di corrente elettrica, non vi parlano degli anziani abbandonati perché i loro figli sono dovuti emigrare. Non vi parlano dell'altissimo carovita perché la lira siriana è precipitata ulteriormente, non vi parlano dei giovani soldati che combattono il terrorismo con temperature sotto zero e non sanno se potranno farcela, non vi parlano degli ammalati che non possono avere cure dignitose perché i terroristi “moderati” hanno distrutto la maggior parte degli ospedali e perché gli ospedali che funzionano non riescono a far riparare i macchinari a causa dell’embargo. E sicuramente non vi parleranno dei bombardamenti israeliani che hanno ucciso un giovane universitario due giorni fa e neanche dei discorsi apertamente ostili di Erdogan che ha deciso di introdurre nelle scuole elementari la nostalgia ottomana di riconquistare le terre limitrofe tra le quali anche la Siria. I grandi mezzi di informazione non vi parleranno neanche della gioia degli Aleppini da quando l’esercito nazionale è riuscito a liberare i sobborghi ovest di Aleppo, dai quali piovevano i mortai sui civili. Non vi parleranno mai della gioia di tutti i Siriani per la riapertura dell’autostrada Damasco-Aleppo e della rimessa in funzione dell’aeroporto internazionale di Aleppo che ha dato speranza di una possibile ripresa economica. Non vi parleranno dell’annuncio della riparazione della via ferroviaria tra la capitale siriana (Damasco) e la capitale industriale (Aleppo) e della possibilità di viaggiare in treno dopo nove anni di guerra. Perciò vi dico che siamo in carcere e che le nostre notizie, quelle vere, sono scarsamente diffuse. Talvolta, qualcuno viene a trovarci, ci fa sentire parte del mondo e ci dà la speranza di poter tornare a essere una nazione “normale”, non tagliata fuori dal mondo. Un messaggio di padre  Bahjat Karakach.  

Il ruolo della disinformazione dei media mainstream.  Non considerano sufficienti le invasioni illegali - come se la Siria fosse una terra senza padroni da poter violare e saccheggiare a piacimento - la devastazione e la spoliazione, gli attentati contro civili, gli incendi, le violenze inumane di assassini mercenari, le incursioni aeree di Israele, i traditori e le sanzioni. I guerrafondai hanno fatto ricorso in modo massiccio alla propaganda menzognera, con accuse su fantomatici attacchi chimici o su mille bombardamenti di un “ultimo ospedale” di Aleppo o la morte reiterata di un “ultimo pediatra”. E ancora, immagini fabbricate ad hoc con bambini “vittime” sempre dell’esercito regolare o alleato, con messaggi di povere bimbe innocenti, strumentalizzate ignobilmente, che per l’età dovevano conoscere appena l’alfabeto arabo, ma in perfetto inglese imploravano se non la terza guerra mondiale almeno il bombardamento a tappeto della Siria. E, a completare l’opera, l’infame Caesar Act creato per costringere un popolo assediato alla resa o per condannarlo all’estinzione. Come se non bastasse, ecco questi guerrafondai ricorrere ancora a pennivendoli spregevoli, lacchè sempre pronti a inventare falsità, affinché con i loro articoli un pubblico poco attento continui a considerarli difensori dei Diritti Umani e della libertà. In questa turpe guerra, alimentata dunque anche dai professionisti amorali dei mass media, sono stati uccisi centinaia di migliaia di esseri umani e decine di migliaia sono feriti e mutilati o patiscono per sofferenze e privazioni di ogni genere. Intanto, giornalisti degni di questo nome, rischiano di finire e altri sono finiti in prigione per averci raccontato la verità. Come la terribile vicenda di Julian Assange insegna.

I nostri politici truffatori, i nostri giornalisti compiacenti, i nostri intellettuali smarriti o traviati partecipano, con poche eccezioni, all'enorme cospirazione della menzogna che fa passare la Siria sovrana e legale per usurpatrice e massacratrice, e i suoi aggressori e i loro padrini, orientali e occidentali, per i liberatori rivoluzionari... Michel Raimbaud, Les guerres de Syrie, ed. Glyphe

Il coraggio.   

Sweida. Una nonna di 72 anni era sola in casa con i nipotini, quando due terroristi dell'ISIS sono entrati per sterminarli. Lei, pur essendo stata ferita gravemente, riesce a uccidere i terroristi con un fucile e a salvare questi quattro bimbi. Però, anche essere costretti a questi atti di coraggio per salvare la vita propria e dei propri cari è una violenza subita a causa della guerra. Un trauma doloroso, sicuramente.


Il terremoto

Prostrazione. Dopo la seconda forte scossa del terremoto, non riuscendo a contattare per telefono una nostra amica le scriviamo un messaggio:

Speriamo che stiate bene. Ci hanno raccontato quanto è stato terrificante.

A dire il vero, siamo stanchi della povertà, delle malattie, della maledetta guerra e adesso ancora una volta il terremoto. Nura, Latakia. Il suo era un grido di disperazione. 

Che cosa ha tremato?   All'alba del 6 febbraio non ha tremato soltanto la terra sotto i nostri piedi ad Aleppo. Sono bastati quaranta secondi per sconvolgere tanti equilibri personali e collettivi.

Che cosa ha tremato? Forse tutto, almeno questo è ciò che possiamo sentire ed esprimere adesso. Sì, non ha tremato soltanto la crosta terrestre. Abbiamo tremato anche noi che dormivamo tranquilli sognando forse un giorno migliore e il sole che scacciasse i rigori dell’inverno.

Ci siamo svegliati scioccati e smarriti, senza fiato sotto la pioggia e al freddo.

Ogni pietra che precipitava dagli edifici su una famiglia o su un’automobile contribuiva a demolire l’equilibrio seppur precario che avevamo sognato di raggiungere. A ogni lacrima le nostre anime, che ancora cercavano di liberarsi dal lutto della guerra e delle sue ripercussioni, si intristivano. I nostri piedi nudi correvano ancora una volta sulle orme dell'ignoto. Verso il nulla.

La strada, che dieci anni fa era un luogo di pericolo, è diventata un rifugio. La casa, nicchia di affetti e sicurezza, è diventata un luogo di pericolo e anche di morte. Dopo dieci anni, la nostra pace ha tremato di nuovo, ma questa volta per paura di un'angoscia soffocata e incontrollabile. Il dubbio si è insinuato profondamente nella nostra fede con le sue domande: "Perché? Perché ancora noi? Perché adesso? Perché tanto dolore?" I volti infelici diventati inespressivi occultano dentro le rughe un misto di stupore, paura e rabbia. Sì, non ha tremato soltanto la terra. Tremano anche i nostri cuori e i nostri pensieri.

Aleppo ha conquistato di nuovo i titoli dei giornali di tutto il mondo, ma non la solidarietà. Purtroppo, i pregiudizi politici e le discriminazioni non si sono indeboliti nemmeno di fronte alle violente scosse della natura. Di fronte a questa catastrofe cosa abbiamo fatto? Non siamo rimasti fermi. Abbiamo aperto le nostre porte per accogliere e i nostri cuori per offrire il calore di un incontro e il conforto di una parola: Hamdellah assalamah (Grazie a Dio sei salvo) è stato ed è sempre il nostro mantra.

Non siamo rimasti in silenzio. Abbiamo alzato la voce per gridare al mondo che siamo ancora vivi e che vogliamo vivere ancora. Che non siamo vittime ma sopravvissuti. Un cuore grande per accogliere e una voce forte per chiedere giustizia in nome di tutti coloro che la vita ha sconvolto di nuovo. Cosa ha tremato? Tutto, tranne la speranza della solidarietà: essa ci rende saldi e attraverso di essa passa la nostra liberazione. Bahjat Azrie, psicologo. 

La vita continua. Inevitabilmente.  Questa mattina sono andato in ambulatorio con molte titubanze e sentimenti contrastanti, dibattendomi tra il senso del dovere e la riluttanza a restare chiuso tra quattro mura suscitando perplessità in chiunque aveva vissuto momenti terrificanti durante il terremoto. Il richiamo al dovere è stato più forte dell’esitazione, nonostante fossi certo che nessuno sano di mente avrebbe mandato i figli a curarsi i denti in queste circostanze. Mi sbagliavo. Sono arrivati quasi tutti, benché non si trattasse di cure indifferibili o di visite programmate. Sono arrivati, anche se vittime della catastrofe. Due di loro hanno dovuto abbandonare la propria abitazione e il terzo sta per lasciarla. Ognuno racconta a suo modo i momenti vissuti durante il terremoto. Le emozioni sono ancora vive. Il dolore e la tristezza sono dipinti sui volti, ma il loro spirito è forte e neppure il susseguirsi delle disgrazie è riuscito a minare la loro determinazione e l’attaccamento alla vita. La morte e la resurrezione quotidiana è il nostro destino e la nostra via. Dobbiamo rialzarci dopo ogni caduta. 

Rami M. dentista pediatrico, Latakia, che due anni fa scriveva: Si sa che niente dura per sempre, che tutto muta e che nella nostra terra natale c’è davvero qualcosa per cui resistere e vivere. Siamo tutti in attesa della liberazione affinché la nostra esistenza migliori, ma anche per ritrovare il diritto di fare i conti con i corrotti e i negligenti. Insomma, perché la ruota della vita torni a girare normalmente. Questa nostra vita che perde gusto e colore se non concediamo spazio alla speranza che sia fatta giustizia e nel ritorno dei bei vecchi tempi. A come eravamo.

L’arte. La bellezza come resistenza 

Cinema, teatro, letteratura, pittura, arti plastiche, musica, fotografia, restauro dei monumenti devastati dalla guerra e persino semplici momenti di gioia o di festa, che ostinatamente si mantengono vivi nonostante l’estrema durezza della vita quotidiana, testimoniano la grande forza d’animo del popolo siriano, che non vuole morire. 

Ho terminato questo dipinto ieri, non so come intitolarlo: terremoto, bombardamenti israeliani, migrazione o coda per il pane? L'importante è che rappresenti un Siriano torturato. Mouaffak Makhoul ( موفق مخول) pittore. Noi pensiamo che potrebbe intitolarsi L’inferno siriano.

E ancora Mouaffak Makhoul: Oggi ho realizzato la scena della distruzione del terremoto e la ricerca delle vittime e dei dispersi.  Il titolo: Alla ricerca delle nostre anime tra le rovine.

É un dipinto che per certi aspetti ricorda le icone ospitate nelle chiese e nei monasteri siriani. Le variazioni cromatiche, l’impiego della luce e del movimento suggeriscono una grande tensione interiore nei personaggi: lo sbigottimento, l’ansia e il dolore lacerante provati la mattina del 6 febbraio 2023; ma l'aureola che li circonda conferisce al dipinto una connotazione sacra. Le figure senza lineamenti, il contrasto tra bagliore e oscurità diventano simboli dell’Umanità sofferente.


Fotografia di una famiglia aleppina dentro la casa sventrata dal terremoto. Si prende il caffé, si fuma, si conversa seduti attorno alla gabbietta degli uccelli che funge da tavolino. Bambini in piedi ascoltano attenti. Sul soffitto è rimasto appeso un ventilatore a pale. É una atmosfera che potremmo definire teatrale. Nello sfondo sembra drizzarsi un albero. E non mancano gli spettatori in basso nella strada. Impressiona questa scena di ordinaria vita familiare, tipicamente siriana, in quelle tragiche circostanze. La sicurezza non più tra le pareti di una casa, ma il rifugio negli affetti in attesa di un domani, come se ci fossero la speranza e la fede o la consapevolezza che finché l’uomo è vivo i muri potranno essere elevati nuovamente. 







   

Il “mosaico” intitolato La Siria è stata distrutta dal terrorismo, che lo scultore Nizar ‘Ali Badr ha realizzato con dei ciottoli, è la rappresentazione naïve, immediata nella percezione ma allo stesso tempo potente, del supplizio tremendo inflitto ai Siriani. La luce illumina le figure sullo sfondo nero come a voler suggerire che il popolo martirizzato conserva la sua innocenza primigenia. È sicuramente un’opera poetica densa di tenerezza compassionevole.



Anno nuovo. Il mercato della festa dei poveri. Issa Touma, Aleppo 30 gennaio 2022


In questo bellissimo ed emozionante video di performance art, intitolata The Last Temptation, si racconta il dramma di Aleppo attraverso i resti di un pianoforte.

Parte prima. Un venerdì mattina mi sono perso nel vecchio palazzo che è stato devastato, proprio come il quartiere e i suoi ricordi che non torneranno mai più. Ma tra le rovine possiamo ancora trovare qualcosa che ci ricorda il tempo andato e l’anima dorata della città. Ho trovato un pianoforte, il pianoforte più antico e bello abbandonato tra le rovine del palazzo. Sono stato tentato dal pianoforte a improvvisare Impromptu op. 12 n. 2 di Aleksandr Skrjabin, cercando la melodia nella mia mente e nella mia anima. I tasti erano proprio come Aleppo, metà integri, metà danneggiati. Ho sentito un legame profondo con quel pianoforte che è simile a noi, triste e spezzato. Paradossalmente nostalgico del passato e curioso del futuro allo stesso tempo. Le chiavi danneggiate risuoneranno sempre nella mia mente e non so se gli ho reso un po’ di vita. Non so se ho ridato la vita alle sue chiavi danneggiate o se esse hanno riacceso in me la luce che era stata sempre nel profondo della mia anima. Quando tornai tempo dopo, purtroppo il pianoforte aveva già perso altri pezzi e sembrava che stesse aspettando il mio aiuto per l’ultima performance, il suo ultimo palpito.

Parte seconda. Mia nonna Jenny Poche Marrache è stata l'ultima a risiedere in questa bellissima casa. Una dimora antica e ricca che aveva ospitato uno dei primi consolati al mondo (Consolato di Venezia Repubblica Marinara, aperto nel 1548). Ricordo di esservi tornato nel 2016, e la prima cosa che vidi attraverso la finestra rotta fu questo bellissimo pianoforte. Era caduto attraverso due piani crollati. Fui scioccato e sopraffatto da una profonda tristezza, aggravata dal fatto che era l'unico pezzo rimasto in casa perché troppo pesante per essere rubato. Eppure, guardo questa foto dell'ultima Signora dei Suk che suona il piano e sorrido. Alla fin fine, non è stata l'ultima a suonarlo. Sorrido di nuovo perché la casa e la città vecchia di Aleppo hanno sentito ancora una volta musica.

Film di Issa Touma. Interpretazione di Anna Maria Kouzouian. Compositore Aleksandr Skrjabin  https://www.youtube.com/watch?v=xc7HufHJC10

Il linguaggio letterario come resistenza e impegno civile.

Dieci anni delle nostre vite e delle vite dei nostri figli sono stati ingoiati da una guerra che ha accorciato le nostre strade e ci ha privato delle nostre foreste e delle nostre montagne. Le sabbie delle nostre spiagge hanno dimenticato i nostri passi. Dieci lunghi anni al termine dei quali anche la gioia normalmente ispirata dalla fioritura dei melangoli e cedri non può più dissipare la nostra amarezza...

Una granata è caduta a un passo da noi e quando siamo tornati a casa sani e salvi abbiamo celebrato la vittoria sulla morte nella terra del primo alfabeto...

I terroristi hanno persino bombardato la Facoltà di Architettura nel centro della capitale e il Teatro dell'Opera di Damasco; tuttavia, i venditori di ortaggi sono rimasti al loro posto, i negozi e le farmacie hanno tenuto le porte aperte, le cliniche hanno continuato a ricevere i pazienti, i funzionari hanno ricoperto i loro incarichi in diverse istituzioni, i musicisti non hanno interrotto le prove, i concerti sono continuati e gli ospiti alle serate culturali hanno risposto con la loro presenza.  

Nadia Khost  https://oraprosiria.blogspot.com/2021/04/ora-sappiamo-cosa-ci-avvicina-ad-altri.html 


Dopo dodici anni di guerra terroristica globale e di sanzioni

ll 90% della popolazione vive in povertà

Oltre 7 milioni di sfollati interni.

Servizi essenziali e infrastrutture in rovina.

Oltre il 50% delle strutture sanitarie funziona solo parzialmente.

Migliaia di persone hanno perso i loro cari.

Migliaia i feriti.

Migliaia di case crollate.

Migliaia di case rischiano di crollare.

Migliaia di case da riparare.

Migliaia di persone hanno perso le loro speranze e i loro sogni. 


La Siria ha affrontato una guerra mondiale a cui 80 Paesi hanno partecipato con l'invio di quasi 200.000 terroristi e un finanziamento stimato sui 400 miliardi di dollari. 135 miliardi sono stati spesi dal Qatar.

Il popolo siriano è il bersaglio di un “etnocidio”, un termine che descrive l’attività di decostruzione e disgregazione in atto. L’obiettivo generale è quello di rompere la sua coesione, che non è il prodotto di trent’anni di mandato francese e neanche di quattro secoli di impero ottomano, ma il risultato di una storia plurimillenaria, prima ancora dell’avvento del Cristianesimo e  dell’Islam. 

https://oraprosiria.blogspot.com/2017/05/ex-ambasciatore-raimbaud-la-tragedia.html