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sabato 30 dicembre 2017

La ferma volontà di creare la pace è una grande forza

Intervista a Daniele Ganser, storico e irenologo svizzero


Intervista di Jean-Paul Vuilleumier
(Traduzione dal francese per OraproSiria di Gb.P.)

Alla fine del 2016, è stata pubblicata in tedesco la prima edizione del libro "Le guerre illegali della NATO. Una cronaca da Cuba alla Siria." di Daniele Ganser, storico svizzero e specialista in scienze della pace. Nel frattempo, questo libro è alla sua 7ª edizione con oltre 50.000 copie vendute. In occasione della recente pubblicazione dell'edizione francese di questo bestseller, Horizons and Debates ha parlato con l'autore di alcuni aspetti della sua analisi su guerra e pace, l'ONU, il Consiglio di sicurezza e i media.
Horizon et débats: signor Ganser, lei è uno storico, uno specialista nella storia contemporanea dal 1945 e un esperto di politica internazionale. All'interno dell'Istituto SIPER* che lei ha creato e gestito, si interessa a molti argomenti come energia e geostrategia, conflitti per le risorse e la politica economica, l'implementazione di guerre segrete. Lei è impegnato per la pace.
E' un irenologo (specialista delle scienze della pace). Il suo libro "The Illegal Wars of NATO" è stato appena pubblicato in francese. Tutte le guerre sono illegali?
Daniele Ganser: Sì, in generale, tutte le guerre sono illegali. La Carta delle Nazioni Unite, firmata nel 1945, afferma esplicitamente che gli Stati devono risolvere le loro divergenze senza ricorrere alla violenza o alle armi. Le guerre sono quindi chiaramente illegali. Tuttavia ci sono due eccezioni a questa regola: primariamente la legittima difesa; se un paese viene attaccato, ha il diritto di difendersi militarmente. Secondariamente, una guerra è legale se il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato un mandato esplicito in questo senso.
Horizon et débats: L'esempio della disfatta sovietica in Afghanistan avrebbe dovuto far riflettere gli Stati Uniti nel 2001; il fallimento della cosiddetta "esportazione della democrazia" in Iraq, avrebbe dovuto far riflettere due volte anche i francesi e gli inglesi, prima di intervenire in Libia nel 2011, o aiutare i jihadisti in Siria. Non è possibile imparare dalla storia?
Daniele Ganser: Penso che sia assolutamente possibile. La lezione più importante è che non possiamo risolvere i nostri problemi con la violenza. Questo è stato appurato molte volte. La guerra e la violenza non fanno che aggravare i problemi. Ecco perché, nel mio libro, sottolineo l'importanza di aderire ai princìpi fondatori dell'ONU, non bombardare o invadere altri paesi, non armare segretamente gruppi all'estero allo scopo di rovesciare un governo. Certamente noi stiamo affrontando grandi sfide, ma la violenza non aiuterà in nulla la loro soluzione.
Horizon et débats: Eppure, personaggi politici come Barack Obama e David Cameron non sono criticati dagli organi ufficiali per le loro guerre illegali.
Daniele Ganser: Esatto: il presidente Obama e il primo ministro britannico Cameron hanno usato la forza contro la Libia nel 2011, e possiamo vedere, anche adesso, che il Paese è ancora in preda alla violenza. Le guerre creano nuove difficoltà. In Siria, gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme ad altri Stati, hanno segretamente fornito armi ai nemici di Bashar al-Assad, come ho indicato nel libro. Ancora una volta, non è stata una buona idea: molte persone sono morte, molte altre hanno sofferto e continuano a soffrire.
Horizon et débats: Nel suo ruolo di studioso della pace, sembra che lei rimanga decisamente ottimista! Il suo libro mostra davvero una constatazione terribile, ma è realista, umanitario, potente e talvolta personale. Cosa la rende ottimista?
Daniele Ganser: Sono fermamente convinto che il desiderio di creare la pace sia una forza primaria per il ventunesimo secolo. Quando abbiamo la scelta tra uccidere e non uccidere, sono convinto che la seconda opzione sia sempre la migliore. Slobodan Milošević non era un nuovo Hitler. La verità storica è che Hitler fece bombardare Belgrado. È scandaloso che nel 1999 la Germania, insieme ad altri Paesi, abbia di nuovo bombardato la Jugoslavia. Questo è contrario alla Carta delle Nazioni Unite. So che alcuni in Francia si opposero alla decisione di Nicolas Sarkozy di bombardare la Libia nel 2011. Io li sostengo perché avevano ragione. Immaginate per un momento che la situazione fosse rovesciata, che la Libia avesse bombardato Parigi: non sarebbe stato giusto sostenere quelli tra i libici che si fossero opposti ai bombardamenti?
Horizon et débats: Lei menziona Martin Luther King, Albert Einstein e Mahatma Gandhi in diverse occasioni. Cosa rappresentano per lei?
Daniele Ganser: Queste tre personalità ebbero, ciascuna a suo modo, una grande importanza. Gandhi diede questo consiglio ispiratore: "Sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". La gente cerca dei veri leader e li cerca tra i capi di stato o di governo; ma non è tra questi che bisogna cercarli, perché i politici hanno troppo spesso fatto le guerre. E questo non è certo il tipo di valori che vogliamo inculcare nei nostri figli, nelle nostre scuole! Noi non consiglieremo loro l'uso della violenza, ma l'esatto opposto: in caso di problemi, guardati dalla violenza, preferisci il dialogo e rifletti sulle tue emozioni e sui tuoi pensieri!
Horizon et débats: L'edizione francese del suo libro è annunciata come "un'accusa contro la NATO e un appello a favore dell'ONU". Molte persone che sono assai critiche o addirittura contrarie alla NATO sono anche scettiche o persino sospettose nei confronti dell'ONU. Perché l'ONU è importante?
Daniele Ganser: Nel mio libro, dimostro chiaramente come la Carta delle Nazioni Unite sia un documento meraviglioso perché impone a tutti i membri dell'organizzazione (193 Stati in totale) la proibizione dell'uso della forza nelle relazioni internazionali. Questa è la parte migliore dell'ONU, ma questo non mi impedisce di vedere i suoi difetti e capisco le voci critiche che non hanno più fiducia in essa. Nel mio libro, mostro che il Consiglio di Sicurezza non funziona in modo ideale. Se un membro permanente del Consiglio viola la Carta, non sarà punito perché dispone del diritto di veto per bloccare una eventuale risoluzione. Chiaramente, questo non è giusto.
Horizon et débats: L'impotenza delle Nazioni Unite è forse la conseguenza del fatto che non dispone di un vero esercito? Come dovrebbe essere trasformata l'ONU per diventare più efficace?
Daniele Ganser: Non penso che il problema principale dell'ONU sia che manca di un potente esercito. Immaginiamo per un momento il contrario, che ne sia dotato. Chi deciderà riguardo al suo uso, per inviarlo a combattere? Sarebbe il Consiglio di Sicurezza. La mia opinione personale, basata sulle mie ricerche, è che gli ultimi 70 anni dimostrano che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (in particolare gli Stati Uniti e gli altri paesi membri della NATO) hanno condotto troppe guerre illegali, proteggendosi poi dalle possibili sanzioni, proprio grazie al loro diritto di veto.
Horizon et débats: Il progetto originario delle Nazioni Unite era di stabilire un diritto internazionale in base al quale tutti i Paesi sarebbero stati uguali. Tuttavia, l'esistenza stessa delle Nazioni Unite è stata accettata dalle grandi potenze solo perché hanno potuto arrogarsi un potere di blocco (diritto di veto) in contraddizione con l'uguaglianza tra gli Stati. Quali scenari possono essere previsti per il futuro delle Nazioni Unite in questa situazione paradossale? Come potrebbe l'Organizzazione evolvere verso una maggiore uguaglianza, giustizia e pace tra i suoi membri?
Daniele Ganser: In effetti, c'è un paradosso. Le Nazioni Unite comprendono 193 Paesi membri, ma solo 5 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) hanno il diritto di veto. Di conseguenza, detengono ciascuno più potere rispetto agli altri 188 Stati messi insieme. È quindi un sistema a due classi, una che gode di privilegi, mentre l'altra ne è priva. Delle riforme sarebbero benvenute. Il diritto di veto potrebbe e dovrebbe essere abolito; ma gli Stati che ne dispongono rifiuteranno di rinunciare a questo potere. Da un punto di vista pratico e pragmatico, è quindi della massima importanza dimostrare che le grandi potenze combattono guerre illegali.
Horizon et débats: A cosa potrebbe assomigliare un mondo senza la NATO? L'Europa non sarebbe quindi minacciata dalla Russia?
Daniele Ganser: No, non mi sembra realistico pensare che la Russia invaderebbe e occuperebbe l'Europa se la NATO dovesse essere sciolta. Lo scioglimento dell'Alleanza Atlantica fu auspicata da molti in seno al movimento per la pace quando cadde il Muro di Berlino e il Patto di Varsavia scomparve. Ma i "dividendi della pace" annunciati non si sono mai materializzati. Al contrario, la spesa militare è addirittura aumentata. Tanto che ora abbiamo stabilito dei record al riguardo e realizzato un arsenale altamente sofisticato senza precedenti. Ban Ki-moon, allora Segretario Generale dell'ONU, si premurò di avvertirci: "Il mondo è troppo armato e la pace è sotto-finanziata".
Horizon et débats: Leggendo il suo libro, si comprende davvero che l'uso della forza non è mai una buona soluzione; o meglio, è sempre la peggiore. Per fare solo un esempio, senza l'intervento militare degli Stati Uniti in Iraq, l'ISIS non esisterebbe: la "guerra al terrore" non solo genera violenza, ma aumenta anche il terrorismo. Una fine per questa spirale di violenza non è in vista.
Daniele Ganser: Lei riassume bene la situazione in cui ci troviamo. Finché i mass media daranno voce soprattutto ai signori della guerra e ad altri guerrafondai, a quelle persone che credono nella violenza e la promuovono regolarmente in televisione e sulla stampa, non si interromperà mai il ciclo delle guerre. I media producono consenso, formano l'opinione pubblica. Se agli amici della pace si fosse dato un tempo di parola maggiore, una più ampia tribuna sia nei media istituzionali che alternativi, allora sempre più persone avrebbero capito che non possiamo risolvere i nostri problemi con la violenza. I media svolgono un ruolo cruciale perché possono mettere a tacere alcune voci o opinioni o amplificarne altre. È illusorio pensare che nelle nostre società democratiche tutte le voci abbiano la stessa importanza. Il più delle volte, sentiamo chiedere dai "falchi" l'aumento dei bilanci per gli armamenti e le operazioni militari, solo e sempre questo genere di discorsi. E allo stesso tempo, le voci di coloro che studiano le guerre e la violenza e che con cognizione di causa avvertono che le guerre non sono una soluzione, queste voci il più delle volte sono zittite o ignorate. Così, ben pochi conoscono il generale americano Smedley Butler (1881-1940), all'epoca il più alto in grado del Corpo dei Marines e alla sua morte il Marine più decorato della storia. Purtroppo ciò che dichiarò è ancora attuale, ma non rischierete di sentirlo in TV. Cito: "La guerra è un racket. Lo è sempre stato. È forse il più vecchio, di gran lunga il più redditizio e certamente il più vizioso. È l'unico di portata internazionale. È l'unico affare in cui i guadagni vengono contati in dollari e le perdite in vite umane."
Horizon et débats: Mentre le persone in qualsiasi parte del mondo semplicemente aspirano a vivere in pace, la propaganda di guerra presenta coloro che vi si oppongono come vigliacchi o sostenitori di "regimi autoritari o dittatoriali".
Daniele Ganser: Sì, è la regola del "gioco" sul fronte interno. Per fronte interno, intendo il Paese (o i Paesi), dove vivono i cittadini che finanziano con le loro tasse le navi e gli aerei da guerra, i missili e le armi usate per uccidere, e dove vivono anche le madri dei soldati che sono inviati a combattere. Quindi, il fronte interno deve essere assolutamente convinto che la guerra sia giusta oltre che necessaria. Come si ottiene questo consenso? Grazie ai mass media. È l'unico modo, non c'è altro modo.
Horizon et débats: A differenza del teatro delle operazioni, la lotta sul fronte interno non è fatta con bombe e altre munizioni, ma a colpi di editoriali ed articoli, con foto e immagini. La cosa più sorprendente e più scioccante è che la maggior parte della gente non conosce nemmeno il termine "fronte interno", né è a conoscenza della massiccia propaganda alla quale viene sottoposta per ogni nuova guerra.
Daniele Ganser: Albert Camus, scrittore, premio Nobel per la letteratura e filosofo, ha sottolineato che noi possiamo sempre influenzare la storia: "Nulla è più imperdonabile della guerra e dell'incitamento all'odio razziale. Ma una volta che la guerra è iniziata, è futile e codardo non fare nulla con il pretesto che non ne siamo responsabili. [...] Ognuno ha una sfera di influenza di dimensioni diverse [...] Ci sono quelli che ci mandano alla morte oggi - perché non dovrebbe spettare agli altri creare la pace nel mondo? [...] Tra il momento della nascita e quello della morte, quasi nulla è predeterminato: possiamo cambiare tutto e persino mettere fine alla guerra, e stabilire la pace, se la volontà è abbastanza forte e duratura."
Horizon et débats: Quale sarà il ruolo del progresso tecnologico nelle guerre future? I robots guideranno la guerra?
Daniele Ganser: Oggi ci sono robots armati capaci di uccidere. È stato saggio sviluppare e produrre tali robot killer? I droni che sorvolano l'Afghanistan e il Pakistan sono macchine e uccidono la gente. Questa è già la realtà. Attualmente, la rivoluzione digitale viene messa al servizio del complesso militare-industriale. Da qui a 10 e 20 anni, film di fantascienza come "Terminator" (1984) o "Robocop" (1987) diventeranno realtà nel senso che le macchine uccideranno la gente quasi in modo autonomo. La questione della violenza è lungi dall'essere risolta, si è fatta più complessa. Si deve parlarne apertamente. Il mio ruolo di storico è di ricordare alla gente che la guerra e la violenza sono state usate a più riprese e che non è mai stato possibile porre fine alla violenza con la forza. Dobbiamo evolvere e trovare altri mezzi, altre soluzioni ai nostri problemi.
Horizon et débats: Nel suo libro lei scrive che "i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che sono anche responsabili della pace mondiale, sono i maggiori esportatori di armamenti", sottolineando che "non appena scoppia un conflitto, questi cinque Stati ne beneficiano perché le loro esportazioni di armi vanno ad aumentare".
Daniele Ganser: Questo è uno dei grandi paradossi del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il suo scopo e la sua responsabilità sono promuovere la pace. Eppure, questi cinque Stati membri sono i principali fornitori di armi e le loro spese militari sono enormi. Il loro complesso militare-industriale è molto potente. Ma ognuno può decidere se vuole usare la forza o no. Come esseri umani, dobbiamo rafforzare la benevolenza e l'umanità.
Horizon et débats: Lei scrive che alla luce della storia umana, il divieto della guerra nella Carta delle Nazioni Unite ha solo 72 anni. Nella sua prospettiva, quindi è piuttosto giovane. Questo è uno dei motivi per cui il progresso che implica non è ancora stato acquisito e integrato dal genere umano?
Daniele Ganser: Sì, la Carta delle Nazioni Unite, che ha messo fuorilegge le guerre e le ha rese illegali, è stata firmata nel 1945. Quindi è un documento giovane. Nello sguardo di uno storico, 70 anni rappresentano un breve periodo. Ma possiamo constatare che abbiamo progredito: nei secoli precedenti, non è mai esistito un documento del genere. Questo è il primo. Il prossimo passo sarà rispettare la Carta delle Nazioni Unite, far parlare i media sull'illegalità delle guerre e spiegare come funziona la propaganda di guerra (piuttosto che diffonderla). Penso davvero che tutti abbiamo un interesse comune per la pace, indipendentemente dal nostro genere, religione, educazione o ceto. Ho scritto questo libro sperando di rafforzare il movimento per la pace e sono molto lieto che sia ora disponibile in francese.
Horizon et débats: Grazie mille per questa intervista.
* SIPER (Schweizer Institut für Friedensforschung und Energie / Istituto svizzero per la ricerca sulla pace e l'energia) è stato creato nel 2011 come istituto indipendente a Basilea. Sotto la guida di Daniele Ganser, SIPER esamina da un punto di vista geopolitico la lotta globale per il petrolio e il potenziale delle energie rinnovabili. Questo istituto trasmette i suoi dati a un pubblico interessato. È supportato da partner economici e mantiene scambi scientifici con partner nel campo della ricerca. Il prodotto principale di SIPER sono le conferenze pubbliche. Altri risultati sono interviste, studi e pubblicazioni. Nel campo della ricerca sulla pace (irenologia), SIPER difende la visione di un mondo in cui il conflitto si risolve attraverso la negoziazione e il rispetto - senza violenza, tortura, terrorismo e guerra.

mercoledì 27 dicembre 2017

A un anno dalla liberazione di Aleppo

Si è celebrato in Aleppo, nei giorni precedenti il Natale, l'anniversario di un anno dalla liberazione. Un evento festeggiato con giubilo dagli abitanti, nonostante il rancore di quelli che sono stati espulsi (un esempio qui) e la stizza dei commentatori che virgolettano la parola 'liberazione' e preferiscono parlare di 'caduta', avendo sperato che Aleppo diventasse la capitale della propagata 'Siria-Libera'.
 Ringraziamo il volontario bretone Pierre le Corf che ci racconta con la consueta franchezza, incurante delle ingiurie di cui la stampa filo-ribelli lo ha ricoperto, come stanno le cose nel vissuto di chi è sul posto. 
   Ora pro Siria
(trad. Gb.P.)
Ecco, ad un anno dalla liberazione di Aleppo (ed io soppeso bene le mie parole quando dico liberazione), si è tentato di "tagliarmi la testa" l'anno scorso scrivendo articoli vergognosi su di me per screditare il mio racconto, screditare me o il mio lavoro. ... Lo ripeto come l'anno scorso e lo ripeterò, nessuno di quelli che sono qui che hanno vissuto la guerra ad Aleppo Ovest o un poco in Aleppo Est, si figureranno per un solo secondo "una caduta". Quindi continuate, insultatemi, ma questo non cambierà la storia, perché il tempo parlerà. La vita rivive qui, anche se la città rimane quotidianamente un bersaglio per coloro che portano sempre la "libertà" a colpi di razzi.
Avevo pubblicato la fotografia di questa bandiera nera dalla finestra di una famiglia che ho visitato all'epoca quando France 2 (Emittente TV francese) aveva fatto il suo piccolo reportage su Aleppo Ovest https://www.facebook.com/heroesworldtour/videos/1211332675598163/ .
Questa bandiera sventolava quasi ovunque, in ogni quartiere "ribelle", dal momento che sì, NOI eravamo sotto assedio, noi avevamo solo una strada che i terroristi (i ribelli) a volte conquistavano tramite auto con a bordo jihadisti suicidi, di questo nessuno ha mai parlato quando ad esempio nel 2014 l'assedio fu totale per 6 mesi e gli 1,3 milioni di persone venivano affamate e ancora peggio.
Ciò di cui avete avuto testimonianza in occidente è l'assedio dell'assedio, quando l'esercito ha accerchiato l'assedio dei terroristi, fino alla liberazione della città. Ogni giorno quando cammino per la strada i ricordi si riaffacciano alla mia vista, come quelle schifezze che cadevano, quei proiettili esplosivi, quei razzi, quei colpi di mortaio inviati gratuitamente per uccidere e costringerci a partire. E' stato un massacro tanto per l'Ovest che per i ricordi delle famiglie con cui lavoro nei vecchi quartieri dell'Est durante i bombardamenti dell'aviazione, quando le persone non potevano fuggire dai quartieri Est pena l'esecuzione da parte dei "ribelli"; o un bambino che mi ha detto di aver mangiato delle spugne, mentre c'erano tonnellate di pacchi alimentari custoditi dai terroristi per tenere l'assedio il più a lungo possibile, pacchi di cui ho pubblicato le immagini; torture ed esecuzioni pubbliche dei molteplici tribunali islamici che facevano funzione di governo, di cui ho pubblicato le testimonianze video... Più i bombardamenti dell'aviazione uccidevano, più questo finiva: è triste e potrebbe sembrare irreale e atroce, ma non ho motivo di mentire. Siamo stati liberati, sia la parte Ovest che quella Est.
Ora si tratta di avanzare verso il futuro, un immenso lavoro di ricostruzione, di scommesse sul futuro... ma la gente è ferita. I bambini, i giovani con cui lavoro hanno vissuto così tanto dolore... hanno visto famigliari e amici morire, alcuni sono scappati, alcuni sono annegati in mare, e se con la mia esperienza di vita io ho imparato a convivere con i bombardamenti dei terroristi, quando in certi giorni ci toccava correre per vivere, gli incubi di notte... l'impatto su di loro è stato enorme. "Facciamo finta di no, ma la guerra c'è, lei brucia di dentro ed io brucio vivo" è una frase di un ragazzino di 12 anni su una delle sue pagine.
Come in qualsiasi Paese, l'opposizione che ha imperversato durante questi ultimi anni esiste in tutto il mondo e supera le frontiere, un'opposizione che ha le sue ragioni per detestare questo governo, non tutti sono terroristi ... ma sul terreno, qui in Siria è diverso, la gente dell'Est per la maggior parte era ostaggio di questo attivismo asservito al puro profitto militare. Ognuno è libero di avere un'opinione, ma quello che certi di voi non sembrano realizzare è che qui, da una parte e dall'altra siamo stati ostaggi delle vostre opinioni che non erano altro che benzina usata per una guerra telecomandata a distanza dove la vostra approvazione era essenziale. Io rispetto ogni storia e ogni opinione, ma se mai avevate sperato di vedere un giorno Aleppo presa dai gruppi armati, al di là della vostra posizione o opposizione politica, la vostra speranza era criminale nei confronti delle persone, della loro realtà ... e non dell'immagine stereotipata che vi è stata venduta da commentatori e giornalisti seduti dietro le tastiere tesi al perseguimento di un'agenda o di scoop sensazionalistici. 
L'unica cosa sperata qui è la pace, e se qualcuno ha dei dubbi, venite a vedere di persona e parlate con persone che hanno vissuto da entrambe le parti; non ho nulla da guadagnare pubblicando tutto ciò, se non spingervi a rimettere in discussione la vostra percezione di ciò che è stato studiato e finanziato per ficcarsi più facilmente nella vostra testa e spingervi a legittimare questa guerra che non ha altro scopo che quello di far cadere il Paese, come tutti gli altri prima della Siria.
Pierre Le Corf   We are superheroes

martedì 26 dicembre 2017

Dai Salesiani, l' "Oasi di pace" di Damasco

Intervista a padre Mounir Hanashy di Paolo Vites
Sono i siriani, quelli veri, quelli nati e cresciuti in questo martoriato paese e che per anni hanno sofferto il martirio della guerra, a sbatterci davanti il vero significato di fake news e informazione politicamente manipolata. Quando infatti senti padre Mounir Hanashi, sacerdote salesiano nato ad Aleppo e da qualche anno parroco a Damasco dire che "il fondamentalismo islamico non è nato in Siria, è stato portato qui dai paesi del Golfo e da Stati Uniti e Francia" capisci qual è la realtà dello sporco gioco fatto su mezzo milione di morti e undici milioni di profughi dalle nostre democratiche potenze occidentali. Padre Munir è il direttore del centro salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco a Damasco, un oratorio che ospita 1300 giovani dalla seconda elementare all'università, "per concedere loro qualche ora al giorno di serenità, di servizi essenziali come l'acqua e l'elettricità che in casa non hanno. Ecco perché ci siamo chiamati Oasi di pace". Al contrario di quello che ci dicono anche su questo i media occidentali, alla periferia di Damasco si continua combattere contro l'Isis e i missili continuano a piovere sulla città.
Padre Munir, da quanto tempo voi salesiani siete a Damasco? Di cosa vi occupate sostanzialmente?
Siamo stati invitati a Damasco nel 1992 dalle suore salesiane che già erano qui, loro sono responsabili di un ospedale italiano e di un asilo, anche se la presenza dei salesiani in Siria risale al 1948. Ci hanno chiesto aiuto e noi siamo venuti. Io sono originario di Aleppo, mi sono trasferito qui quattro anni fa e sono il direttore e l'economo di questo centro giovanile che abbiamo costruito intorno alla parrocchia.
Durante gli anni di guerra il vostro quartiere e la vostra parrocchia sono stati colpiti da bombardamenti?
Grazie a Dio bombe dirette su di noi non ce ne sono state, anche se scoppiavano nelle vicinanze e capitava che schegge e pallottole entrassero nella nostra struttura.
Adesso come è la situazione a Damasco? E' pacificata?
Assolutamente no. La situazione a Damasco è ancora complicata, l'Isis è ancora nei dintorni, colpi di mortaio e missili arrivano in città anche se non se ne parla più in occidente, ma questo non vuol dire che in Siria e a Damasco la guerra sia finita. L'esercito nazionale siriano sta facendo sforzi in tutta la Siria, e speriamo che possa finire presto. A Damasco si combatte ancora nelle periferie, la situazione non è assolutamente tranquilla. Recentemente ho dovuto chiudere l'oratorio più volte per questi missili che vengono sparati sulla città, non posso mettere a rischio la vita dei ragazzi.
Ci dica qualcosa del vostro centro.
E' uno dei più frequentati di Damasco, più di 1300 ragazzi dalla seconda elementare fino agli universitari vengono qui da ogni parte della capitale per vivere in serenità qualche ora in modo normale. Grazie a due generatori siamo in grado di avere sempre luce ed elettricità, c'è sempre l'acqua, cose che a casa mancano. Cerchiamo di costruire un ambiente accogliente, per questo l'abbiamo chiamata "Oasi di pace": un posto dove il giovane può stare qualche ora in serenità. Ogni giorno offriamo a tutti un pasto perché anche il cibo nelle loro famiglie è poco.
La Siria era famosa prima della guerra come esempio di convivenza fra religioni e culture diverse. Adesso è ancora così?
La Siria è sempre stata lodata come esempio di convivenza pacifica fra minoranze diverse, anche Benedetto XVI ci ha lodati per questo. Da siriano cristiano nato e cresciuto in Siria, posso testimoniare che è così. Il problema sono i fondamentalisti, che non sono siriani ma sono stati portati qui dai Paesi del Golfo col sostegno di Stati Uniti e Francia (per sconfiggere il presidente Bashar al Assad, ndr). Sono certo che piano piano questo fondamentalismo sparirà, i veri siriani nati e cresciuti qui desiderano solo convivere in pace fra tutti.
Tanti siriani sono fuggiti. I giovani che vengono da voi cosa aspettano dal futuro? Sperano di restare qui e costruirsi una vita o vogliono andare via anche loro?
Il nostro lavoro è aiutare per quel che possiamo a difendere la  presenza cristiana in Siria. Tanti hanno lasciato il paese per tanti motivi, cerchiamo di essere presenti e aiutare le famiglie in tutti i modi possibili. Non possiamo dimenticare che la guerra è un peso molto grande, tanti sono morti, tanti sono stati rapiti. Non puoi dire a un giovane di non partire dopo sette anni di guerra, questo punto interrogativo c'è ancora. Negli ultimi anni si vedono passi forti del governo: è stata liberata Aleppo e altre parti della Siria insieme ai russi. Anche economicamente stiamo male, una volta non ci mancava nulla, c'era lavoro, si viveva bene. Noi preghiamo che tutto questo finisca anche se ci vorranno anni per ricostruire il paese.
In questi anni sentivate vicina la Chiesa di Roma?
La Chiesa ci è sempre stata vicina, oltre che con aiuti economici. Tutti i siriani, anche i musulmani, ringraziano la Chiesa e papa Francesco che ci ha sempre chiamati la Madre Siria, per le preghiere e i digiuni per la pace. E' stata segno di vicinanza per tutti i siriani, segno di presenza del Santo Padre e dei nostri fratelli cristiani.
Se potesse dire con una battuta il cuore, il senso della vostra missione, anche pensando al Natale, cosa direbbe?
La nostra grande sfida è l'aspetto educativo. Dare ai giovani grandi valori educativi e incoraggiarli a vivere in questi momenti così difficili. Così come anche un aiuto spirituale personale. Vi chiediamo di pregare per noi e credere che la sfida più grande nel mondo di oggi è l'educazione, che sia la prova che in queste terre di violenza il valore educativo è quello che più vale su ogni altro aspetto.

sabato 23 dicembre 2017

Auguri di Buon Natale, da Ora pro Siria!


« SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi. La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
                                                   Benedetto XVI

venerdì 22 dicembre 2017

Messaggio natalizio dei capi delle Chiese a Gerusalemme, 2017

Il Custode di Terra Santa padre Patton: "Gerusalemme deve essere una città condivisa piuttosto che una città divisa, quindi una città condivisa tra due popoli e una città condivisa tra tre religioni. Ovviamente, i due popoli sono il popolo israeliano e il popolo palestinese e le tre religioni sono l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo.  Quindi è per questo che spesso si fa riferimento al cosiddetto status quo, cioè a una situazione che evita uno sbilanciamento per così dire in una sola direzione."




«Ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”» (Luca 2, 10).
In questo momento lo sguardo del mondo è fisso su Gerusalemme, una città che è santa per tutte le fedi di Abramo. Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese a Gerusalemme, mentre ci avviciniamo alla celebrazione del Natale, riaffermiamo la nostra chiara posizione nel chiedere la conservazione dello Status Quo della Città Santa fino a quando non sarà stato raggiunto un accordo di pace tra israeliani e palestinesi sulla base dei negoziati e del diritto internazionale.
I cristiani di Terra Santa sanno che la loro presenza e testimonianza sono strettamente collegate ai Luoghi Santi e alla loro accessibilità come luoghi di incontro e di unità tra popoli di fedi diverse. Sono i Luoghi Santi che hanno dato significato alla regione. Qualsiasi esclusivo approccio politico su Gerusalemme priverà la città della sua vera essenza e delle sue caratteristiche e calpesterà il meccanismo che ha mantenuto la pace attraverso i secoli. Gerusalemme è un dono sacro; un tabernacolo; terreno sacro per il mondo intero. Tentare di possedere la Città Santa Gerusalemme e limitarla con termini di esclusività porterà ad una realtà molto oscura.
In questo momento, mentre attendiamo la venuta della Luce, vi portiamo grandi notizie di gioia, speranza e pace dalla Città della speranza e della pace, Gerusalemme! Anno dopo anno ci uniamo alla Chiesa universale nel celebrare la nascita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. L’Incarnazione del Verbo fatto carne continua, dopo due millenni, ad essere una fonte di gioia, speranza e pace, nonostante la sofferenza e l’afflizione di molte nazioni e comunità in tutto il mondo.
La proclamazione angelica ai pastori di Betlemme ha portato buone notizie, grande gioia e una promessa di pace a tutte le persone, specialmente a coloro che soffrono e vivono nella paura e nell’ansia di ciò che il futuro riserva a loro e ai loro cari. L’angelo apparve ai pastori che stavano vegliando sul loro gregge di notte, e la gloria del Signore venne per dissipare l’oscurità della loro notte e per annunciare il nuovo giorno che era spuntato con la nascita di Cristo. In quel momento i pastori avevano paura e non potevano comprendere il significato della proclamazione angelica, e come la nascita avrebbe avuto un impatto sulle loro vite e sulla vita della loro comunità.
Queste persone di Betlemme che hanno sofferto sotto l’occupazione romana e il loro compatriota Erode, e soggette alle distinzioni e alle esclusioni dell’economia socio-politica, si sono confrontate con un’economia diversa: la provvidenza di Dio. Il messaggio degli angeli ha rivelato ai pastori – fuori dal loro contesto – una nuova realtà, in cui i concetti di potere e autorità vengono trasformati dall’Incarnazione di Dio in una umile mangiatoia.
I pastori risposero immediatamente a questa teofania e andarono a vedere «questo avvenimento che il Signore ha fatto conoscere [loro]». Il mondo di oggi si confronta ancora una volta con la sfida di rispondere alla proclamazione angelica che richiede la partecipazione all’economia divina nel portare gioia, speranza e pace in un mondo dilaniato da violenza, ingiustizia e avidità.
Continuiamo a mantenere l’intera regione del Medio Oriente nelle nostre preghiere e chiediamo al Principe della pace di ispirare i cuori e le menti di tutti coloro che hanno autorità affinché camminino sulla via della pace, della giustizia e della riconciliazione tra le nazioni. Mentre celebriamo la venuta di Cristo come luce del mondo, siamo ispirati e ci consoliamo con le parole dell’inno di Zaccaria: «Per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della morte
e dirigere i nostri passi sulla via della pace».
Vi auguriamo un felice Natale e un Nuovo Anno di pace.
Patriarchi e capi delle Chiese a Gerusalemme
+ Patriarca Teofilo III, Patriarcato greco-ortodosso
+ Patriarca Nourhan Manougian, Patriarcato Apostolico armeno-ortodosso
+ L’Arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico, Patriarcato Latino
+ Fr. Francesco Patton, ofm, Custode di Terra Santa
+ Arcivescovo Anba Antonious, Patriarcato copto-ortodosso, Gerusalemme
+ Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato siriano-ortodosso
+ Arcivescovo Aba Embakob, Patriarcato etiope-ortodosso
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+ Vescovo Pierre Malki, Esarcato patriarcale siriano-cattolico
+ Mons. Georges Dankaye’, Esarcato patriarcale armeno-cattolico

mercoledì 20 dicembre 2017

Pace, casa e lavoro: il dono di Natale per il futuro dei cristiani siriani

AsiaNews, 19 dicembre 2017
La pace in tutta la Siria, la lotta alla disoccupazione che frena la (lenta) ripresa e la riunificazione delle molte famiglie spezzate dalla guerra, che in oltre sei anni di violenze ha trasformato milioni di persone in migranti in cerca di riparo all’estero o sfollati interni. Sono questi i due grandi desideri che animano la popolazione cristiana di Aleppo in queste settimane di Avvento che preparano al Natale, come racconta ad AsiaNews il vicario apostolico dei Latini, mons. Georges Abou Khazen. Ad un anno dalla fine della battaglia per la città “si vive un clima di maggiore speranza”, aggiunge, e “vi è anche molta più sicurezza. Tutto questo induce ad un moderato ottimismo, perché si raggiunga una soluzione che coinvolga tutto il Paese”. 
La migrazione “resta un problema”, sottolinea il vicario apostolico di Aleppo, anche perché “sono partiti soprattutto i giovani” e il loro ritorno è una “priorità” per far ripartire la città. Intanto la Chiesa locale, prosegue il prelato, ha avviato o sostiene con fondi specifici “progetti di micro-impresa a livello locale: adesso la nostra sfida è passare dal sussidio all’autosufficienza”. 
Da qui lo stanziamento di somme di denaro per l’apertura di pasticcerie, negozi di barbieri, falegnamerie, imprese artigiani, fabbri ferrai perché “è dalle piccole attività di ogni giorno che bisogna ripartire”. “Il ritorno dell’elettricità per 13, 14 ore al giorno, insieme alla fornitura costante di acqua - sottolinea mons. Georges - sono i segni più importanti della rinascita”. 
Adesso è possibile tornare a vedere in alcuni punti “una città pulita” e “strade illuminate con pannelli solari”. Dall’oscurità alla luce, aggiunge il vescovo, “è una sensazione nuova, compresa l’illuminazione delle strade di notte”. 
Prima della guerra Aleppo era la seconda città per importanza della Siria, oltre che il suo principale motore economico e commerciale. Dal 2012 è stata divisa in due settori: occidentale, dove hanno vissuto 1,2 milioni di persone, sotto il controllo del governo; la zona orientale, circa 250mila persone, nelle mani delle milizie ribelli e di gruppi jihadisti. La resa dei ribelli, che hanno trattato l’uscita dalla città, e la successiva riunificazione risalgono al dicembre dello scorso anno; la popolazione ha potuto festeggiare con canti e balli la fine dei combattimenti e il Natale alle porte. 
A distanza di un anno è partita l’opera di rimozione delle macerie, le strade sono più pulite, il traffico è aumentato, hanno riaperto alcune officine. “Qualcosa si muove”, racconta mons. Georges, anche se “molta gente resta senza lavoro, sono tantissimi i bambini orfani di guerra o abbandonati che abbiamo scoperto nei mesi successivi all’unificazione della città”. Uno dei grandi ostacoli alla ripresa di Aleppo “è la disoccupazione: vanno riparati i macchinari rubati o trafugati dalle aziende negli anni di guerra, vanno sistemate le abitazioni per consentire il ritorno dei profughi”. 
La Chiesa locale partecipa all’opera di ricostruzione degli edifici, sostiene la piccola impresa, prosegue la distribuzione dei pacchi alimentari. “Quasi tutte le famiglie - racconta il prelato - confidano ancora nei nostri aiuti: si tratta di circa 10.500 nuclei cristiani di tutte le confessioni. E poi vi è l’assistenza sanitaria e la distribuzione di medicine, anche questa una priorità nel contesto di una svalutazione della moneta locale, la lira, il cui valore di acquisto è assai inferiore e lo stipendio medio di un lavoratore, sebbene sia rimasto invariato, non è più sufficiente”. 
Intanto la comunità si avvicina al Natale con “molta più speranza, più sicurezza, con l’augurio che la guerra possa finire presto in tutto il Paese. Le strade vengono addobbate a festa, un municipio guidato da una maggioranza musulmana ha voluto mettere stendardi e simboli della festa cristiana. E ancora, le chiese addobbate con i presepi, le animazioni promosse dai giovani. Si respira - conferma il vescovo - un clima diverso all’anno passato”.
In questi giorni che avvicinano alla festa, il vicario apostolico di Aleppo vuole rivolgere un pensiero finale ai bambini, che rappresentano “il futuro e la speranza” della comunità cristiana e di tutto il Paese. “Come Chiesa abbiamo preparato dei doni da distribuire, insieme a un vestito per la festa che possa servire per tutto l’inverno. A questo si aggiungono dei pranzi di gruppo il giorno di Natale e quello successivo; un'occasione per stare insieme, fare festa, con canti e balli. Ma oltre la festa - conclude il prelato - vi è l’impegno perché possano frequentare la scuola: a oggi paghiamo per intero la retta di 3200 studenti, versando nelle casse degli istituti, in maggioranza privati, fino a 150 dollari all’anno, distribuendo anche libri e quaderni ai più poveri, ma meritevoli”.

Lettera natalizia dall'Ospedale di Aleppo


Aleppo, 18 dicembre 2017

Cari amici,
quest'anno festeggiamo due anniversari: la nascita di Gesù Bambino e quello della liberazione di Aleppo.

Dopo un lungo silenzio, ci piace condividere la nostra vita quotidiana nel cuore di questa città lacerata, martirizzata ...
Dopo questi lunghi anni di guerra, Aleppo si sta risollevando, tornando al normale corso della vita nonostante la fatica di riprendere il suo ritmo prebellico, perché tutte le sue capacità produttive sono state ridotte, così come le infrastrutture. I suoi abitanti dipendono dall'aiuto esterno da ogni punto di vista.
Potete immaginare tutte le tracce indimenticabili che questa guerra ha seminato nei cuori e nelle menti di tutti gli abitanti, specialmente i bambini.

Dopo la sua riunificazione, la città vive in un clima di calma, ma alla periferia ci sono sempre i jihadisti che ci fanno sentire di tanto in tanto, e soprattutto la notte, i colpi di mortai e di cannoni.
Nonostante questo, notiamo che le persone non si arrendono: le strade vengono ripulite, i blocchi stradali sono quasi tutti eliminati, i negozi stanno iniziando a riaprire, molte famiglie stanno tornando nei loro quartieri per ritrovare le loro case e vivono lì, nonostante la loro totale spogliazione (niente porte, niente finestre, niente rubinetti, niente prese elettriche, tutto è stato rubato o saccheggiato).

L'inverno inizia, il freddo si fa sentire, l'acqua e l'elettricità sono migliorate considerevolmente, tranne che in alcuni quartieri dove le tubature dell'acqua e le centraline elettriche non esistono più ...

Il grande problema è che la vita è troppo costosa, il peso delle sanzioni che durano da oltre 6 anni sta diventando insostenibile, l'embargo impedisce l'importazione di attrezzature, macchinari, pezzi di ricambio ecc ... e questo lo sentiamo anche noi molto pressante.

I giovani continuano a fuggire dal Paese per non prestare il servizio militare, altri si rinchiudono nella loro casa per non essere reclutati, da cui consegue che manchino molti tecnici e manodopera.
Chiese, parrocchie, riti, enti di beneficenza locali e internazionali come Caritas, JRS, AED, sostengono i progetti di ricostruzione, (micro progetti, cesti alimentari), vari aiuti per incoraggiare i cristiani a rimanere e non perdere la speranza.

La nostra vita quotidiana nell'Ospedale continua a essere difficile, ogni giorno ci viene chiesto di rispondere alle richieste di pazienti che non possono permettersi di pagare per l'ospedalizzazione. Fortunatamente, le varie Organizzazioni già menzionate sopra aiutano a pagare le cure mediche a prescindere dalle condizioni sociali o religiose.
Una piccola consolazione !!!!: il 29 novembre, in occasione del quinto anniversario dell'inizio del progetto "I civili feriti della guerra", è stata proclamata la sua chiusura, essendo finita la ragione della sua esistenza: Aleppo è stata risparmiata, grazie a Dio, da atti di guerra da 11 mesi. Una cena in famiglia ha riunito i 3 partner del progetto: i medici dell'ospedale St Louis, le suore dell'ospedale e i membri del gruppo dei Maristi Blu. Il dr. Nabil Antaki ha presentato un Power Point che riassume la storia, lo spirito, i risultati e i finanziamenti del progetto. Poi tutti i partecipanti hanno ricevuto un certificato di apprezzamento e una medaglia commemorativa in argento con il logo del progetto su un lato e il logo dei Maristi Blu sull'altro lato.
Ecco la sua dedica: "Cinque anni di dono gratuito per prendersi cura di centinaia di feriti gravi e per salvare le vite di decine, una generosità illimitata nelle procedure mediche e chirurgiche gratuite da parte dei medici, un'assistenza infermieristica esemplare e un amore infinito da parte delle Suore e del gruppo infermieri, un finanziamento senza tetto e amministrazione impeccabile da parte dei Maristi Blu. In chiusura, vogliamo ringraziare Dio per il successo di questo progetto unico ed esemplare e la sua protezione per tutte le persone che vi hanno lavorato. "

Dio continua la Sua opera attraverso la nostra povera presenza. Dal 15 novembre abbiamo risposto al progetto iniziato nel nostro ospedale "Ospedali Aperti - Syria", voluto e incoraggiato da Papa Francesco e da Mons. Giovanni Pietro Dal Toso, segretario delegato del Dicastero per il servizio di sviluppo umano integrale, in collaborazione con il Nunzio Apostolico Cardinale Mario Zenari, che finanzia la cura dei bisognosi, l'acquisto di attrezzature mediche e un bonus salariale per il nostro personale. Questo è stato per loro un grande incoraggiamento per superare le loro difficoltà e soprattutto per rimanere! Questo progetto è in corso di sperimentazione da 3 mesi e dovrebbe durare 3 anni. Ciò ha creato nella città di Aleppo un grande passaparola, tipo telefono senza fili: “andate all'ospedale St Louis, vi curano gratuitamente !!!”.
È una gioia per noi, perché i poveri sono la nostra predilezione, ma ci dà un sovraccarico di lavoro e un rompicapo quotidiano per mancanza di posti, di personale qualificato e persino di Religiose. In un mese, abbiamo ricevuto circa 150 pazienti con questo progetto (senza contare gli altri pazienti !).

Cari amici, ecco il breve riassunto di ciò che abbiamo vissuto quest'anno.
Vi ringraziamo per la vostra vicinanza, il vostro sostegno e specialmente le vostre preghiere che ci hanno dato la forza e il coraggio di sopportare tutte le tempeste e i pericoli che abbiamo subito.
Una stella di speranza sorge sulla città di Aleppo per una Pace duratura, sia essa la nostra guida, la nostra strada per affrontare il nuovo anno e avere il coraggio di credere che con l'Emmanuel, Dio con noi, tutto diventa possibile.

La preghiera rimane la forza che ci unisce. Con tutto il mio cuore, vi abbraccio mentre vi auguro un buon Natale e un Buon, Felice, Santo anno 2018!

Sr. Arcangela
Ospedale St Louis, Aleppo

lunedì 18 dicembre 2017

L'essenza dell'icona: l'Incarnazione del Figlio di Dio

Nel Secondo Concilio di Nicea (787) viene definita la natura e il valore delle icone con l'affermazione che il fondamento di quest'arte sta nell'Incarnazione del Figlio di Dio, è quindi possibile rappresentare Dio, in quanto ha assunto la natura umana, assimilandola in modo inscindibile a quella divina,  come sottolinea san Giovanni Damasceno. Nel Concilio di Efeso l'icona è definita "tempio", cioè un luogo in cui chi è raffigurato è anche misteriosamente presente. Nell'icona il Dio-uomo si avvicina a noi, ricordandoci che anche noi siamo icona di Dio, che quindi il nostro destino è diventare come Lui.

Monastero di Mar Yakub: le icone che dipingiamo

Madre Agnès Mariam è un'iconografa professionista. Ha imparato le antiche tecniche della pittura bizantina nel monastero carmelitano di Harissa in Libano, dove ha vissuto per 21 anni. In questo articolo vi presenteremo come ha conosciuto la Chiesa di Antiochia, la Chiesa Madre delle icone bizantine. Nella seconda parte dell'articolo, leggerete una breve esposizione sull'icona bizantina. 
Madre Agnès Mariam: "Nel 1983 un monaco libanese visitò il nostro monastero, portandoci una grande icona della Vergine Maria (Nostra Signora di Ilige), che aveva sofferto molto durante la guerra. Egli ci chiese di restaurarla. Lavorando sull'icona, ho notato che aveva cinque strati sottostanti (il più antico risalente al X° secolo), e questi strati erano un po' come un riassunto di tutta la storia dei cristiani maroniti nel Medio Oriente. Quando ho iniziato a studiare questi strati ho fatto una scoperta che mi ha sconvolto ed ha determinato il resto della mia vita: avevo scoperto la Chiesa di Antiochia, la mia Chiesa, ed io non sapevo nemmeno che esistesse! È come se qualcuno stesse parlando a un cattolico sulla Chiesa di Roma ed egli rispondesse: "Cosa? Dov'è?”. Ero davvero sconvolta, com'era possibile che avessi lasciato tutto per Cristo entrando nel Carmelo e non conoscessi nemmeno la mia Chiesa?. Mi sono resa conto che i cristiani di questa regione - quindi il Libano, la Siria, la Palestina, l'Iraq e la Giordania- sono chiamati ad una grande missione, ma che la maggior parte lo ha dimenticato. Le persecuzioni e l'atteggiamento ostile nei confronti dei Cristiani li hanno immersi nella stanchezza. Oggi vedono la vita nella terra dei loro antenati piuttosto come un sopravvivere , cioè una sopravvivenza materiale. Per un Cristiano tutto inizia con la propria identità culturale. A Pentecoste lo Spirito Santo ha confermato questa identità. Gli Apostoli, su cui erano discese le lingue di fuoco, cominciarono a proclamare i miracoli di Dio. Tutti i presenti hanno ascoltato il messaggio di Salvezza nella propria lingua! Ciò dimostra l'importanza che lo Spirito Santo conferisce all'identità di ogni persona e di tutti i popoli.
Cosa sono le icone bizantine?
Nella seconda metà del XX° secolo, le icone bizantine hanno vissuto uno spettacolare risveglio sia in Oriente che in Occidente. In Grecia era già iniziato nel 1930, principalmente grazie a Photius Kontoglou. La ripresa fu ulteriormente stimolata alla fine degli anni '80 con il crollo del comunismo nell'Europa orientale. Sorprendentemente, tuttavia, molte persone in "Occidente" non hanno mai sentito parlare di icone bizantine o sanno cosa rappresentano. I paragrafi che seguono hanno lo scopo di colmare questa lacuna.
Le icone bizantine sono raffigurazioni sacre (icone, affreschi e mosaici) del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, della Santissima Madre di Dio, e di angeli e santi. "Bizantino" si riferisce all'Impero Bizantino in cui le icone divennero parte integrante della fede ortodossa. Caratterizzate da colori vivaci, spesso su sfondi dorati, le persone rappresentate nelle icone sembrano fluttuare e sono spesso più lunghe delle loro controparti naturali. Tutto nell'icona è simbolico. Per esempio, le orecchie di nostro Signore Gesù Cristo sono grandi e la sua bocca piccola. Significa che Egli sente tutto, ma parla solo con parole di santa saggezza. Icone e affreschi murali decorano ogni chiesa ortodossa [e cattolica di rito orientale] ad Est e ad Ovest. L'iconostasi è la parte centrale completamente composta da icone.
Significato profondo

Dopo aver contemplato diverse icone, si noterà che le icone sembrano avere solo una larghezza e un'altezza. La profondità, la terza dimensione (fisica), percepibile in quasi tutti gli altri dipinti chiaramente tradizionali (senza includere opere di arte moderna o astratta) sembra essere assente. La "terza" dimensione di un'icona va oltre ciò che l'occhio può vedere, è spirituale. Le icone hanno un significato profondamente spirituale. Un'icona è una finestra sul cielo. Questa finestra sul cielo permetterà alla persona che prega dinanzi alla persona rappresentata nell'icona di connettersi direttamente con essa: sia esso nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo o la Santissima Madre di Dio, un angelo o un Santo. Molte delle icone sono miracolose, visto che molti che pregavano davanti ad esse sono stati guariti dal male che li affliggeva. Un'icona è un modo efficace per conoscere Dio, la Santa Vergine, gli Angeli e i Santi. Un'icona non è semplicemente un'opera d'arte che illustra le Sacre Scritture. Essa costituisce un veicolo di verità religiose. Tenendo conto di quanto sopra, si può facilmente capire che un pittore di icone, o iconografo come viene comunemente chiamato, deve essere più che un artista. Un iconografo è un teologo tanto quanto un artista. Dipingere un'icona, presuppone da parte dell'iconografo uno stile di vita di preghiera, meditazione e digiuno.























Ora diamo uno sguardo al tema della Natività di Cristo, rappresentato in un'icona bizantina (a sinistra)  e in un'immagine sacra (a destra) . È sorprendente vedere come la rappresentazione di questo evento nella Chiesa ortodossa e orientale-cattolica differisca da quella occidentale. In Occidente vediamo la nascita del piccolo Bambino, la bontà e l'umanità di Dio che nasce tra noi. La Chiesa ortodossa e cattolica orientale pongono maggiormente l'accento sul grande mistero della venuta di Dio tra gli uomini, sull'adempimento della promessa della venuta del Messia. C'è un personaggio centrale: che non è il Bambino Gesù, ma la Vergine Maria. Più grande degli altri personaggi, è mostrata al centro, appoggiata su un cuscino rosso. Significa prima di tutto che è lei che ci dà Dio, la Theotokos, la portatrice di Dio, la Madre di Dio. Spesso il suo viso non è rivolto verso il Bambino, ma verso di noi, a significare che lei è la Madre di tutti gli uomini. Un triplo raggio viene dal cielo, a rappresentare la Santissima Trinità. Giuseppe siede sotto a sinistra. Un Vangelo apocrifo dice anche che Satana è venuto a dirgli che è impossibile per un bambino nascere da una vergine. Inoltre, potete vedere che il piccolo Cristo Bambino è rappresentato in una grotta oscura. Questa oscurità rappresenta la nostra umanità decaduta nella quale Egli è nato. Ha scelto di scendere nella nostra miseria, nelle nostre tenebre, per dare la sua vita per tutti i figli di Adamo. Questo è il motivo per cui viene spesso chiamato "l'unico amico degli uomini" nella liturgia bizantina.

venerdì 15 dicembre 2017

La fondazione Agha Khan ricostruirà la Moschea degli Omayyadi e i suq di Aleppo

Il Sussidiario, 15 dicembre 2017
E' l'aprile del 2013 quando in seguito a furiosi combattimenti il minareto della moschea duecentesca degli Omayyadi di Aleppo crolla distrutto dalle bombe. Un danno doloroso per i credenti musulmani e tragico per l'intera umanità, in quanto patrimonio dell'Unesco, risalente addirittura al 1090, uno dei più antichi in assoluto. Originario di Aleppo, anche se in Italia da molti decenni, Radwan Khawatmi, imprenditore di successo, quel giorno di aprile è uno dei tanti che soffre per quanto accaduto. Si rivolge al principe Aga Khan IV, presidente della fondazione che porta il suo nome e che si occupa di oltre 150 progetti di sostegno economico, culturale, sociale in tutto il mondo per i più poveri e lo convince a dare vita a un progetto per la ricostruzione della moschea e dello storico minareto. Domani mattina alle ore 10, presso l'Hotel Ramadà Plaza in via Stamira Ancona a Milano, Khawatmi presenterà ufficialmente questo progetto che è già stato definito il più impegnativo e costoso al mondo per il recupero di un edificio storico. Interverranno anche Giampaolo Silvestri, segretario generale dell'Avsi, i senatori Paolo Romani e Mario Mauro e l'eurodeputato Massimiliano Salini. In questa conversazione Khawatmi ci ha anticipato l'evento.

Dottor Khawatmi, ci può parlare del progetto che presenterà sabato mattina?
E' un progetto che riguarda la città di Aleppo. La guerra, che io non chiamo civile perché non esistono le guerre civili, ha portato alla distruzione della seconda più importante moschea del mondo islamico, ma importante anche per il mondo intero perché patrimonio dell'Unesco, e con essa il suo antichissimo minareto, esempio unico nell'architettura islamica. E' stata una tragedia per tutto il mondo islamico, soprattutto perché coloro che hanno distrutto questa moschea si dichiaravano musulmani, lascio immaginare che devastazione culturale e umana hanno portato queste bande di criminali. Come nativo di Aleppo, non potevo rimanere indifferente.
Cosa ha deciso di fare?
Ho chiamato il principe Aga Khan e gli ho espresso il desiderio di ricostruire il minareto e la moschea. Lui ha accettato e da quel momento è nato un progetto storico unico nel suo genere.
Ci spieghi.
Abbiamo individuato i migliori architetti europei e italiani, dell'Università Statale di Milano e di quella di Macerata. Ho voluto personalmente la presenza di italiani perché l'Italia è l'unico paese al mondo che ha sempre operato per motivi umanitari e di amicizia senza contropartite, a differenza dei francesi che sono andati in Libia solo per conquistare il potere o degli americani e degli inglesi che hanno invaso l'Iraq per qualche barile di petrolio. Io vivo in Italia da decenni e considero essere italiano una conquista, non un certificato che ti regala qualche partito.
A questo punto come avete proceduto?
Ci siamo recati ad Aleppo con ancora i combattimenti in corso, perché temevamo che le pietre crollate venissero rubate dai terroristi come avevamo visto in alcuni filmati. Abbiamo corso enormi rischi ma abbiamo cominciato a lavorare dentro la moschea, abbiamo catalogato tutte le pietre per poter realizzare un progetto architettonico unico nel suo genere.
Questo nonostante la guerra in corso?
Sì e senza voler offendere l'inviato dell'Onu, che non c'è riuscito, con i combattimenti in corso abbiamo riunito a un tavolo il governo, le autorità religiose, le autorità proprietarie dei beni islamici, il governatore della Siria del Nord, l'opposizione, il sindaco di Aleppo e tutti hanno accettato e appoggiato questo progetto. Tutto questo mentre c'era il rischio di essere rapiti dai miliziani dell'Isis.
La cultura e la bellezza sconfiggono anche la guerra…
Abbiamo inviato ad Aleppo i migliori esperti della sezione cultura della Fondazione per catalogare tutte le pietre originali che ancora si possono usare. Da quattro mesi stanno anche insegnando a 30 tra ingegneri e maestranze di Aleppo a lavorare alla ricostruzione, perché vogliamo che anche la popolazione locale sia coinvolta in questo progetto. I lavori di ricostruzione cominceranno il 27 dicembre, ci vorranno circa due anni perché vogliamo ricostruire il complesso con la stessa tecnologia di allora, nel pieno rispetto di com'è stata fatta. Non solo: ad Aleppo esiste il più lungo suq (mercato coperto, ndr) al mondo, 21 chilometri di lunghezza, andato del tutto bruciato. Ricostruiremo anche questo per ridare impulso economico e sociale alla città. Con queste due operazioni è ricominciata la ricostruzione della Siria.
Ma i siriani fuggiti stanno tornando?
Dalla Siria sono fuggiti undici milioni di persone su una popolazione di 22 milioni, la metà del popolo siriano. In Libano su 5 milioni di abitanti c'è un milione di siriani. Non per fare polemiche, ma in Italia le forze politiche si lamentano della presenza di 250mila profughi, meno dell'1% della popolazione. Il problema è che certe città sono andate distrutte al 60% e così le infrastrutture, le scuole, gli ospedali, i ponti, gli aeroporti. Il governo non può  far tornare tutti fino a quando non verrà ricostruito il paese, ma giornalmente rientrano tra 30 e 50mila siriani, il popolo siriano è sempre stato legato alla sua terra. Vogliono tornare a ricostruire la Siria.
La Siria era un esempio di convivenza tra culture e religioni diverse, sarà ancora così?
La convivenza tra le tre religioni ebraica, islamica e cristiana è sempre esistita in Siria. Le sinagoghe erano riferimento per gli ebrei, i musulmani potevano sposare i cristiani e le chiese e le moschee si facevano concorrenza a qual era la più bella. Un esempio di convivenza in tutto il Medio oriente. Per questo io credo che la Siria sia stata punita dal fanatismo islamico. Certamente tornerà la convivenza, è nel nostro dna il rispetto di ogni religione, sono tutti fratelli del Libro. Se apre il Corano leggerà che il più bel versetto è quello che parla della Verginità di Maria, per questo l'Isis ha voluto massacrare gli islamici moderati.
Ci vorrà un lungo lavoro anche di ricostruzione umana, non pensa?
Assolutamente. Purtroppo non avremo più una Siria come quella del 2011, perché 500mila morti lasciano profonde ferite. L'accanimento del terrorismo ha lasciato segni profondi. Avremo una Siria con lo stesso dna, ma una Siria diversa.