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domenica 30 ottobre 2016

Fra Ibrahim: "Ad Aleppo si combatte una guerra totale"

SIRIA. CRONACHE DI GUERRA E DI SPERANZA DA ALEPPOdi IBRAHIM ALSABAGH   Edizioni Terra Santa


Racconta la notte di Aleppo, Padre Alsabagh, “un istante prima dell’alba”. Come il titolo del suo libro, che raccoglie lettere e impressioni della vita del sacerdote dentro “l’apocalisse” del conflitto siriano.

Occhi della Guerra, 28 ottobre

Un istante prima dell’alba”

Racconta il dolore di “aspettare insieme ad una madre, le notizie dei due figli intrappolati sotto le macerie del quarto piano di un edificio, con le lacrime negli occhi ed il Rosario in mano”. Racconta il dolore di “accompagnare, mano nella mano, una madre e un padre al funerale del loro unico figlio di sette anni”. Padre Ibrahim Alsabagh, è, infatti, prima di tutto un sacerdote, che cura le anime afflitte di chi ad Aleppo resta anche solo “perché qui, almeno, ha un posto al cimitero”. Ma è anche un “vigile del fuoco, un infermiere, un badante”. In un posto in cui “la vita è impossibile”. Oggi ad al Shahba, un quartiere occidentale controllato dalle truppe governative, poco distante dalla parrocchia di Padre Alsabagh e dal convento dei frati francescani della Custodia di Terra Santa, sei bambini sono morti ed altri 15 sono rimasti feriti, nel bombardamento di una scuola da parte dei ribelli. Altri tre bambini hanno perso la vita in un altro attacco dei ribelli nel vicino distretto di Al Hamdaniya.

È una situazione impossibile per la vita”, racconta Padre Alsabagh presentando il suo libro ai giornalisti, “viviamo da più di tre anni senza elettricità, per settimane rimaniamo senza acqua, l’80% delle famiglie della nostra comunità sono senza lavoro, il 92% sono sotto la soglia della povertà e il 30% vive nella miseria più totale”. “Mancano ospedali attrezzati, mancano i medici perché la maggior parte sono scappati all’estero, mancano le medicine”, racconta il sacerdote. Sono molti quelli che scappano, “che si buttano nelle braccia dei pirati” pur di avere una possibilità di sopravvivere. “Ad Aleppo sono rimasti solo i più poveri”, spiega il sacerdote, “oppure quelli che sono convinti di rimanere, che sperano in un futuro migliore e pensano che valga la pena, dopo aver aspettato cinque anni, aspettare ancora un po’”. “Davanti al dramma di un popolo in agonia, ci siamo rimboccati le maniche, con la semplicità francescana e ci siamo inchinati davanti alle piaghe dell’umanità, davanti a chi viene privato ogni giorno, centinaia di volte, della propria dignità umana”, racconta Padre Alsabagh, “anche se nessuno, oggi, nel mondo è all’altezza di dare una risposta ad una crisi umanitaria come quella in corso in Siria, ed in special modo ad Aleppo”.

I civili ostaggio dei ribelli ad Aleppo Est

Abbiamo sentito di 12 persone ad Aleppo Est, uccise dai ribelli perché provavano ad uscire dai corridoi umanitari per consegnarsi all’esercito regolare e di un capo religioso musulmano, che aveva organizzato una manifestazione pacifica per chiedere il permesso alle milizie di fare uscire tutti gli innocenti, che è stato ammazzato dai ribelli”. 
Padre Alsabagh testimonia una realtà diversa da quella che siamo abituati ad ascoltare. “Bisogna evitare di fare una lettura parziale della crisi”, afferma il sacerdote. “Nella parte occidentale della città vivono 1,2 milioni di abitanti sotto la protezione di Assad e dell’esercito regolare, mentre la parte Est è un’area più piccola della città, controllata dalle milizie ribelli, dove vivono circa duecentomila persone”, spiega il presule, “da più di tre anni i ribelli bombardano i civili nei nostri quartieri per terrorizzare il popolo, come arma di pressione contro il governo”. Per questo, afferma Padre Alsabagh, “quando i giornali parlano solo dei bombardamenti dell’esercito di Assad o dei russi sulla parte orientale rimaniamo a bocca aperta”. Il sacerdote ha quindi ricordato che “quando si parla di Aleppo, bisogna parlare del martirio dei civili sia ad est, sia ad ovest, perché la violenza è cieca, e a pagare sono sempre gli innocenti, come succede anche in queste ore”.
i missili grad di cui sono appena stati riforniti i terroristi per la battaglia di Aleppo

Ad Aleppo si combatte la Terza Guerra Mondiale”

Nella città siriana il rischio, secondo il sacerdote, è quello di una “guerra totale”. La situazione, infatti, peggiora di giorno in giorno. “La città è divisa in due, a volte si combatte anche a distanza di due metri, con missili di tre metri, di grande potenza”, afferma il presule. Uno di questi è caduto pochi giorni fa nel monastero delle suore carmelitane. La comunità internazionale resta divisa. “Questa divisione si riflette nelle aule delle Nazioni Unite e nelle strade di Aleppo”, dice Padre Alsabagh. “Se la comunità internazionale non mostrerà maturità tutto il mondo sarà come Aleppo”, afferma il sacerdote, perché “la situazione sta precipitando non solo a livello umanitario ma, in generale, sul piano del dialogo internazionale”.

La Guerra Mondiale a pezzi, di cui ha parlato Papa Francesco, è già in atto”, afferma padre Alsabagh, “e noi da Aleppo ne cogliamo i segnali: nelle truppe sul terreno, nei camion carichi di armi, nei missili con enormi capacità distruttive”. “Ora sono i potenti che devono scegliere”, dice il sacerdote. Ed è una scelta netta, tra “continuare questa guerra all’infinito o cercare una soluzione attraverso il dialogo”. Padre Alsabagh è sicuro: “Oggi l’umanità si trova ad un bivio che segnerà la storia del mondo”. “Dove vogliamo andare?”, si chiede il parroco della città martoriata. “Verso una guerra totale?”.

mercoledì 26 ottobre 2016

A un anno dalla morte di monsignor Giuseppe Nazzaro, la testimonianza delle Trappiste dalla sua Siria

Un altro anniversario della morte di Mons. Nazzaro.. un’altra occasione per rinnovare tutta la gratitudine del cuore per quanto abbiamo ricevuto da lui.
Come non rimpiangere la sua capacità di discernimento sui fatti e sulle cose, oggi che le sue opinioni sono rilanciate da tanti, oggi che finalmente -dopo tante vicende- chi vuole può aprire gli occhi sulla realtà di quanto accade in Siria?
Non era certamente ingenuo, o compiacente, Mons. Giuseppe, quando diceva sapendo di esagerare “in quale paese si sta meglio che in Siria?”. Semplicemente, sapeva prevedere il disastro che ora tutti abbiamo sotto gli occhi.
Troppo di parte”, si è detto di lui. Questa affermazione, con cui si chiude la bocca alla testimonianza di tanti cristiani siriani, è ridicola, perché sarebbe interessante sapere chi non è di parte, o può non essere di parte, in tutta questa storia.  All'accusa “ci si ostina a difendere i propri privilegi di cristiani, incuranti di chi paga il prezzo”, rispondeva: la sopravvivenza non è un privilegio, l’ottenere il rispetto come cittadini, come minoranza, non è un privilegio. E non è vero che i cristiani non si curano delle altre minoranze, che si interessano solo a se stessi.
Perchè chi conosce la Siria sa che è un destino unico, per tutti : o la coabitazione o la dissoluzione del paese come tale. Cioè della convivenza e della lunga storia di coesistenza delle differenze, che oggi è un valore sempre più raro nelle nostre società.
Altrimenti come si spiegherebbe che una buona parte di sunniti abbiano scelto comunque di sostenere l’unità nazionale, e che molti abbiano pagato con la vita la loro scelta? A questa domanda una volta o l’altra si dovrebbe pur cercare di dare una risposta...
Ci sono state molte sofferenze e abusi, nel paese, e va tutto il rispetto e il sostegno a chi ha subito violenza ingiustamente. La Siria doveva e deve cambiare, Monsignor Nazzaro stesso lo diceva, e i cristiani di qui non sono così stupidi o cinici da non saperlo o non volerlo. Ma il cambiamento doveva venire dall’interno, dai siriani stessi, non dagli interessi corrotti di paesi stranieri alla Siria.
I cambiamenti veri si fanno offrendo opportunità di crescita, non distruggendo tutto il possibile e rubando le risorse di un paese.. Si fanno creando opportunità di scambio, di contatto con altre realtà…non chiudendo le frontiere con le sanzioni, che tolgono il lavoro e alimentano le mafie… Si fanno con la cultura vera, il pensiero libero, da diffondere e incrementare, non con l’informazione menzognera .
Così replicava a quelli  che gli dicevano "ah, in Siria non era possibile fare nessun progetto educativo, non era permesso.” : forse non si potevano portare libri o scuole.... ma com’è che sono riusciti a far entrare in Siria quintali e quintali di armi, di esplosivi, e quant’altro, a scavare tunnel per anni ... e libri e cultura e progetti niente? Per quelli, sì, forse valeva la pena di infrangere le regole, osare un po’ di più…anche “sfidare" qualcuno se necessario….
Certo, a patto che si avesse a cuore veramente la crescita di un popolo, e non piuttosto il desiderio di trarre profitto dalla sua distruzione.. come sempre denunciava coraggiosamente Monsignor Nazzaro.

Tanti, ormai, stanno dicendo questo, e sono persone più accreditate di noi, siriani e non, cristiani e non… E niente cambia. I nostri paesi occidentali continuano con le loro politiche asservite alla logica di chi tira le fila. Vogliamo liberare la Siria e siamo schiavi. Esiste una informazione che rivela e fa conoscere ormai molte cose…e l’Occidente continua ad aggiungere sanzioni !
Purtroppo, anche in ambito cattolico, si leggono articoli che fanno veramente male al cuore, e per fortuna a noi ne arrivano pochi. E spiace dirlo, ma ci si appella anche ai buoni sentimenti della gente- buoni sentimenti veri, sinceri- utilizzati per una distorsione del giudizio che ci dovrebbe almeno spaventare.
Ad esempio l’orrore - giusto, sacrosanto- di fronte alla morte dei bambini.... che però non sono “tutti” i bambini, ma solo quelli di una parte.. fatti morire così due volte, perché usati e abusati sulle copertine dei giornali. Ed anche gli appelli per il cessate il fuoco ( può sembrare cinico) diventano facilmente equivoci, manipolabili, se non ci si accorge che le armi che si usano le vendiamo noi, passano per la nostre frontiere, sono comprate con i nostri finanziamenti, o in scambio del petrolio che ci fa comodo, e così via…
Dopo aver riempito un paese di armi efficienti e sofisticate, dopo aver acceso il fuoco di un odio reciproco fra fratelli, dopo aver illuso tanti che il miglioramento potesse arrivare dalla lotta armata, dopo aver addestrato ed equipaggiato e ben pagato per far guerra… dopo aver distrutto il futuro di tutti ( perché chi ha lottato e chi ha subìto, che prospettive reali ha davanti a sé, in un paese completamente distrutto?) adesso si dice: cogliete un fiore, e fate la pace, in nome dei principii umanitari?
Dobbiamo cambiare molte molte cose in Occidente se si vuole che cessi il fuoco in Medio Oriente… a partire dalle nostre parole.
Sì, davvero Monsignor Giuseppe sapeva vedere più in là…
E noi, che molte volte gli abbiamo suggerito di essere più diplomatico, se voleva essere ascoltato, lo ricordiamo con gratitudine, perché ci ha aperto gli occhi su molte cose, e per la Siria ha messo tutto il suo cuore di padre. Senza proprio nessun privilegio.
  le sorelle trappiste siriane



Sabato 5 novembre 
presso la chiesa parrocchiale di San Potito Ultra (AV) alle ore 17 
si svolgerà un convegno in memoria di padre Giuseppe Nazzaro, ofm, Vicario Apostolico emerito di Aleppo ; 
al temine vi sarà la benedizione della tomba monumentale in cui egli riposa 

lunedì 24 ottobre 2016

La tregua rifiutata dai jihadisti, il trasferimento di ISIS da Mosul, la carità dei monaci

missile lanciato la sera del 22 ottobre dai jihadisti sul Carmelo di Aleppo: fortunatamente inesploso, altrimenti avremmo dato addio alla Comunità delle Sorelle Carmelitane!

di Patrizio Ricci
IL SUSSIDIARIO, 24 ottobre 2016

Continua la campagna mediatica a tutto campo e le condanne contro Mosca e Damasco: venerdì il consiglio dell'Onu per i diritti umani ha condannato i bombardamenti russi ad Aleppo ed è stata giudicata "patetica" quella che rappresenta l'unica possibilità di soluzione politica del conflitto: la richiesta di separare l'opposizione armata dai gruppi jihadisti che il rappresentante russo aveva chiesto di inserire come emendamento. La risoluzione non ha avuto nessuna considerazione del fatto che la Russia dal 20 ottobre ha interrotto i bombardamenti mirati sui quartieri di Aleppo est ed ha aperto 8 corridoi umanitari (di cui 2 per i combattenti che decidessero di uscire indenni) per consentire l'afflusso di aiuti all'interno dell'enclave e la fuoriuscita di civili. E in tema di "diritti umani", la risoluzione ha ignorato che la cittadinanza residente ad Aleppo est è ostaggio dei terroristi. Infatti i corridoi umanitari aperti dai russi sono sotto costante tiro delle armi leggere e delle bombe di mortaio dei guerriglieri. L'agenzia Sir (Servizio Informazione Religiosa) ha riportato quando sta accadendo: "Aleppo, al via la tregua decisa da Mosca e Damasco. Ma i jihadisti sparano sui civili che vogliono lasciare la parte Est della città". Ulteriori dettagli erano stati dati durante il briefeing tenuto il 13 ottobre dal Capo di stato maggiore delle Forze armate russe S.F. Rudskogo: la maggior parte dei combattenti anti­governativi non solo rifiuta di lasciare le proprie posizioni ma non consente neppure la fuoriuscita dei civili. E se questi ultimi insistono, vengono giustiziati pubblicamente.
Il sabotaggio dei ribelli ha impedito ai convogli umanitari promessi dall'Onu di accedere ai quartieri isolati. In questo contesto deteriore di grave sofferenza per i civili, la Ue ha deciso di inasprire ulteriormente le sanzioni contro la Siria. 
Intanto, i cannoneggiamenti sulle zone residenziali di Aleppo ovest non si sono mai interrotti: solo nella giornata di venerdì hanno causato 8 morti e 30 feriti. La notizia di questo quotidiano stillicidio umane, è confermata da tutti i vescovi di Aleppo. Il problema di fondo è evidentemente che gli Usa ed i loro alleati rifuggono la stessa idea di Aleppo in mano governativa: se avessero voluto, minacciare i ribelli di togliere loro il supporto sarebbe stato sufficiente per ottenere il rispetto delle tregue. E' tragicomico che solo Erdogan abbia tirato fuori 150 uomini della milizia Ahrar-al Sham ed abbia addirittura promesso a Putin di adoperarsi per far uscire al Nusra. Tuttavia gli eventi hanno preso un segno diverso: nella zona sudovest della città, ai jihadisti sono arrivati di rinforzo più di 1200 uomini molto ben equipaggiati e pronti a sferrare un contrattacco. Così la fragile tregua è già caduta: ieri sono ricominciati i bombardamenti russi e gli scontri tra l'esercito siriano e le milizie anti­Assad lungo la linea strategica nel sud­ovest di Aleppo dove queste ultime si stavano riorganizzando.
Le brutte notizie arrivano sempre insieme: un diplomatico russo ha dichiarato all'agenzia Ria Novosti che ai terroristi dell'Isis che lasceranno Mosul, sarà assicurata dalla coalizione Usa una via di fuga verso il nord della Siria: "Più di novemila militanti Isis saranno ri­dispiegati da Mosul alle regioni orientali della Siria per sferrare una offensiva di grandi dimensioni, che comporterà la cattura di Der Ezzor e Palmira". La notizia è confermata anche dall'agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu.
Questa prospettiva sembra sia presa molto sul serio dal comando russo­-siriano visto che due divisioni meccanizzate provenienti da Damasco sono giunte sabato ad Aleppo. Anche la componente aeronavale russa sarà rinforzata: la portaerei Kuznecov naviga nel Mediterraneo e dirige verso la Siria accompagnata da un'imponente squadra navale. Inutile dire che il capo della Nato Jens Stoltenberg già vede la cosa come una minaccia. Purtroppo negli ultimi tempi sembra che la Nato, in ogni momento di crisi, quando si è ad un passo dal risolverla pacificamente, ritiri sempre la mano. Chi oggi dice di "percepire la minaccia" è però lo stesso Occidente che sta appoggiando la "rivoluzione" innescata da gruppi settari che non si sarebbero mai mossi senza un sicuro appoggio militare, politico e finanziario. 
E' un mondo che, barando, vuol cambiare le carte in tavola: nel caso siriano, anziché rispettare e trarre vero profitto da secoli di cultura e memoria di cui è ricca la Siria, vuole fare tabula rasa e poi lucrare secondo le ambizioni di pochi.
Non è questa la strada della presenza cristiana in terra siriana. Ed i tanti monasteri cristiani che ne portano memoria, lo dimostrano. Sono letteralmente piantati nel deserto, ma anche in mezzo alla guerra costituiscono luoghi di amicizia concreta per cristiani e musulmani. La presenza del monastero di Mar Yakub in Siria, nella località di Qara sui monti Qalomoun, vicino al Libano, risponde alle molte domande sollecitate da queste righe di cronache contraddittorie.



La risposta dei monaci è stata tener viva la fede. Quando la carmelitana franco­libanese madre Agnese visitò per la prima volta nel 2000 quei luoghi, trovò solo dei ruderi. Ma da quelle rovine è nata una comunità monastica che ha scelto di pregare soprattutto per preservare l'unità della Chiesa. Poi, da quando è cominciato il conflitto nel 2011, la comunità ha cominciato ad organizzare distribuzioni per venire incontro ad un bisogno enorme. I convogli di cibo e abbigliamento, organizzati dalle monache e monaci del monastero, sono arrivati lontano, fino alla campagna a sud di Aleppo, dove ci sono parecchi campi profughi e non arrivano le organizzazioni umanitarie. Madre Agnese ha promesso alle famiglie, la maggior parte musulmane, di continuare a soccorrerle nei bisogni primari. Da qui la grande operazione della consegna quindicinale dei pacchi a cui ci chiede di collaborare. Potrete voi stessi visitare il sito Mar Yakub Charity per vedere le iniziative in corso. Non sono iniziative che fanno 'loop' su se stesse ma che indicano la speranza di cui tutti abbiamo davvero bisogno.

mercoledì 19 ottobre 2016

Siria, il conflitto spiegato da fra Firas Lutfi


Paceinterra, 17 ottobre 2016

L’ultimo missile è caduto la scorsa settimana. 2 metri e mezzo di lunghezza, si è adagiato sul terreno a pochi passi dal convento francescano di Aleppo, senza esplodere. Poteva essere una strage. «Non c’è zona al sicuro qui ad Aleppo», ci dice dalla Siria padre Firas Lutfi, frate francescano. Ha vissuto ad Aleppo dal 2004 al 2011, poi una pausa per studiare in Italia e infine, nel 2015, la decisione di tornare ad Aleppo nonostante la guerra. Lo tratteniamo un’ora al telefono dalla città che le Nazioni Unite hanno definito “la più pericolosa del mondo”. «Come sta padre Firas?», gli chiediamo per salutarlo. E lui ci risponde con una serena risata: «Grazie al Signore sto bene».

Padre Firas, si può ridere ancora ad Aleppo?
È la fede che ci sostiene. Vivere ad Aleppo oggi è una grande sfida, è un martirio quotidiano. Non si vede ancora una minima soluzione e senza un appoggio divino perderemmo la testa e la ragione, le speranze verrebbero esaurite. Invece la fede dà una riposta. Non dobbiamo chiedere “perché?”, ma “per chi?”.
La guerra è in continua evoluzione. Cosa sta succedendo?
La situazione qui ad Aleppo sta persino peggiorando perché si vedono i raggruppamenti delle milizie, si fa sempre più concreto un intervento militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati contro basi dell’esercito siriano. La Russia ha minacciato che chi tocca le basi siriane tocca quelle russe. Non è un mistero che qui si sta giocando una partita internazionale. Qui c’è in gioco la Turchia, la Russia, l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, il Qatar. Tutti vogliono un pezzo di Siria. Per usare le parole di san Paolo ai romani, «tutti hanno peccato» in Siria, perché tutti hanno contribuito alla distruzione.
Chi ha voluto questa guerra?
Già dagli inizi si capiva che la Siria non è la causa della guerra. La guerra è nata in Afghanistan e la Primavera araba ha nascosto tanti interessi, era un pacchetto preconfezionato. All’inizio si pensava che qui fosse scoppiata una rivoluzione per chiedere più democrazia, ma presto ci siamo resi conto che siamo finiti nella palude di una guerra che ci vede vittima di interessi internazionali. Adesso le ragioni sono più chiare: l’intento fin dall’inizio era spezzare il Medio Oriente, in base alla religioni, alle etnie. Qui non si combattono i governi, ma gruppi interni. Studi americani parlavano di scontro di civiltà già nel 1993, non stanno facendo altro che metterli in atto. Ora stiamo rischiando di diventare come la Somalia, ma con tutto il rispetto, la Siria non è la Somalia. Le donne qui avevano già da tempo un ruolo anche politico, mentre in altri stati le donne non possono nemmeno guidare la macchina. Abbiamo poco tempo, altrimenti avremo perso tutto. Se non troviamo una soluzione politica rischiamo di perdere un patrimonio di tutta l’umanità. Damasco è una delle capitali più antiche del mondo, qui ci sono le basi del cristianesimo. Già parte del patrimonio è distrutto come a Palmira. Eravamo il granaio dell’Impero romano, ora stiamo diventando un cumulo di macerie. Noi speriamo che non avvenga lo scontro corpo a corpo tra russi e americani. Il pericolo non è solo una battaglia tra i giganti del mondo sul territorio siriano, una terza guerra mondiale, ma la perdita della nostra identità.
L’Europa ha un ruolo nel conflitto?
L’Europa sembra impotente e spero che l’Europa non si renda complice del sangue siriano. Gas, petrolio, la nostra posizione geografica, tutte le nostre risorse sono diventate la nostra condanna. Temiamo che Francia e Gran Bretagna possano avere nostalgie coloniali. Non crediamo all’intervento innocente. “Formiamo il Comitato Amici della Siria”, dicono. Si dichiarano amici e ci mandano i terroristi, ripetono di essere amici e ci mandano armi. Che amici sono questi? Non tutta l’Europa è però uguale. Guardiamo con occhio diverso l’Italia, ma sappiamo comunque che è parte della Nato ed è alleata degli Stati Uniti, di cui ormai noi diffidiamo.
Israele è ancora in conflitto con la Siria per il Golan. Quali interessi ha?
Cosa stia facendo Israele è enigmatico. Sappiamo che ha offerto cure ai ribelli, che l’esercito israeliano ha violato il nostro territorio. Il fatto che non parli non vuol dire che non agisca. L’interesse di Israele è avere un esercito siriano debole, in modo da poter controllare meglio il confine.
Quanto Isis c’è ad Aleppo?
La capitale dell’Isis è al-Raqqa, che dista 200 chilometri ad Est di Aleppo. L’Isis taglia spesso la strada che collega Aleppo a Damasco. Nella città invece c’è Al-Nusra e altre milizie. La Russia ha smascherato il petrolio siriano venduto illegalmente al confine turco, così l’Isis si arricchiva e comprava armi. Questo è tema di scontro tra Usa e Russia.
Cosa vede attorno a sé?
Vedo una città quasi morta. Vedo sfiducia, depressione nell’animo degli aleppini, perché aspettiamo la pace, ma non si vede, non c’è. Non vedo solo demolizione materiale, delle pietre. Dove vivo tanto è cambiato. Non ci sono zone di Aleppo dove si possa vivere in pace e serenità. L’altro giorno 4 studentesse di una scuola elementare sono state uccise alle 8.30, proprio mentre andavano a lezione. Sembrava una giornata tranquilla, ma le bombe non hanno smesso dal mattino fino a tarda sera. Noi cristiani viviamo nei quartieri occidentali che sono sotto il controllo dell’esercito siriano, ma questa zona non è mai stata esente da scontri. A maggio, un missile ha ucciso una donna anziana. Noi abbiamo offerto ospitalità alla famiglia perché l’edificio dove viveva la sua famiglia era distrutto. La settimana scorsa un altro missile di 2 metri e mezzo è caduto nell’area interna del nostro convento e per fortuna non è esploso. Ecco cosa vedo: cittadini in agonia e sfiduciati dalla comunità internazionale incapace di risolvere questo conflitto. Diffidiamo di tutte le promesse, ci restano solo tante domande.
Quali?
Vogliamo sapere perché ci hanno abbandonati. Perché ci trattano da numeri e non da persone? Perché non c’è la volontà di trovare una accordo di pace? Aleppo è una città martire, la gente scappa. Mi domando con gli altri francescani come venire incontro a come venire incontro alle necessità della popolazione. Stiamo entrando nel sesto anno di guerra e qui serve acqua, elettricità, ma anche piccole cose per gestire la vita ordinaria. Come fa chi ha perso un lavoro a tenere la famiglia? Ci sono aziende fallite, come possono rinascere? A queste domande l’unica risposta è la preghiera, l’affidamento alla Provvidenza, che in questo momento non è mai mancata.
Quanto è grande la comunità cristiana di Aleppo?
I cristiani erano 150mila ora sono 30mila. Il numero continua a calare drasticamente. Questa era la seconda città della Siria. Era la città dell’economia, della finanza, era la città che non dormiva, la città delle luci. 3,5 milioni di abitanti prima della guerra, ora siamo meno della metà, un milione e mezzo in totale. Le persone scappano in altre città dove c’è possibilità di lavorare, o in Libano. Altri in Europa, con vie illegali, rischiando la morte in mare. Tutto questo alla comunità internazionale non sembra interessare.
Vi aspettate che la comunità internazionale crei corridoi umanitari?
Noi vogliamo la soluzione totale. Se poi deve passare per soluzioni parziali allora possono servire. Qui ogni tregua fino ad oggi è stata solo l’occasione per comprare nuove armi e riprendere la guerra. I corridoi umanitari vengono sfruttati dai terroristi per muoversi, questo è il problema.
Perché e a quali condizioni si decide di restare oggi ad Aleppo?
Chi resta lo fa per due ragioni: o non ha più soldi nemmeno per viaggiare, oppure fa una scelta. Le ambasciate non sono aperte ai profughi, così o prendi la via del mare con il rischio di morire, o semplicemente non puoi affrontare il viaggio. Si resta a costo di morire sotto le bombe. Poi ci sono quelli che sono convinti di rimanere, come noi religiosi. Non siamo qui non per caso, ma vogliamo testimoniare la nostra fede, testimoniare il Vangelo. Centinaia di religiosi sono ancora qui per guidare una comunità in agonia. Soffriamo con loro, hanno bisogno di pastori.
Come si sopravvive ad Aleppo?
I servizi ci sono ma sono molto costosi. Per parecchi mesi non avevamo elettricità. Adesso il problema è l’acqua. Abbiamo scavato pozzi per adattarci a questa situazione. Per il telefono usiamo internet, ma il costo è di 100 euro al mese e per noi siriani è tantissimo. Per l’elettricità delle 800 famiglie della nostra parrocchia abbiamo pagato l’abbonamento ad un generatore elettrico dove possono collegare una lavatrice, avere un po’ di luce per studiare. Dobbiamo dare risposte concrete. Un’operazione per un malato o un ferito può costare decine di migliaia di dollari. Nel nostro piccolo facciamo di tutto perché la nostra gente possa restare. Non possiamo abbandonarli perché già si sentono abbandonati dal mondo, ma noi come pastori non possiamo far venire meno la nostra mano. Ogni giorno riusciamo ad avere qualcosa per aiutarli.
Molti media hanno detto che Aleppo rischia di rimanere senza ospedali. È vero?
Distinguerei tra parte occidentale (sotto controllo di Assad) e orientale sotto controllo dei ribelli. Già prima della guerra la periferia Est era più trascurata, quindi non è una novità che ci siano più difficoltà. Quando la periferia è diventata base dei ribelli i soldati e infermieri non potevano più entrare nella parte Est e si sono arrangiati con le risorse già scarse che avevano. Le bombe “intelligenti” non distinguono tra ospedali, scuole o basi militari. Colpiscono ovunque e le vittime sono i civili. Il problema è che i media fanno emergere notizie secondo gli interessi. Se sono gestiti da persone vicine ai ribelli diranno che Assad ha colpito gli ospedali con l’unico medico per i bambini rimasti ad Aleppo. È vero o no? Nessuno può dirlo. Ci sono informazioni fabbricate. C’è molta disinformazione, come è accaduto con le armi chimiche. Avevano accusato l’esercito siriano di averle usate per poi rendersi conto che non era possibile. In tempo di guerra è davvero difficile essere oggettivi e prendere una posizione. Io mi occupo di servire i più deboli, i più poveri, non sono un esperto militare. Io prendo solo le conseguenze di questo martirio che sta subendo la mia comunità.
Mi racconta la sua giornata di sacerdote?
Mi alzo presto e cerco di dire le mie preghiere perché sono un frate. Poi inizio a prendere contatti. Ho gli incontri con i parrocchiani, porto la Comunione ai malati. Poi lascio sempre spazio alle emergenze. Ci chiamano per dirci che è caduta una bomba che ha distrutto una casa, oppure se hanno bisogno di pagare tasse, o se ci sono feriti negli ospedali. Arrivo a casa che sono sfinito.

preghiera per la pace dei bambini di Marmarita












Si parla molto dei bambini di Aleppo. Cosa fate per loro?
Gli adulti hanno fallito totalmente, la nostra speranza è che i bambini possono parlare al cuore degli adulti. La scorsa settimana noi francescani abbiamo accolto 800 bambini per pregare per la pace. Quante case distrutte e bambini morti sotto le macerie di questa guerra ingiusta. Quando vedi morire bambini solo perché vanno a scuola, allora capisci che solo la Provvidenza sta aiutando i bambini che sopravvivono.
Papa Francesco fa sentire spesso la sua voce per favorire la pace in Siria. Quanto peso hanno le sue parole?
Il Papa è un uomo di pace e si sta occupando seriamente della pace in Siria. Il Papa agisce con la Chiesa. Noi siamo suoi portavoce e operiamo come operatori di pace. Tutto il bene che fa la Chiesa è come se lo facesse il Papa. I suoi appelli per noi sono la prova di una presenza paterna. Quando dice “Se volete la pace non vendete le armi”, tocca il primo mercato che alimenta questa guerra. Francesco lavora e prega per la Siria. Ricordo a settembre di tre anni fa , quando a San Pietro aveva riunito per una giornata di digiuno e preghiera, e abbiamo scampato l’attacco imminente degli Stati Uniti. E dal quel momento si iniziò a parlare di una soluzione politica, mentre prima l’unica soluzione sul tavolo era militare. Il Papa invoca la pace, perché la pace è un dono di Dio, ma si sta mobilitando anche nel corpo diplomatico. «Beati gli operatori di pace» dice il Vangelo.
Come fa a tenersi in contatto con gli altri frati?
Qui in Siria siamo una quindicina di frati. Il telefono è l’unico vero strumento per tenersi in contatto perché le strade che collegano i nostri conventi sono spesso chiuse o sono pericolose. Abbiamo un convento al confine con la Turchia, zona sotto controllo straniero e dove era stato sequestrato padre Dhiya Azziz. Nonostante le difficoltà, tra noi c’è una bella relazione soprattutto per migliorare il servizio verso le nostre comunità.
Padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa, in occasione della sua nomina a maggio ci disse che avrebbe fatto di tutto per la Siria. È già al lavoro?
Il Custode è venuto da noi rischiando la vita, appena hanno riaperto la strada da Aleppo e Damasco. È stato qui ad Aleppo dal 16 al 19 agosto. Io ricordo il suo coraggio. È venuto non solo a trovare noi frati ma tutta la comunità. Io l’ho accompagnato da Aleppo a Damasco. Ci ha detto che valeva la pena correre il rischio e ha mantenuto la promessa.
In conclusione, la pace in Siria è davvero impossibile?
Nella parte costiera, dove c’è la base militare russa, non sembra nemmeno che ci sia la guerra. Homs, tra Aleppo e Damasco, è stata distrutta, ma ora sono riusciti a portare via gli uomini armati. La pace non avverrà mai passivamente. Non basta commuoversi vedendo i bambini morti. Se smettiamo di vendere armi allora la guerra finirà, dobbiamo andare oltre gli interessi economici. Come diceva san Giovanni Paolo II, la pace per quanto costosa avrà un prezzo inferiore della guerra. Non devono fare in Siria come fanno in Africa: danno armi a persone che non hanno nemmeno da mangiare. La logica di sfruttamento è talmente fatale che non lascia spazio alla ragione. Dovrebbero creare università, fare contratti, invece vogliono solo sfruttarci, senza aiutarci a svilupparci. C’è tanta ingiustizia. Io sono un uomo di fede e speranza. Se la pace è stata possibile dopo altre guerre, allora perché non dovrebbe essere possibile in Siria?

http://www.paceinterra.it/siria-il-conflitto-spiegato-da-frate-firas-lutfi-aleppo-e-quasi-morta-ma-la-pace-arrivera/

domenica 16 ottobre 2016

La stragrande maggioranza degli abitanti di Aleppo plaude vivamente all’offensiva dell’Esercito siriano. Mons Audo: "A poco a poco sarà la fine di questa bella comunità cristiana di Aleppo"

ancora una volta colpito dai jihadisti il quartiere armeno 

Aleppo città martire


di Nabil Antaki
Pubblicato nella rivista Témoignage Chrétien il 6 ottobre 2016

Nonostante la guerra fosse iniziata in Siria nel marzo del 2011, essa effettivamente si propagò in Aleppo nel luglio 2012, quando i «ribelli» armati occuparono alcuni quartieri della zona est, provocando lo sfollamento di cinquecentomila abitanti che non volevano vivere sotto il controllo degli islamisti. Da quel momento, la città è divisa in due parti: la zona est, con il 25% della superficie totale, dove vivono oggi duecentomila abitanti, mentre il resto ha cercato rifugio nella zona occidentale, sotto la protezione dello Stato siriano, che comprende il 75% del territorio complessivo ed è abitata da un milione e mezzo di abitanti.

Dal 2012, i ribelli islamisti lanciano quotidianamente proiettili di mortaio e bombole di gas, riempite di chiodi ed esplosivo, sui quartieri ovest di Aleppo, causando morti e feriti gravi. Due anni fa, hanno anche interrotto l’approvvigionamento idrico (le autorità cittadine hanno fatto scavare trecento pozzi in pieno centro per sostituire l’acqua corrente.) e l’alimentazione elettrica, e più volte hanno imposto blocchi per impedire il rifornimento di derrate alimentari, oli combustibili e altri generi di prima necessità, con conseguenze gravissime.

L’Esercito siriano, con l’appoggio dei suoi alleati, lotta da quattro anni per liberare Aleppo est dai ribelli armati e restituirla all’amministrazione dello Stato, ma senza esito positivo. Da una parte e dall’altra, bombardamenti e cecchini hanno causato migliaia di vittime e, da quattro anni, la vita in città è un inferno.
Un mese fa, i ribelli armati hanno preso il controllo dell’unica strada che collega Aleppo ovest al resto del mondo, impedendo, come molte volte negli anni scorsi, agli abitanti di lasciare la città o di rientrarvi e causando gravi penurie. Dopo tre settimane di combattimenti, le truppe governative sono riuscite a riconquistarla ed hanno messo sotto assedio i quartieri est. Da due settimane, i ribelli sono quindi bloccati insieme agli abitanti che hanno scelto di non allontanarsi.

Lo Stato siriano è ormai fermamente deciso a liberare una volta per tutte Aleppo dalle grinfie dei terroristi di al-Nusra, che occupano i quartieri est (al-Nusra è considerato unanimemente dalla comunità internazionale un gruppo terroristico al pari di Daesh).
Dato che l’Esercito siriano è riuscito ad assediare la parte ribelle di Aleppo, impiega bombardamenti aerei e combattimenti terrestri per raggiungere il suo obiettivo, ma prima di iniziare l’attacco ha lanciato volantini ed inviato messaggi SMS, chiedendo alla popolazione civile rimasta – la maggioranza ha abbandonato Aleppo est nel corso degli anni – di allontanarsi e rifugiarsi nella zona ovest. Ha aperto sette posti di passaggio e molti ne hanno approfittato rischiando la vita, poiché i gruppi armati li ostacolavano, per utilizzarli come scudi umani. Questi atti di guerra fanno naturalmente numerose vittime tra i terroristi, ma anche tra la popolazione civile.

D’altra parte, i terroristi di Aleppo est hanno intensificato i bombardamenti dei quartieri residenziali di Aleppo ovest, con decine di vittime quotidiane. Mercoledì 28 settembre, un diluvio di bombe e bombole è precipitato sul quartiere cristiano di Azizie, causando dieci morti e un numero doppio di feriti. Venerdì 30 settembre, tutti i quartieri di Aleppo sono stati sotto tiro dei ribelli con un bilancio gravissimo: trentasei morti e numerosi feriti gravi.

I media occidentali mostrano, però, soltanto immagini con le distruzioni, la sofferenza degli abitanti di Aleppo est e l’indignazione della comunità internazionale. Nessuna notizia, invece, sulla sofferenza degli abitanti di Aleppo ovest, sui morti e feriti causati dai bombardamenti dei ribelli.
I cristiani di Aleppo hanno vissuto da sempre nei quartieri del centro città e della zona occidentale. In quattro anni di guerra, tre quarti di loro hanno preso il cammino dell’esodo. Attualmente ne restano circa quarantamila, e i bombardamenti degli ultimi giorni li hanno colpiti deliberatamente.

La stragrande maggioranza dei cittadini di Aleppo ovest plaude vivamente all’offensiva dell’Esercito siriano. Durante quattro anni, hanno troppo sofferto per i tagli dell’acqua e dell’elettricità, per i numerosi blocchi e per i proiettili di mortaio che, ogni giorno, hanno falcidiato le loro donne, i loro mariti, i loro figli i loro amici ed hanno spinto all’esodo metà della popolazione. Essi pensano che è dovere dello Stato proteggere la popolazione e liberare le città.

Noi ripudiamo le inumane azioni di guerra, noi denunciamo i crimini di guerra, siamo atterriti per tutte le sofferenze patite, ma siamo anche indignati per la lettura parziale e distorta che i media fanno della guerra di Aleppo.
Tutti i Siriani, e particolarmente gli Aleppini, aspirano alla pace. Hanno nostalgia del loro bel Paese stabile, sicuro, prospero e laico dell’anteguerra. Nessuno desidera vivere sotto un regime islamista, e tutti vogliono che questa guerra – che ha generato trecentomila vittime, il doppio di feriti e mutilati, otto milioni di sfollati, tre milioni di rifugiati su una popolazione di ventitré milioni [quasi nove milioni di Siriani si sono riparati nelle zone controllate dal governo, n.d.r] – cessi mediante un processo politico e negoziato.

Nabil Antaki (Maristi blu)
Aleppo, 30 settembre 2016

P.S. Dal 30 settembre, il bilancio delle vittime di Aleppo ovest non cessa di aggravarsi e piangiamo ogni giorno numerose vittime.
Nabil Antaki

Traduzione : Maria Antonietta Carta


13 ottobre 2016, Sulaymaniyeh (quartiere cristiano di Aleppo ovest) missili ribelli colpiscono la scuola  elementare al-Ta'ai Grammar School : uccidono 4 bambini e moltissimi feriti


Radio Vaticana, 15 ottobre 

Ieri ha fatto il giro del mondo il disperato appello delle Carmelitane di Aleppo alla comunità internazionale affinché ponga fine a questa guerra. Per una testimonianza dalla martoriata città, Mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria e vescovo caldeo di Aleppo:
  R. – Quella delle Carmelitane è una testimonianza seria, degna di fiducia. Si tratta di tre suore carmelitane francesi di grande qualità che sono qui da anni con altre religiose siriane. Io le conosco bene: ogni mercoledì mi reco da loro per celebrare la Messa e passare un po’ di tempo con loro. 
Per noi è importante far sapere che nella parte Ovest, dove ci sono due milioni di abitanti, ci sono molti cristiani che abitano nel loro quartiere, ma anche tanti che sono partiti. Nessuno parla di tutte queste bombe che cadono ovunque, anche sui cristiani.

D. - Fino a poco tempo fa le organizzazioni umanitarie operavano solo nella parte della città controllata dai miliziani…
R. - Noi come Caritas ci troviamo sul posto. Ci sono tanti gruppi che lavorano, come la Croce Rossa, si fa un lavoro organizzato ma il problema è che da noi questi bombardamenti ci sono ogni giorno dappertutto e nessuno ne parla. Ad esempio, ieri mattina hanno bombardato una scuola nel quartiere cristiano, hanno ucciso quattro o cinque bambini, una cinquantina di feriti. Una scuola!

D. - Perché secondo lei i mezzi di comunicazione non parlano di Aleppo Ovest?
R. - Penso che quelli che hanno il controllo delle informazioni dell’Occidente hanno un’agenda politica. Dobbiamo come cristiani, come gente onesta, chiedere chi c’è dietro questa manipolazione, questa strumentalizzazione dei media. Questo è molto chiaro per noi.

D. - Secondo le stime più aggiornate i cristiani rimasti ad Aleppo sono appena 35mila. Che futuro per queste persone? Quali speranze?
R. - Penso che se la guerra va avanti nessuno rimarrà ad Aleppo. Questa è la mia convinzione. Chi può parte. Solo quelli che non possono, quindi i poveri e gli anziani rimangono qui. A poco a poco sarà la fine di questa bella comunità cristiana di Aleppo. Questo è il nostro dramma e questa è la nostra sofferenza. Cerchiamo di fare tutto quello che possiamo. Diciamo: “Pace! Pace! Pace”, ma dall’altra parte non c’è pace, bensì “ Guerra! Guerra! Guerra”. Fino alla distruzione. 

mercoledì 12 ottobre 2016

Le Carmelitane di Aleppo e l'altro versante della sofferenza

Le religiose del Carmelo di Aleppo scrivono ad 'Aiuto alla Chiesa che Soffre' questa lettera, testimonianza di ciò che le popolazioni vivono nel quotidiano.
Un appello che accompagna quelli già pubblicati nei giorni scorsi, dei Vescovi e dei Patriarchi delle diverse confessioni cristiane presenti in Siria e ad Aleppo in particolare. Parliamo di Mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo; Mons. Joseph Tobji arcivescovo maronita di Aleppo; Gregorio III Laham, patriarca cattolico siriano con doppia sede a Damasco e Beirut; Mons Samir Nassar Arcivescovo maronita di Damasco; Mons. Antoine Audo Vescovo caldeo di Aleppo, e altri...
Tutti loro raccontano angolature diverse di una storia che stride duramente con il racconto quotidiano dei media internazionali, in cui trovano spazio solamente le sofferenze della parte della città occupata dai jihadisti sottoposta ai bombardamenti siriani.
Le Suore del Carmelo di Aleppo che partecipano del quotidiano calvario della Siria e della loro città, accoratamente manifestano le stesse preoccupazioni dei Vescovi: 
supplichiamo insieme a loro la protezione della Vergine Maria per la conversione dei cuori e la fine delle atrocità.



ALEPPO: Non ne possiamo più!

11 ottobre 2016

«Come già sapete dalle informazioni fornite in Occidente, i bombardamenti su Aleppo est sono numerosi. Ma la situazione ad Aleppo ovest non è affatto migliore, sebbene i media non ne parlino. Questa parzialità delle notizie ci addolora molto, perché siamo tutti i giorni direttamente o indirettamente testimoni, per le notizie che riceviamo dai preti o da persone vicine e conosciute, di tutti i disagi vissuti in numerosi quartieri ovest della città: granate, missili ed armi sempre più sofisticate, senza parlare della mancanza totale di acqua e di elettricità, (tagliate dai gruppi armati nemici) che fanno sempre più vittime; i morti e i feriti si contano a decine tutti i giorni anche là».

«Da una settimana, questo prete non smette di seppellire vittime civili»

«L'altro giorno, un sacerdote che celebra per noi la messa una volta alla settimana è arrivato in lacrime: abita a Midan, un quartiere popolare che da tre anni, senza tregua, è obiettivo di attentati. Questo sacerdote, da una settimana, non smette di seppellire le vittime civili. In un altro quartiere molto popolare, quasi totalmente abitato da musulmani, vicino all'ospedale San Louis gestito dalle suore di San Giuseppe dell'Apparizione, alcuni obici hanno fatto qualche giorno fa una decina di morti e più di 70 feriti.

NON NE POSSIAMO PIU' e chiediamo INCESSANTEMENTE LA FINE DEI COMBATTIMENTI nella città e DOVUNQUE, insieme a una maggiore OBBIETTIVITA' nelle notizie, per semplice rispetto verso tutti questi poveri che soffrono (perché si tratta praticamente di famiglie molto modeste, se non poveri ed anche miserabili!).»

«Contemplative al cuore della violenza»

«Detto questo, non smettiamo di confidare che un giorno la verità trionferà e che il male, la menzogna e la corruzione, a qualunque parte appartengano, saranno presto sconfitte dalla verità, dalla riconciliazione e da veri progetti di pace, per la nostra conversione al Signore. Siamo le prime a riconoscere questo bisogno di conversione nel cuore di ciascuna di noi!

Ringraziamo per la preghiera affinché tutto ciò che viviamo nell'oscurità della nostra vita nascosta o nella nostra povera testimonianza di contemplative nel pieno cuore della violenza e della guerra, sia vissuto in umiltà, pace e verità.

In questo mese del Rosario, vi affidiamo tutti e tutte alla protezione materna, tutta tenerezza e misericordia della santa Madre di Dio, e Madre nostra, che ci conduca con il suo esempio e ci ottenga di amare col suo stesso cuore»

 (trad OpS)

domenica 9 ottobre 2016

L'accorato appello dell'arcivescovo cattolico greco-melkita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart

Questo è ciò che accade ad ALEPPO  

 "Il mondo intero è terrorizzato alla vista dell'immagine di Aleppo che i mass media in questi ultimi giorni vi hanno rappresentato. Molti dei nostri amici all'estero sono preoccupati e vogliono sentirlo da noi. 

Viviamo momenti tragici della nostra storia e ciò che accade continua a far soffrire Aleppo e gli Aleppini che da più di cinque anni non hanno potuto avere pace, talmente sono stati assillati e massacrati dai gruppi armati venuti da ogni parte del mondo, per condurre una sedicente guerra santa, in un paese governato (secondo loro) da atei e da infedeli!
Da cinque anni a questa parte i terroristi dettano legge, là dove le autorità civili del paese non arrivano ad essere presenti. Hanno seminato dovunque il terrore, ucciso decine di migliaia di innocenti, distrutto migliaia di fabbriche, i commerci e le istituzioni dei servizi pubblici, saccheggiato le abitazioni e rubato senza preoccupazione alcuna i beni del paese e dei cittadini.
Hanno fatto un sacco di vittime innocenti, rapito e brutalmente assassinato innumerevoli persone pacifiche, tra suore, sacerdoti e anche vescovi.
Questo continua ancora oggi: questa mattina una dozzina di obici sono caduti in due delle nostre aree residenziali causando ulteriore distruzione e in un caso, facendo numerosi morti e feriti.
Alcune battaglie infuriano nelle periferie della città, i ribelli del fronte "Al-Nusra" provano a riprendere posizione nelle zone considerate come strategiche, spopolate quasi totalmente e quasi interamente distrutte, che occupavano fino allo scorso giugno nella periferia della città. Immagini di questi luoghi di desolazione totale sono diffuse largamente dalle catene di televisione. E' là che le grandi battaglie in corso hanno luogo attualmente.
Abbiamo messo grandi speranze sul cessate il fuoco deciso tre settimane fa, sperando che potesse consentire la pacificazione seguita da una riconciliazione nazionale e di una ripresa della vita normale nel paese!
Purtroppo questa tregua, indebolita dalle continue violazioni degli avversari radicali, è stata ufficialmente rotta in questi ultimi giorni, dopo i raid inaspettati della coalizione alleata dei ribelli a Deir-El-Zor.
Questi raid hanno raggiunto una base militare dell'esercito siriano e ucciso più di 90 soldati nelle loro caserme, per non parlare del numero non dichiarato di feriti. E' così che si possono fermare i combattimenti? 
Per questo speriamo e contiamo sulla grazia di Dio, l'unica capace di svegliare la coscienza dei grandi decisori. Lo spettacolo terrificante di ciò che accade ha di che scuotere ogni uomo che rispetta la sacralità della vita umana. Così se il signor Staffan de Mistura riesce a rilanciare il processo di pace già avviato, possiamo sperare in una schiarita e forse anche dei risultati concreti di pacificazione, preliminare indispensabile alle basi del dialogo tanto auspicato.
La cosa più difficile per i cristiani che sono attualmente presenti ad Aleppo sarebbe la prospettiva di dover vivere, mattina e sera, nell'ansietà per questa situazione di insicurezza destabilizzante e di incertezza sconcertante. Hanno paura dell'indomani, l'avvenire dei loro bambini li preoccupa enormemente. Immaginare che un giorno uno stato musulmano integralista verrebbe imposto a loro, è per essi un incubo insopportabile.
È per questo che ci rivolgiamo ai nostri fratelli in Francia e in tutto l'Occidente, e vi preghiamo di aiutarci a far sì che questo non accada. Non stiamo chiedendo a voi di fare la guerra per noi, ma solo di porre fine alle pretese ingiuste dei vostri alleati che ci vogliono imporre leggi antiquate, insopportabili per un uomo del XXI secolo che vuole essere libero di scegliere la sua cultura, il suo stile di vita e la sua fede.
Facciamo appello ai nostri fratelli in Francia di pregare per noi e perché tutte le donne e tutti gli uomini francesi preoccupati della dignità dell'essere umano ed innamorati della libertà, vengano in nostro soccorso per sottrarre il nostro caro Paese dal baratro del regime fondamentalista in cui si cerca di immergerci. Per favore, aiutateci a continuare a vivere dignitosamente su questa terra benedetta che ci ha visti nascere e crescere!"
Aleppo, 28 settembre 2016                                                                                                                   + Jean-Clément JEANBART,  Arcivescovo di Aleppo