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martedì 27 dicembre 2016

Aspettando il cinepanettone di George Clooney sugli 'eroici Elmetti Bianchi' ...


Il falso mito dei White Helmets costruito dalla propaganda occidentale

I propagandisti mendaci partecipano da sei anni alla devastazione di un Paese sovrano, utilizzando cinicamente le inenarrabili sofferenze del suo popolo e attribuendo i crimini dei persecutori alle vittime. Con la liberazione della parte orientale di Aleppo e la cacciata dei terroristi che per più di quattro anni hanno reso un inferno l’esistenza dei suoi abitanti, ancora una volta mostrano tutta la loro vergognosa dipendenza da un potere imperiale che, violando il diritto internazionale, è impegnato con i retrivi emiri, re e reucci arabi, e gli alleati e i vassalli occidentali, a distruggere e balcanizzare la Siria.  I cittadini accolgono con sollievo e manifestazioni di gioia e riconoscenza l’esercito che li ha liberati dall’incubo e attraverso coraggiosi giornalisti indipendenti o testimoni quali Eva Bartlett e Vanessa Beeley, Nabil Antaki e Pierre le Corf, cominciano a far conoscere l’orrore vissuto nelle aree occupate da al-Nusra e altri gruppi assassini; intanto i media e le ONG ‘’umanitarie’’ occidentali continuano la loro ipocrita narrazione mistificatrice.
Ma nel contesto di questa vile propaganda imperiale, una delle più grandi truffe mediatiche è stata indubbiamente quella imbastita sui White Helmets. Candidati al Nobel per la Pace, vincitori del Livelihood Award, più noto come “Nobel alternativo”, e celebrati grazie a un breve film-documentario prodotto da Netflix, essi sono in procinto di entrare in pompa magna nel gran circo hollywoodiano con l’annunciato film della star George Clooney e, date le frequentazioni di questo signore con il guerrafondaio establishment USA capeggiato da Hillary Clinton, la macabra farsa andrà avanti.

Per concludere questa breve introduzione, voglio citare le parole di una grande signora siriana:
‘’Tutto ciò che chiedo agli Occidentali è di cercare la verità. Non sto chiedendo loro di parlare in favore del governo o dello Stato siriano. Chiedo loro di parlare in favore della verità. Vi prego, non date un’informazione se non sapete che è davvero quello che sta accadendo.
Oserei dire che i grandi media hanno giocato un ruolo molto negativo nella nostra vita. Hanno causato morte e distruzione in Siria, semplicemente trasmettendo storie totalmente infondate su ciò che sta accadendo e fatte apparire come vere. Quindi, per favore, siate prudenti e pensateci due volte prima di dire o scrivere qualcosa sulla Siria. Grazie."
Bouthaina Shaaban, consigliera del presidente siriano.

E con quelle di un grande signore siriano:
'È vero! esiste tra i media e i governanti occidentali (non cito l'opinione pubblica perché è disinformata, per non dire manipolata) un doppio standard di giudizio e di valori. L'onestà presso i governanti e l'etica professionale presso i giornalisti sono, purtroppo, soltanto una farsa. Se non stessimo parlando di un Paese distrutto e di centinaia di migliaia di civili uccisi, potremmo riderne.''
Nabil Antaki, medico aleppino.

E di un’altra grande signora:
‘’ White Helmets cosa?!’ Nessuno conosce i White Helmets nei quartieri di recente liberati dall'occupazione dei terroristi di al-Nusra, nella parte est di Aleppo in cui siamo potuti entrare. Quando glielo domando, mi guardano perplessi, finché specifico: ‘la protezione civile’. ‘ah sì, la protezione civile di al-Nusra, che lavorava soltanto coi terroristi e non aiutava i civili’, mi dicono.’’ 
Vanessa Beeley, giornalista indipendente 

     Maria Antonietta Carta


Come un capo dei White Helmets siriani si è preso gioco dei Media Occidentali
di Gareth Porter
I White Helmets, nati per salvare le vittime intrappolate sotto le macerie degli edifici distrutti dai bombardamenti siriani e russi, sono diventati una delle fonti preferite dai mass-media occidentali che riferiscono su quei bombardamenti.  Ritratti come gli eroi umanitari dell’ultimo anno ed anche candidati al Nobel per la pace nella scorsa estate, i White Helmets godono di una indiscussa credibilità presso i giornalisti che si occupano della crisi siriana, eppure il loro non può essere considerato un gruppo apolitico, dato che è copiosamente finanziato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e dal Foreign Office inglese. Esso opera esclusivamente nel nord della Siria, in zone controllate da un affiliato di al-Qaïda e dagli alleati estremisti, a cui i giornalisti occidentali non hanno avuto accesso. Dato che la loro opera si svolge [o, per Aleppo, si svolgeva, essendo stata ormai liberata la parte orientale della città, N.d.T.] sotto l'autorità di coloro che detengono il potere reale in Aleppo-est e in altre zone controllate dall’opposizione, i media occidentali dipendono da questi gruppi per avere informazioni dirette, col grave rischio di essere manipolati. Il ruolo altamente politico svolto dai White Helmets sulla copertura della stampa estera è stato drammaticamente dimostrato dopo l'attacco al convoglio di camion della Mezzaluna Rossa siriana il 19 settembre a Urum al-Kubra, zona controllata dai ribelli ad ovest di Aleppo. L'assalto ebbe inizio immediatamente dopo la rottura del cessate il fuoco, concordato tra Russia, Stati Uniti e governo siriano, per un letale attacco aereo USA alle forze dell'esercito siriano che combattevano l’ISIS intorno alla città di Deir Ezzor.
L'amministrazione Obama ammise che si era trattato di un attacco aereo, incolpandone immediatamente l’aviazione russa e quella siriana. Un funzionario americano non identificato parlò al New York Times di "una probabilità molto alta" che un aereo russo si fosse trovato vicino a quella zona poco prima dell'attacco, ma l'amministrazione non rese pubblica alcuna prova a sostegno di tale affermazione. Nei giorni successivi all'attacco, gli organi di informazione si basarono ampiamente sui rendiconti trasmessi dai White Helmets e il capo dell'organizzazione ad Aleppo, Ammar Al-Selmo, offrì un rendiconto personale dal teatro degli avvenimenti.  
La versione di Selmo si è poi rivelata intessuta di menzogne, ma numerosi giornalisti la presero per oro colato senza alcuna perplessità, e continuarono a fargli affidamento per informazioni sulle battaglie in Aleppo e nei dintorni.  
Cambiare versione con la complicità della stampa
Il primo particolare che rivela quanto la testimonianza di Selmo fosse falsa è la sua affermazione su dove si trovava all’inizio dell’attacco. Il giorno successivo dichiara al Time Magazine che stava ad un chilometro o più dal magazzino in cui erano parcheggiati i camion del convoglio di aiuti umanitari, presumibilmente, presso il centro locale dei White Helmets in Urum al-Kubra, ma poi cambia la sua storia in un'intervista che il Washington Post pubblicò il 24 settembre, affermando che in quel momento prendeva “il tè in un edificio dall'altra parte della strada". Ancora più drammaticamente in un primo momento, Selmo quindi sostiene di aver assistito all’inizio dell'attacco. Secondo la testimonianza pubblicata da Time il 21 settembre, Selmo racconta che beveva un tè sul balcone quando erano iniziati i bombardamenti, e che "poteva vedere le prime barrel bombs cadere da un elicottero del regime siriano". Ma, a quell’ora, Selmo non avrebbe potuto vedere una barrel bomb cadere da un elicottero né altro. In un video girato presto la mattina successiva, dichiara infatti che il bombardamento era iniziato alle 19,30. In comunicazioni successive, i White Helmets lo spostano alle 19,12. Ma quel giorno, 19 settembre, il sole tramontava alle 18,31, e verso le 19 Aleppo era ormai avvolta nella più profonda oscurità.
Qualcuno, evidentemente, aveva richiamato l'attenzione di Selmo su quella incongruenza, dopo la pubblicazione della sua testimonianza, e lui cambiava versione per il Washington Post: " Ha detto che, appena uscito sul balcone giusto dopo le 19.00 quando il crepuscolo era già passato, ha sentito sopraggiungere un elicottero e il lancio   di due barrel bombs sul convoglio."
Nel video fatti dai White Helmets nella notte dell'attacco, Selmo si spinge oltre, affermando in una parte del video che furono sganciate quattro barrel bombs e in un'altra parte che le bombe sganciate erano otto. L'idea che fossero state utilizzate barrel bombs durante l'attacco fu subito accolta, la mattina seguente, da sedicenti “mediattivisti" per conto delle autorità di opposizione in Aleppo, come riportato dalla BBC. Questo era conforme con i tentativi fatti dall’opposizione nel 2012 per qualificare le barrel bombs” armi straordinariamente distruttive e più condannabili dei missili convenzionali.
Prove discutibili provenienti da fonti faziose
In un video prodotto dai White Helmets la notte dell'attacco, Selmo si rivolge agli spettatori indicando l’indentazione dell’ipotetica esplosione. "Vedete il contenitore della barrel bomb?" Chiede. Ma ciò che viene mostrato nel video è un incavo rettangolare nella ghiaia o detriti, che sembra essere profonda circa 30 centimetri, larga 60 e lunga quasi un metro. Poi estrae da sottoterra un oggetto simile alla lama danneggiata di una pala. Quella scena dimostra chiaramente che l'argomentazione di Selmo è completamente falsa. Le barrel bombs producono crateri rotondi molto grandi, larghi almeno 8 metri e profondi più di 3 metri, e l’incavo rettangolare mostrato nel video non assomiglia per niente al cratere di una barrel bomb.
Hussein Badawi, direttore locale dei White Helmets a Urum al-Kubra, ma nettamente di grado inferiore a Selmo nella gerarchia dell'organizzazione, è apparso accanto a Selmo in un segmento del video fatto quella notte: un’apparizione breve e silenziosa, ma in un altro video dei White Helmets tradotto dall'arabo all’inglese contraddice direttamente l'affermazione di Selmo che in quella notte le prime esplosioni furono di barrel bombs. Egli le descrive non come attacchi aerei, ma come "quattro razzi consecutivi" vicino al centro del complesso della Mezzaluna Rossa a Urum al-Kubra.
Nessun'altra prova visiva di un cratere generato da una barrel bomb è venuta alla luce. A sostegno dell’affermazione di Selmo, l’équipe di intelligence russa sul conflitto, destinata alla confutazione delle informazioni governative, potrebbe citare solo il fotogramma in cui lui solleva quell’unico pezzo di metallo.
Il sito Bellingcat, il cui fondatore Eliot Higgins - membro non residente dell’anti-russo Atlantic Council finanziato dal Dipartimento di Stato USA, che non ha alcuna competenza tecnica sulle munizioni - indica lo stesso fotogramma. Higgins afferma che il pezzo di metallo proviene da un "cratere" citando una seconda fotografia che, secondo lui, mostrerebbe un "cratere riparato" nella strada accanto a un camion bruciato. Ma la parte che nella fotografia sembra ricoperta di terra fresca è lunga chiaramente circa un metro e larga un po’ più di sessanta centimetri, quindi di gran lunga troppo piccola per essere la prova dell’esplosione di una barrel bomb. 
La squadra dei White Helmets di Selmo ha anche distribuito a Bellingcat e agli organi di stampa qualcosa che ad una prima occhiata sembra la prova visiva di attacchi aerei siriani e russi: la pinna accartocciata di una bomba russa OFAB-250, che si può vedere in una fotografia scattata all'interno di un capannone. Secondo Bellingcat, le fotografie proverebbero che i Russi impiegarono quella bomba nell’attacco al convoglio di aiuti umanitari, ma la fotografia della pinna OFAB come prova di un attacco aereo è estremamente improbabile. Se una bomba OFAB-250 fosse realmente esplosa in quel punto avrebbe lasciato un cratere molto più grande di quello della fotografia. La regola standard generale è che un OFAB-250, come qualsiasi altra bomba convenzionale di 250 kg, avrebbe fatto un cratere di 7-11 metri di larghezza e 3-4 metri di profondità. La grandezza del suo cratere è evidente in un video di una giornalista russa accanto ad uno di essi dopo la battaglia contro l’ISIS a Palmira.
Inoltre, nella fotografia la parete a poca distanza dal punto di impatto supposto non fu colpita dalla bomba. Questo indica che nessuna OFAB-250 fu lanciata in quel punto, oppure che si tratta di un falso. La fotografia delle casse che circondano la pinna della OFAB rivela anche altri elementi della prova che ci fu un'esplosione. Come un osservatore scoprì dopo un attento esame, le scatole presentano evidenze di schegge di bombe lacrimogene. Un primo piano di un imballaggio mostra una serie di piccole schegge. Solo qualcosa di molto meno potente di una bomba OFAB-250 o di una barrel bomb spiegherebbe le tracce osservate. L’unica arma le cui granate avrebbe potuto causarle è il razzo russo S-5, con due varianti capaci di produrre 220-360 piccoli frammenti di schegge.
Nel video fatto la notte dell'attacco, Selmo afferma che aerei russi spararono degli S-5 presso il sito - anche se erroneamente li ha definiti "C-5" - e la fotografia di due missili S-5 fu data a Bellingcat ed agli organi di informazione, tra cui il Washington Post. Nell’intervista al Time, Selmo ribadisce che nei raid furono lanciate barrel bombs e missili da aerei russi, ma Badawi, il capo dei White Helmets a Urum al Kubra, in un altro video contraddice di nuovo Selmo affermando che la raffica iniziale di missili fu lanciata da terra. Ammissione molto significativa, perché le forze siriane dell’opposizione avevano ricevuto forniture di S-5 russi già dal 2012, quando le armi per i ribelli erano state contrabbandate in gran numero dalla Libia. Essi utilizzano gli S-5 come razzi lanciati da terra, come avevano fatto in precedenza i ribelli libici, progettando e realizzando i propri lanciatori. Badawi sostiene che le forze governative siriane lanciarono i primi quattro missili dagli impianti di difesa nel sud del governatorato di Aleppo, ma gli impianti di difesa del governo nel sud del governatorato di Aleppo si trovano ad al-Safira, distante più di 25 chilometri, e gli S-5 hanno una gittata di soli 3-4 chilometri. Ancora più significativo è il fatto che, nonostante Selmo insista che i bombardamenti aerei si protrassero per ore con ben 20-25 attacchi differenti, nessuno dei White Helmets riprese anche un solo attacco aereo in un video che avrebbe potuto fornire una chiara prova audiovisiva della sua affermazione.
Il sito Bellingcat del Consiglio Atlantico segnala un video pubblicato on-line da fonti dell'opposizione ad Aleppo per fornire una prova audio di aerei a reazione poco prima delle esplosioni notturne, ma nonostante una voce nel video asserisca che si trattava di un attacco aereo russo, il suono che si interrompe subito dopo la forte esplosione indica come essa sia stata causata da un missile lanciato da terra e non da un aereo a reazione. Pertanto, gli elementi di prova che avrebbero dovuto confermare l’attacco aereo preteso da Bellingcat in realtà non lo confermano affatto.
Nonostante il record di falsificazioni, Selmo rimane la fonte di riferimento.
Chiunque sia stato responsabile dell’attacco contro il convoglio di aiuti umanitari della Mezzaluna Rossa siriana, è chiaro che Ammar al-Selmo, l’alto funzionario dei White Helmets ad Aleppo, mente su dove si trovava quando esso ebbe inizio e, almeno al principio, inganna il pubblico affermando di essere stato testimone oculare delle prime fasi. Inoltre, la sua attestazione che barrel bombs siriane e bombe OFAB-250 russe furono sganciate sul convoglio non sono supportate da alcuna prova credibile.
Alla luce della propensione di Selmo a modificare il suo resoconto e a sostenere la versione di un attacco russo-siriano, i media occidentali avrebbero dovuto essere molto più prudenti nel farvi affidamento per confermare l’accusa degli Stati Uniti sull’attacco al convoglio di aiuti umanitari. Invece, durante le settimane di pesanti bombardamenti russo-siriani su Aleppo-est, successivi alla rottura del cessate il fuoco, Selmo è spesso citato dai media come fonte ed egli sfrutta questa nuova situazione per portare avanti l’agenda politica dei ribelli.
Il 23 settembre, i White Helmets comunicavano ai media che tre dei loro quattro centri operativi in Aleppo-est erano stati colpiti e che due di essi erano fuori uso.  
National Public Radio [La National Public Radio, NPR, è un'organizzazione no-profit comprendente oltre 900 stazioni radio statunitensi. N.d.T.] cita Selmo dicendo che secondo lui il gruppo era stato deliberatamente preso di mira perché ‘’aveva intercettato comunicazioni dei piloti e li aveva sentiti ricevere l’ordine di bombardare i suoi colleghi." Stranamente, NPR non è riuscito a individuare Selmo come il capo dei White Helmets in Aleppo-est, ma lo identifica solo come un "membro dei White Helmets ".
Cinque giorni dopo, il Washington Post riferisce di una segnalazione analoga da parte di Ismail Abdullah, un altro funzionario dei White Helmets che dipende direttamente da Selmo. "A volte, sentiamo il pilota dire alla sua base, ' Vediamo un mercato dei terroristi, c'è un panificio dei terroristi, ’ ha dichiarato Abdullah. ‘va bene se li colpiamo? ’ dicono: 'Va bene, colpiteli’." Egli afferma anche che il 21 settembre i White Helmets avevano sentito un pilota nemico fare riferimento ai centri ‘’terroristi’’ di protezione civile. Abdullah aggiunge che l'organizzazione aveva inviato, ai funzionari degli Stati Uniti a New York, un messaggio diretto all'Assemblea Generale dell’ONU per informarla di essere stati presi di mira. Queste storie drammatiche avrebbero poi contribuito a lanciare la campagna a favore dei White Helmets per il conferimento del premio Nobel per la Pace, annunciata alcuni giorni dopo, ma che alla fine non avrebbero vinto.  Secondo Pierre Sprey - un ex analista del Pentagono su aerei da combattimento, che ha avuto un ruolo centrale nella progettazione del F-16 – la pretesa di aver udito i piloti chiedere e ricevere il permesso di colpire obiettivi durante il volo è una montatura. "E inconcepibile che questa possa essere stata una comunicazione autentica tra un pilota d’attacco e un controllore", dichiara Sprey ad AlterNet, riferendosi ai racconti di Selmo. "L'unico momento in cui un pilota può chiedere di colpire un bersaglio è nel caso in cui vede degli spari. Altrimenti non ha senso. "
Il giorno dopo la campagna russo-siriana di bombardamenti contro i ribelli di Aleppo-est, iniziata il 22 settembre, la Reuters si rivolge a Selmo per una valutazione complessiva dell'impatto dei bombardamenti su Aleppo. Senza mezzi termini, egli dichiara: "Quello che succede ora è lo sterminio”. Dopo questa drammatica dichiarazione, i media occidentali continuano a citare Selmo, considerandolo una fonte neutrale. Il 26 settembre, Reuters ricorre ancora ai White Helmets citandoli come anonimi "lavoratori della protezione civile" di Aleppo – e con questo termine possono indicare solo loro – che fanno una stima di 400 vittime in meno di cinque giorni di bombardamenti nei dintorni e dentro Aleppo. Ma dopo tre intere settimane di bombardamenti, le Nazioni Unite e altre agenzie stimeranno in 360 ​​il numero delle persone uccise. Ciò suggerisce che la stima fatta dai White Helmets era di molto superiore a quella che potrebbero documentare fonti imparziali. È ovviamente difficile per i mezzi di informazione coprire eventi come l'attacco al convoglio di aiuti umanitari della Mezzaluna Rossa siriana e il bombardamento di Aleppo da Istanbul o da Beirut, ma la sete di informazioni dal terreno non deve superare l'impegno per il controllo delle fonti. Selmo e i suoi White Helmets avrebbero dovuto essere riconosciuti per quello che sono: una fonte di parte, con un ordine del giorno che riflette il potere da cui l'organizzazione dipende: gli estremisti armati che controllano [controllavano] Aleppo-est, Idleb e altre zone del nord della Siria.
La dipendenza acritica dalle informazioni dei White Helmets, senza alcuno sforzo per verificare la loro attendibilità è l'ennesimo esempio eloquente del malcostume dei mezzi di informazione, con una lunga storia di copertura dei conflitti orientata verso una narrazione interventista.
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Gareth Porter è uno storico investigativo e giornalista specializzato in politica di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il suo ultimo libro è Manufactured Crisis: The Untold Story of the Iran Nuclear Scare (Just World Books, 2014)
   (Articolo tradotto da Maria Antonietta Carta) 

stessa bimba, 3 scene differenti

Battaglia di Aleppo. Una forte propaganda impazza. I Caschi bianchi all'opera. 

(di L. Mazboudi)
Numerosi osservatori occidentali si sono soffermati sulla forte propaganda che accompagna la battaglia strategica di Aleppo, condotta tra l'Esercito siriano e i suoi alleati (Russia, Iran, Hezbollah) da una parte e Arabia Saudita, Turchia e NATO che sostengono i gruppi terroristi, tra cui il Fronte al- Nusra, Jeïsh al-Islam, Ahrar al-Sham…
Uno di questi osservatori è l'eminente professore australiano Tim Anderson, laureato in economia e politica internazionale e libero docente presso il Dipartimento di economia politica dell'Università di Sydney.
In un articolo pubblicato sul sito canadese Global Reserch, egli constata che dall'inizio della battaglia di Aleppo da parte delle milizie armate, con centinaia di tiri di mortaio sui quartieri residenziali lealisti, i media occidentali invertono i fatti, affermando che i cittadini di Aleppo vivono sotto la minaccia dell'esercito lealista; mentre le fonti siriane mostrano civili che subiscono gli incessanti attacchi di mortaio e chiedono che l'esercito espella i gruppi terroristici.
Inoltre, Anderson sottolinea che ONG vicine alle milizie alimentano la finzione secondo cui l'esercito siriano non reagirebbe agli attacchi ma attaccherebbe i civili. «Ogni attacco contro al-Nusra è dunque descritto come un attacco contro "civili" e ospedali, o contro operatori del pronto soccorso». Secondo lui, una di queste ONG è quella conosciuta col nome di The White Helmets, alias «difesa civile siriana», diventati principale fonte di accusa contro gli aerei siriani e russi che, secondo loro, colpirebbero gli ospedali.
La giornalista inglese d'inchiesta Vanessa Beeley si è interessata a questi White Helmets che sostengono di essere indipendenti e che godono di ampio spazio presso i media occidentali.
Il 29 aprile scorso, il giornale francese Le Monde pubblicava una lettera firmata da presunti medici siriani appartenenti a questa organizzazione.
In un articolo intitolato «White Helmets, nuovo genere di mercenari e di propagandisti» e pubblicato nel settembre 2015 sul sito 21st Century Wire, la signora Beeley rivela che in realtà si tratta di una creazione inglese e statunitense del 2013. Sostiene anche che sarebbero diretti dall'ex militare inglese James le Mesurier proprietario di una società con sede a Dubai, e sarebbero stati addestrati in Turchia.
La Beeley afferma che essi operano nelle zone occupate dal Fronte al Nusra e Company, che sono molto attivi sui social network e presenti su Twitter et Facebook. E aggiunge:
«La funzione principale dei White Helmets è la propaganda. Demonizzare Assad e incoraggiare il diretto intervento straniero. Di recente, un loro leader ha scritto un editoriale per il Washington Post». Secondo la Beeley, lo scopo principale di questa organizzazione sarebbe la creazione di una ‘’No Fly Zone’', alla stregua di quella libica.
  ( Trad. Maria Antonietta Carta)

sabato 24 dicembre 2016

"Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce ..."


I bambini di Aleppo guidati da suor Maria de Guadalupe (IVE) cantano questo canto popolare, qui interpretato in francese.  In questa versione si parla di un bambino che si guadagna la vita come tamburino, e che offre al cielo il suo tamburo in cambio del ritorno del padre, che è partito soldato seguendo un altro tamburo, quello della guerra ... Gli angeli ricevono la sua offerta e annunciano che il padre sta già tornando. E il bambino si sveglia, disteso sul suo tamburo.

 Oggi i bambini di Aleppo offrono e pregano per la pace. La loro innocente, potente, preghiera in questo Natale è stata accolta.
 Ora chiediamo anche noi con loro che l'annuncio di pace degli Angeli finalmente giunga per tutta la Siria.

 BUON SANTO NATALE E FELICE ANNO NUOVO A TUTTI I NOSTRI LETTORI!

Ora proSiria

mercoledì 21 dicembre 2016

Suor Arcangela da Aleppo "il Natale di quest'anno per il piccolo resto dei Cristiani Aleppini è nel segno della libertà"

Aleppo, 20 dicembre 2016

Carissimi amici,
tra pochissimo tempo, il Signore sarà qui per annunciare la PACE agli uomini che Egli ama! Sì, Dio viene nella nostra storia per liberarci dalla schiavitù che noi abbiamo vissuto, per mettere la Sua tenda in mezzo a noi e condividere la nostra vita, guarire le nostre piaghe, curare le nostre ferite e donarci una nuova vita.

Questa vita nuova, cari amici, veniamo ad annunciarvela perché da alcuni giorni la città di Aleppo è stata liberata e la nostra gioia con quella di tutti gli Aleppini è grande! Perché cinque anni di guerra, assediati dai jihadisti e sotto il terrore delle bombe che cadevano di giorno e di notte, hanno reso il nostro quotidiano molto difficile.

Cinque anni in cui Aleppo ha subito il martirio nel silenzio dei media, o quando i loro articoli e i loro reportage erano impastati di menzogne ... fino ad oggi.
Cinque anni in cui nell' ovest di Aleppo, dove siamo, abbiamo resistito agli attacchi dei jihadisti con mortai, con le bombole di gas, coi razzi Grad, volutamente mirati su scuole, ospedali, chiese e moschee. Interi quartieri sono stati distrutti e le persone sono state costrette a traslocare per evitare la morte. Il nostro personale ogni mattina ci ha raccontato come era trascorsa la notte nei loro quartieri nella paura ... senza dormire e tutto ciò quasi ogni giorno !!!!
Cinque anni in cui abbiamo combattuto quotidianamente per cercare di fortificare la loro Speranza dicendo loro con le parole di Isaia: "Prendete coraggio, non temete, Dio mantiene la sua promessa, Lui stesso verrà e ci salverà."
Ecco, il giorno per noi è arrivato, l'attesa è stata lunga, ma Dio ha mantenuto la sua promessa: Egli ci ha protetto, Egli ci ha salvato, Lui ci ha liberato!

Per noi personalmente, religiose che abbiamo scelto di restare in mezzo a questo popolo, questi cinque anni di guerra hanno fatto crescere la nostra Fede, la nostra Speranza si è fortificata, e la nostra fiducia nella Provvidenza è aumentata. Soprattutto, abbiamo sentito la vicinanza e la comunione con tutte le nostre comunità, e con i nostri amici e benefattori siamo diventati un solo corpo che ci ha permesso di perseverare e mantenere la nostra Presenza in mezzo a questa popolazione, martoriata sotto tutti i punti di vista.

A tutti ed a ciascuno di voi, vogliamo dire un grande grazie per tutti questi gesti di solidarietà fatta di pensieri e di preghiere.
Continuate a pregare per noi, per questo popolo, perché ora un'altra dimensione della nostra presenza è necessaria: ci attende la ricostruzione dell'uomo a tutti i livelli: spirituale, umana, fisica, e ci è chiesto di essere degli strumenti di riconciliazione e di perdono.
Il Natale di quest'anno per noi e per il piccolo resto dei Cristiani Aleppini è nel segno della libertà. Con noi, ringraziate il Signore, uniamo il nostro canto con gli angeli di Betlemme: " Gloria a Dio nell'alto dei cieli, e Pace sulla terra agli uomini che ama! "

Col nostro affetto e la nostra riconoscenza, vi auguriamo :
un gioioso Natale e un felice e Santo Anno 2017!

Suor Arcangela,
ospedale Saint Louis di Aleppo

il quartiere Aziziyeh festeggia il Natale 2016

E' commovente questa lettera che ci giunge da una suora che svolge la sua opera in un Ospedale di Aleppo. Commuove, perché ci tocca e ci fa riflettere sulla fede loro e sulla nostra, spesso così fragile e superficiale.
Ci commuove ma al tempo stesso è stridente: stride con quasi tutto ciò che leggiamo e ascoltiamo dai nostri TG, Gr, giornali e servizi, che invece di ascoltare le voci di chi sta lì, in mezzo alla gente, non fanno altro che ripetere i soliti mantra.
Siamo amareggiati, perché noi, occidentali, gente cresciuta a pane e Vangelo (almeno gli anziani tra noi) divulghiamo e amplifichiamo con i nostri media (anche cattolici!), le menzogne che ci vengono raccontate dall'inizio di questa sporca guerra. Menzogne sulla genesi del conflitto, sulle parti in conflitto, menzogne sulle vittime e sugli aguzzini, menzogne sulle cause della sofferenza dei civili ... Potremmo continuare per pagine e pagine a descrivere l'enorme e tragica mistificazione alla quale ci hanno sottoposto e continuano a sottoporci.
Se Dio vuole, però, in Siria, in Iraq e in queste terre dove il cristianesimo è nato, continuano ad esserci Pastori con l'odore delle pecore che non temono di gridare forte, dovunque essi siano chiamati a parlare, la pura e semplice verità. La verità di una guerra combattuta per procura da una miriade di gruppi jihadisti, voluta dalle vicine potenze regionali del Golfo , sostenuta dai loro alleati occidentali (USA. UE, Turchia) che mirano a distruggere secoli di pacifica convivenza per dividere una nazione sovrana, depredarne le risorse attraverso un cambio di regime, instaurare una forma statuale islamista.

Grazie quindi a Suor Arcangela e tutti i Religiosi che come lei si spendono per aiutare la popolazione di Aleppo (come di altri luoghi), senza fare distinzioni tra Cristiani o altre confessioni, e grazie di fare piazza pulita di tutta la disinformazione, anche in queste ore imperante.

Grazie Suor Arcangela e Buon Natale a lei e a tutti gli Aleppini che le sono affidati! 
da OraproSiria

domenica 18 dicembre 2016

Mhardeh, città cristiana alla mercé di Al-Nusra

Sulle tracce dei martiri cristiani del Medio Oriente

Aleteia, dicembre 2016
di Alexandre Meyer

I visi sono gravi, i tratti accusano la disperazione, l'affaticamento, l'irritazione. "Otteneteci dei visti per partire tutti da qui", sbotta il dottor Zahlouk Abdullah. Parlando a nome degli uomini intorno a noi, il cardiochirurgo laureatosi in Francia, ha vissuto a Lione dove è nata sua figlia, poi a Tolosa e Nizza per più di cinque anni. Suo figlio, educato in Francia, ha conseguito il baccalaureato lo scorso anno. Negli ultimi anni, ha dovuto imparare a operare sui marciapiedi, ai piedi delle case devastate dalle bombe che colpivano continuamente il villaggio di Mhardeh fin dall'inizio di questi tragici avvenimenti.
Alexander, capo missione di SOS Cristiani d'Oriente in Siria, alza le mani impotente: "Quello che mi chiedete, non siamo in grado di farlo. In ogni caso vi chiedo di compilare per me un elenco di ciò che è necessario per sopravvivere qui, farò del mio meglio per procurarvelo."
Nel cortile della piccola casa parrocchiale adiacente alla Chiesa greco-ortodossa di Notre-Dame, la più antica della città, costruita nell' VIII° secolo attorno alle grandi colonne con capitelli corinzi di un antico tempio pagano, caschi rossi scaricano un piccolo furgone. Estintori, barelle, sedie a rotelle, kit di pronto soccorso che l'associazione umanitaria ha portato, si accumulano lungo le pareti.

Caschi rossi
130 volontari, di età compresa tra i 22 e i 52 anni che indossano un giubbotto fluorescente e un casco rosso da soccorritore volontario. Formate quattro anni fa, le squadre di questi volontari di soccorso accorrono nei luoghi bombardati.
La maggior parte dei giovani sa maneggiare il piccone e l'estintore per liberare le vittime o spegnere un incendio. Per la maggior parte sono studenti universitari che danno manforte all'ospedale o alla banca del sangue. Ma mancano di tutto.

Un boato rimbomba in lontananza. Un volontario prende il binocolo appeso al muro e corre sul tetto per verificare il luogo in cui la bomba è caduta. Un altro boato. Si sta avvicinando. Il fumo sale nei pressi del villaggio. Con uno sguardo stanco il dottore conta mentalmente il numero degli obici artigianali che i volontari hanno collezionato qui, come i pezzi di un museo dell'orrore: schegge acuminate come lame di rasoio, obici aperti come funghi, bombole di gas squarciate, pinne dei razzi, chiodi, bulloni ...
Da un pezzo di proiettile dipinto d'oro (vedi presentazione), uno dei residenti ha fatto un piccolo vaso e ce lo mostra adornato con un mazzo di fiori artificiali, "No, noi cristiani di Mhardeh non abbiamo paura della morte. Diamo forma ai loro strumenti di morte per disegnare la pace e la gioia." "Non siamo favorevoli alla dittatura, continua il medico, afferrandomi il braccio, ma la vita con queste persone è impossibile. Questa è la democrazia?! Smettete di sostenere i nostri nemici vi prego! Tutti intorno a noi, Al-Nosra, FSA [Free Syrian Army, ndr], Fatah al-Sham, chiamateli come volete, ci lanciano razzi fatti in Francia! "

Un simbolo che Al-Nosra vuole vedere scomparire.
La cittadina paga un prezzo pesante per la sua ostinata resistenza. Nel mese di ottobre, si è beccata 150 razzi che hanno provocato 8 morti e 67 feriti. L'ultima vittima, una madre di famiglia squarciata in due da un missile Grad che ha perforato il tetto della sua camera da letto, è morta lasciando quattro figli e un marito distrutto e inconsolabile. Egli ci mostra la sua casa polverizzata senza dire una parola, forte e dignitoso. Due giorni dopo la nostra partenza, una donna e la sua figlia di 8 anni saranno ferite sulla via principale, un ragazzo e sua zia non sopravviveranno all'esplosione.

Mhardeh si trova al centro dell'asse nord-sud che collega Aleppo a Damasco, a circa 260 chilometri dalla capitale siriana. Testa di ponte fedele al governo accampato a 100 chilometri a nord di Homs, è bagnata a nord dal fiume Oronte, arginato con una diga per la fornitura di energia elettrica, tramite una moderna centrale idroelettrica. Dipende amministrativamente dal Governatorato di Hama, nei pressi della piana di Ghab.

La città ha sofferto gli attacchi incessanti dei ribelli islamici che vorrebbero ridurre al nulla questo simbolo. Infatti, con i suoi 25.000 abitanti prevalentemente cristiani, Mhardeh ha cinque chiese: (greco-ortodosse) e una chiesa protestante (il 10% dei residenti sono presbiteriani). Abbarbicata su un promontorio roccioso, è circondata da zone con popolazioni sunnite le cui angherie ci sono imposte alla luce del sole. La località più vicina, Halfaya, che si trova a 200 metri ad est delle prime case, è regolarmente sotto i tiri di un cecchino. E' in prossimità di questo villaggio che è situata la centrale elettrica caduta in mano ai terroristi lo scorso agosto. Da allora, gli abitanti vivono nel buio; vengono usati i generatori a benzina per l'illuminazione e il mazout (un olio minerale) per cucinare e scaldare il salotto della casa con una stufetta a olio.

L'asilo nido
Alla piccola scuola di Mhardeh, i bambini sogliono raccogliere le olive e seminare grano nei dintorni. La direttrice si lascia sfuggire un sospiro, ci consegna dei piccoli croissant farciti con olive e spezie, una specialità di questo breve periodo di avvento prima di Natale. Dopo il giro coi magri e sostanziosi dolci si conclude la riunione. Il sacerdote greco ortodosso del Patriarcato di Antiochia riflette per noi il pensiero di tutti qui: "Incomprensioni, rammarico, tristezza, stanchezza. Nessuno può accettare il destino a noi riservato. Né il vedovo che ha perso la moglie e le figlie, né la madre che ha perso un figlio ".
I bambini in grembiulino rosa cantano allegramente ogni volta che noi varchiamo la porta di un'aula. Le loro facce tonde sono illuminate con un grande sorriso, ma nei loro occhi, si riflette una tristezza indicibile.
Resistere o morire
"Tutti vogliono la pace e la democrazia, ma i takfiri [islamisti, n.d.r.] derubano, rapiscono e umiliano i cristiani." Simon Alwakil ha preso bene in mano la difesa della sua città. Generale Nazionale delle Forze di Difesa, egli è il capo delle operazioni per l'area di Mhardeh. Amato dai suoi uomini e dagli abitanti dei villaggi, il vecchio capo d'impresa dal fiorente business ha messo i suoi mezzi e le sue risorse a disposizione per il bene della sua città natale. Ci riceve nel suo ufficio e ci espone i problemi complessi che deve risolvere.
La minaccia è permanente: 18 donne e bambini sono stati rapiti dall'inizio del conflitto. Simon ha messo in gioco le sue conoscenze ed ha ottenuto il loro rilascio. Suo fratello è stato rapito. Suo figlio è stato tenuto in ostaggio per diversi mesi ad Aleppo.
I tradimenti sono molto comuni: per quello di un medico musulmano di Mhardeh si stabilì il riscatto. Attratto dal guadagno, il figlio del medico era uno dei suoi rapitori ad Aleppo. Quello dei vicini sfollati dalle manovre militari, che dormivano da lui in nome della carità e dell'ospitalità. Vicini che hanno visto che i suoi uomini sparavano razzi sul villaggio. "La ribellione non è motivata dal rovesciamento del governo per il bene della gente, ma per servire i propri interessi" ha aggiunto il generale. "Anche la Russia non agisce solo gratuitamente, ma anche nel proprio interesse. L'esercito russo si è diffuso in tutta la Siria e gli uomini che rimangono qui non mi ispirano molta fiducia. ".

Allora il generale ha reclutato 150 uomini tra gli abitanti per creare la sua brigata. Ha alzato barricate intorno alla città, ha acquistato un carro armato sovietico e delle autoblindo armate. Le sue armi leggere vengono dall'Iran. I suoi uomini vengono addestrati e formati in Libano o presso il "grande fratello" persiano. Si può contare solo sul sostegno della forza aerea siriana per respingere ondate di attaccanti. Dal momento in cui in estate, quando la milizia ha fermato l'azione di 4000 fanti, sostenuto dai MiG-21, l'uomo è diventato una vera leggenda. Gli abitanti sono demoralizzati e senza fiato, ma il generale ha fatto loro una promessa: «Noi ci saremo!"

mercoledì 14 dicembre 2016

Dietro alle bugie su Aleppo





















Dal dottor Nabil Antaki, ecco un’altra pagina di verità sulla tragedia e sulla riconquistata libertà degli Aleppini.
'' Pubblico la mia risposta ad una amica che è stata interpellata da due persone dopo la diffusione della nostra ‘’lettera da Aleppo n. 28’’
Cara F.
Comprendo bene la confusione di uno dei due tuoi interlocutori o il disagio dell’altro, e comprendo anche la tua domanda: ‘qual è la verità? ’
Capisco molto bene la reazione di queste persone sottomesse alla martellante propaganda mediatica occidentale di parte. Una propaganda manichea con i buoni definiti ribelli o rivoluzionari (dimenticando che essi fanno parte dei due gruppi (Daesh e al-Nusra) che la Comunità internazionale ha classificato come organizzazioni terroristiche. 
Si dimentica anche che 90.000 jihadisti stranieri sono venuti nel nostro Paese per fare la jihad. E si dimentica che il fine di questi terroristi è la realizzazione di uno Stato islamico. 
Dall’altro lato, ecco i malvagi, demonizzati da una massiccia disinformazione, sin dagli inizi degli avvenimenti, per accelerare la caduta del regime.
I ribelli-terroristi che invasero i quartieri est di Aleppo nel luglio del 2012 e Mosul nel 2014 sono gli stessi che commisero gli attentati a Parigi nel 2015.
A Parigi, erano terroristi che bisognava eliminare.
A Mosul, voi applaudite (giustamente) l’assalto dell’esercito iracheno appoggiato dai raids aerei statunitensi e della coalizione, per liberare la città dai terroristi di Daesh, (ben sapendo che questi raids faranno ovviamente delle vittime civili, senza che in Occidente qualcuno se ne dispiaccia).
Ad Aleppo, voi invece condannate l’assalto dell’esercito dello Stato siriano il cui scopo è liberare una parte della città, controllata da quattro anni e quattro mesi dagli stessi terroristi di al-Nusra. (Ricordiamo che Daesh e al-Nusra erano un unico gruppo, scissosi in due circa due o tre anni fa, poiché al-Nusra voleva seguire al Qaïda e giurare fedeltà al delfino di Ben Laden, mentre Daesh voleva giurare fedeltà al califfo auto-proclamatosi Baghdadi).
Dov’è la verità? Non certo presso i giornalisti e i media.
Essa si trova presso coloro che vivono qui.
Presso gli abitanti di Aleppo-ovest (che non sono soltanto cristiani, dato che siamo rimasti in pochi), che ieri sera hanno manifestato la loro gioia nelle strade all’annuncio della liberazione di una gran parte di Aleppo-est. Coloro che hanno subito durante quattro anni e mezzo bombardamenti quotidiani da parte dei terroristi di Aleppo-est con decine di vittime tutti i giorni (naturalmente ignorati dai media occidentali e nessuno che abbia sentito imbarazzo). I terroristi li hanno privati d’acqua potabile per più di due anni (1 milione e mezzo di abitanti a cui si è tagliata l’acqua corrente è un crimine di guerra e contro l’umanità) e nessuno ne è stato sconvolto. Sono stati gli Aleppini a supplicare l’esercito ed il governo di liberare i quartieri orientali ed era dovere dello Stato intervenire.
La verità sta presso gli abitanti liberati dei quartieri orientali di Aleppo, che erano ostaggi dei terroristi, anzi scudi umani. Bisogna vederli scoppiare di gioia, mentre si gettano tra le braccia dei soldati, e piangere quando ritrovano membri della propria famiglia. Bisogna ascoltarli raccontare le sofferenze per ciò che i terroristi gli hanno fatto subire. Naturalmente, tutto ciò è documentato con dei video in arabo che non vi mostrano.
I bombardamenti russi e siriani, che tanto hanno disturbato i nostri amici europei [sensibili e cinici a fasi alterne o a seconda della collocazione topografica delle vittime. N.d.T.], ebbene sì, hanno fatto vittime tra i civili e noi lo deploriamo. Ma voi, voi siete altrettanto addolorati per le vittime civili fatte dalla coalizione occidentale nei bombardamenti di Mosul? O la bomba americana è forse più intelligente della russa ?. In Siria no. Infatti i raids della coalizione occidentale sui terroristi hanno mietuto ogni volta vittime civili e l’ultimo raid aereo francese ne ha fatte 110 in un colpo solo, ma non ve lo dicono. Durante una presa di ostaggi, dopo negoziazioni e tentativi infruttuosi per liberarli pacificamente, la polizia non dà forse l’assalto pur essendo consapevole che potrebbero esserci delle vittime tra gli ostaggi?
Non esistono guerre pulite (dimenticate che stiamo vivendo in guerra da cinque anni e mezzo), però i media europei hanno esagerato i fatti, modificando e amplificando la realtà. Il martellamento che avete subito è intessuto di menzogne. Vi hanno annunciato dieci volte in sei mesi la distruzione dell’ultimo ospedale di Aleppo-est: come se per un colpo di bacchetta magica l’ospedale potesse risorgere in due settimane. Vi hanno mostrato il ‘Sindaco di Aleppo-est’ in tutte le salse: conferenze-stampa, ricevuto da Hollande, imbarcandosi con Duflos in un farsesco viaggio ad Aleppo. Ma si dà il caso che questo signore non sia sindaco di Aleppo e neppure di Parigi. Egli è semplicemente un impostore fatto uscire come un coniglio dal cappello di un prestigiatore per appoggiare la campagna mediatica messa su per arrestare l’avanzata dell’esercito lealista, pretendendo una tregua per ragioni ‘umanitarie’: cioè per permettere ai terroristi (geneticamente modificati dagli Occidentali in ‘ribelli moderati’) di riprendersi.
I Siriani, che hanno sofferto troppo per questa guerra e gli Aleppini in particolare, non accetteranno la proibizione di esprimere la loro gioia nel vedere la disfatta dei terroristi (almeno in Aleppo), i loro concittadini di Aleppo-est liberati, e di poter vivere senza piangere ogni giorno la morte di un parente, di un amico, di un vicino, uccisi dai proiettili di ribelli-terroristi.
Nabil
P.S La campagna mediatica è stata orchestrata alla perfezione: un martellamento quotidiano di menzogne che le persone, pur di buona volontà e con un certo spirito critico, arrivano a credere, non avendo una conoscenza diretta della situazione sul terreno. ‘Non possono mentirci tanto, sicuramente c’è del vero’ pensano.
Se voi mentite, mentite e continuate a mentire, qualcosa delle vostre menzogne sarà creduto. ’’ 

   Trad. Maria Antonietta Carta

AsiaNews, 14 dicembre 2016

Questa mattina nuovi, violenti bombardamenti stanno scuotendo la città di Aleppo. Razzi e colpi di artiglieria lanciati dai soldati dell’esercito governativo cercano di abbattere l’ultima sacca di resistenza dei gruppi ribelli e jihadisti, che si sono asserragliati in una piccola porzione della città. Testimoni locali confermano gli scontri a fuoco e la sospensione del piano di evacuazione raggiunto in precedenza, che avrebbe dovuto garantire la fuoriuscita dei civili e degli ultimi miliziani - alcune migliaia - tuttora presenti. I bus governativi sono allineati all’esterno dell’area teatro dei combattimenti, ancora vuoti e in attesa di disposizioni per le prossime ore. 
A bloccare le operazioni di evacuazione e innescare la nuova ondata di bombardamenti la richiesta siro-iraniana di avviare, in simultanea, le operazioni di sgombero dei feriti e civili in altre due cittadine sotto assedio delle milizie ribelli. Le Nazioni Unite sarebbero rimaste ai margini dell’accordo e non partecipano alle operazioni di evacuazione, per dicendosi pronte a intervenire in caso di bisogno. Ieri fonti Onu avevano parlato di “atrocità” e di civili giustiziati dalle milizie filo-governative.
Fonti di AsiaNews nel settore occidentale riferivano al contempo di “lanci di razzi” dal settore ancora in mano ai ribelli, che hanno provocato “otto morti e più di 40 feriti”. “La tregua è ancora lontana - aggiungono le fonti - anche perché resta da capire la posizione dei curdi siriani, armati, e le mosse delle milizie filo-governative, in cui è alto il fenomeno della corruzione e che devono essere sistemate in qualche modo dall’esercito regolare”. 
Nei giorni scorsi intense trattative fra Mosca e Ankara avevano permesso il raggiungimento di un accordo sull’uscita di ribelli e jihadisti, rimasti intrappolati in un’area di cinque chilometri, dove si erano ritirati di fronte all’avanzata dell’esercito siriano, sostenuto da russi ed Hezbollah. Esso prevedeva il ritiro dei civili, quindi la fuoriuscita dei combattenti, circa 5mila uomini in esilio in direzione ovest verso la periferia di Aleppo e a est verso Idlib e il confine turco. Dall’accordo emerge ancora una volta la grande influenza esercitata da Ankara sui ribelli e jihadisti siriani, che rispondono di fatto al governo turco. E al quale sono legati con un cordone ombelicale, che ha garantito loro la sopravvivenza per anni. 
I siriani sono in giubilo per la vittoria militare, ma la città di Aleppo emerge nella sua drammatica devastazione: uno scenario apocalittico fatto di ceneri, macerie e miseria.  Se il mondo intero (in particolare l’Occidente) lanciava grida di condanna per la sorte dei civili di Aleppo est, affamati e privi di risorse, impossibilitati a ricevere aiuti umanitari, la tv panaraba Al Mayadeen trovava una prima risposta alla questione. In un reportage dal settore orientale il canale satellitare ha mostrato chi stava davvero affamando la popolazione: in seguito alla liberazione del quartiere Bustan Al Qasr, i cronisti hanno scoperto un deposito all’interno di una scuola colmo di derrate alimentari, vestiti e medicinali custoditi dai jihadisti. Una riserva preziosa nascosta nella scuola di al Yarmuk, mentre la popolazione civile pativa fame e stenti.  
Tonnellate di cibo e generi di prima necessità che gli abitanti rimasti - donne, anziani, bambini - hanno subito cercato di accaparrarsi. Si assiste a scene di persone con scatole e sacchi sulle spalle, che tradiscono il bisogno immediato di cibo. La rivelazione sugli alimenti e aiuti umanitari che i jihadisti hanno sottratto alla cittadinanza, affamandola, spiega perché nel settore orientale solo la popolazione civile pativa la fame e appariva dimagrita e provata, mentre i ribelli si presentavano nei video e sui social in buona salute e ben nutriti. 
La liberazione di Aleppo ha inoltre svelato un altro mistero: quello dell’acquisto di armi dall’Europa dell’est da parte di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, i cui eserciti sono invece dotati di armi di fabbricazione americana. Tale industria è stata tenuta in vita grazie agli acquisti miliardari dei Paesi del Golfo. Difatti, dal 2103 in avanti Riyadh, Doha e gli Emirati hanno acquistato armi dall’Est Europa, spedite poi ai jihadisti in Siria e nello Yemen. Una fornitura che non si è mai interrotta nel tempo, almeno fino a poco tempo fa. 
In uno dei covi dei jihadisti di al Nosra (ex al Qaeda) e del gruppo filo-turco di Nur Eddin el Zank, rinvenuto nel centro storico di Aleppo - settore orientale - sono stati trovati depositi di armi di fabbricazione bulgara, copie bulgare di missili russi, mitragliatrici, razzi anti-carri e altre armi. Negli ultimi mesi del 2014 erano comparsi negli aeroporti bulgari aerei sauditi, assenti nel Paese dal 1991 e che, per questo, avevano attirato grande curiosità. 
Alcuni fotografi amatoriali avevano documentato aerei cargo sauditi del tipo Boeing 747 e degli Emirati Arabi Uniti del tipo Boeing 777 e Airbus A330 negli aeroporti di Borgas e di Sofia. Il mistero è stato chiarito dal rapporto annuale del ministero bulgaro della Difesa, secondo cui nel 2014 Sofia aveva siglato accordi per la vendita di armi all’Arabia Saudita per un valore di 85 milioni di euro. Il rapporto dell’anno successivo parlava invece di una vendita di armi, sempre all’Arabia saudita, di un valore di 29 milioni di euro. Sempre nel 2015 l’accordo firmato fra la Bulgaria e gli Emirati Arabi Uniti per la vendita di armi russe da parte della Bulgaria.
In precedenza, secondo quanto rivelato da Wikileaks un telegramma inviato dall’ambasciata Usa a Sofia rivelava un finanziamento degli Emirati Arabi Uniti per l’acquisto di armi bulgare, da inviare al governo dello Yemen nel 2010. Si tratta di decine di mitragliatrici di attacco, di mine, di missili e razzi, nel contesto di una commessa che aveva permesso all’industria bellica bulgara di riprendere fiato dopo un periodo di forte calo. Nel 2014, grazie alla guerra jihadista in Siria e nello Yemen, le  le vendite di armi bulgare secondo dati ufficiali hanno raggiunto il tetto di 403 milioni di euro.
Da ottobre 2014 a Maggio 2015 sono stati effettuati nove voli fra la Bulgaria e l’aeroporto di Jeddah e Tabuk nei pressi del confine giordano-saudita, per trasportare fra le 60 e le 80 tonnellate di armi di produzione sovietica. Gli aerei degli Eau hanno effettuato nei medi di giugno e agosto di quest’anno diversi collegamenti fra Abu Dhabi con Borgas e Sofia. 
Un rapporto Onu sul traffico di armi pubblicato all’inizio del 2015 parla dell’arrivo in Arabia Saudita, alla fine del 2014, di 830 mitragliatrici e 120 carri armati anti-scosse del tipo SPG-9. All’inizio del 2015 il ministero siriano della Difesa comunicava la presenza di armi bulgare in mano ai jihadisti, rinvenute nei tunnel usati per l’evacuazione. Si parlava di mine, razzi anti-carri, mitragliatrici Kalashnikov e razzi Rpg, tutti fabbricati in Bulgaria e riemersi ad Hama, Homs e diversi quartieri di Aleppo, dopo aver varcato le frontiere della Giordania e della Turchia. 
Ankara, che per anni ha fornito armi e munizioni, oltre che aiuto logistico a gruppi jihadisti come al Nusra e Nur Eddin Al Zenki in Siria, ora cerca di farli uscire da Aleppo. Alla fine di tutto, resta la domanda: A quale prezzo? E che cosa ha ceduto la Russia in cambio? Ancora una volta, come già successo prima con gli Stati Uniti, le vittime sacrificali sembrano essere i curdi siriani.

lunedì 12 dicembre 2016

Aleppo respira! Aleppo è libera!


Aleppo liberata. Vicario apostolico: “Questo Natale avrà un altro profumo”

Mons. Abou Khazen, felice per l’ingresso dell’esercito siriano nei quartieri occupati, considera “motivo di speranza” la lettera del Papa ad Assad. Ma accusa: “L’embargo colpisce solo i civili”

ZENIT, 13 dicembre 2016
di Federico Cenci

“La città di Aleppo finalmente sta per essere completamente liberata e unificata dopo quattro lunghi anni di divisione e di morte seminata da diversi gruppi armati siriani e non”. La testimonianza diretta giunge a ZENIT da mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino.

Mentre lui parla, di sottofondo è nitido il suono dei colpi di mortaio. Stavolta però, rispetto ai mesi scorsi, è un sibilo di speranza, giacché testimonia l’assedio da parte dell’esercito siriano nella parte orientale della città, fino a poche settimane fa una roccaforte dei gruppi cosiddetti “ribelli”.

Durante l’occupazione – racconta mons. Abou Khazen, che ha avuto modo di parlare con persone fuggite dalla parte est di Aleppo – “la vita non era affatto facile, specialmente negli ultimi mesi di combattimenti, perché i ‘ribelli’ impedivano di far arrivare viveri e medicinali, mentre i loro depositi era riforniti”.

Questi gruppi – ribadisce il vicario apostolico – appartengono tutti alla galassia del fondamentalismo islamico e – aggiunge – “imponevano alla popolazione dei precetti e dei modi di vita all’insegna del fanatismo, totalmente estranei alla tradizione del popolo siriano”.

L’Onu riferisce che la situazione umanitaria è “catastrofica”: si registrano difficoltà logistiche per curare i feriti, l’igiene è scarsissima e la gran parte degli edifici è distrutta.
“Ora che la città è quasi interamente in mano all’esercito regolare – spiega tuttavia mons. Abou Khazen – molti profughi stanno tornando e questo è comunque un simbolo di rinascita”. Il vicario apostolico sottolinea che molti cittadini di Aleppo si erano allontanati recentemente, “durante l’ultima operazione dell’esercito per liberare i quartieri est della città”.
Una volta ripreso il controllo di queste zone, è stato necessario “pulire questi quartieri dalle mine, riaprire le strade e far funzionare tutte le altre infrastrutture”. Quasi concluse queste attività, la gente sta tornando indietro, dove spesso al posto della propria casa trova però un luogo spettrale. Presto dovrà avvenire la ricostruzione.

“Il clima che si respira tra la gente è di gioia, ottimismo e speranza”, racconta il vicario apostolico. Il quale però rileva che c’è anche tanta prudenza, perché il popolo siriano ormai è abituato alle “brutte sorprese”.

Prudenza – o forse sano realismo – che traspare anche dalle parole di mons. Abou Khazen. “Purtroppo non sono fiducioso per niente riguardo a un aspetto!”, esclama. 
E rivolge un’esplicita accusa nei confronti della comunità internazionale: “Tutte le scuse sono buone per lasciare le sanzioni e l’embargo contro la Siria!”.

Ad avviso del rappresentante cattolico, l’embargo sembra riguardare “solo gli aiuti umanitari, il gasolio, i medicinali” e dunque “chi ne paga le conseguenze è la povera gente”. E invece le armi – “ogni genere di armi”, dice – continuano ad entrare nel Paese.

L’8 dicembre scorso, del resto, il Governo Usa ha concesso una deroga alle esportazioni di armi a “forze irregolari, gruppi o individui impegnati nel sostenere o agevolare le operazioni militari degli Stati Uniti per contrastare il terrorismo in Siria”.

Non da Washington, ma dalla Città del Vaticano arrivano concreti segni per un avvenire migliore per il popolo siriano. La lettera inviata da Papa Francesco al presidente Assad “è un altro motivo di speranza per tutti noi, cristiani e non”, commenta mons. Abou Khazen. Che definisce inoltre “un gesto speciale” la nomina a cardinale da parte del Pontefice del nunzio apostolico in Siria, Mario Zenari.

Da qui bisogna ripartire per il futuro della Siria. “Questo Natale – spiega il vicario apostolico – avrà un altro profumo alla luce della liberazione della città, alcune strade saranno adornate per la festa anche se non c’è l’elettricità. Ma come abbiamo fatto lungo questi anni di guerra, cerchiamo di seminare la vera gioia e speranza cristiana nell’animo dei fedeli”.

venerdì 9 dicembre 2016

Gli abitanti di Aleppo attendono il Natale con trepidazione e speranza


ZENIT, 7 dicembre 2016
di Pascal Bedros

Per la prima volta ho assistito ad un concerto di musica classica in mezzo ad una battaglia. Solo ad Aleppo succede che, in mezzo alla morte, una voce di pace si alzi in mezzo a tutte le altre che annunciano la guerra, per sollevare gli animi e dimenticare per qualche istante la morte e il freddo.
È come un capitolo di una tragedia moderna che ricorda la mitologia greca.
 Con pochi mezzi Padre Elias Janji con il coro Naregatsi e la pianista, hanno cantato e suonato brani di Verdi, Mozart, Vivaldi e Karl Orf in una chiesa gremita, nonostante il freddo polare che invade Aleppo in questi giorni, elevando i nostri spiriti in un altro cielo.

E pensare che non tanto distante da qui la tragedia continua, con missili lanciati da Aleppo Est sulla parte Ovest, uccidendo bambini nelle scuole e persone innocenti, mentre nella parte Est della città continua l’attacco dell’esercito siriano.
Nonostante questo migliaia di persone (si parla di 60mila fino ad ora) sono riuscite a scappare da Aleppo Est arrivando nella zona Ovest. 
Raccontano di come molti erano presi in ostaggio, che a parecchi, mentre scappavano, hanno sparato alle spalle e alcuni hanno trovato la morte, che altri hanno portato la nonna sulle spalle correndo in mezzo alla battaglia… Sono stati accolti; hanno trovato da bere e da mangiare, ripreso il fiato; alcuni sono tornati nelle loro case liberate in questi giorni.

La gente è contenta anche perché finalmente l’esercito ha liberato la stazione di pompaggio dell’acqua di tutta la città, che le milizie, dopo averla minata, non erano riusciti a far saltare prima di scappare. Le previsioni dicono che in un mese l’acqua tornerà normale nella città, dopo che i tecnici hanno cominciato il lavoro di riabilitazione. Con questo finirà un capitolo della tragedia ma sicuramente, penso, ce ne saranno altri.

Il 4 dicembre si ricorda santa Barbara, la giovane martire dei primi secoli del cristianesimo messa a morte con la spada dal padre perché, credendo in Gesù, non aveva accettato di adorare un altro Dio. Una grande festa per i cristiani d’Oriente, per cui, nonostante la guerra, adulti e bambini si sono radunati per festeggiarla, mascherati e cantando la sua storia che – nonostante i secoli trascorsi -, da queste parti è cambiata poco, purtroppo. Viene da domandarsi, cos’è rimasto dell’uomo e della sua dignità?

Cosa succederà adesso? Finirà la guerra ad Aleppo ridando tranquillità alla gente che ha tanto sofferto, anche se si ritroverà con una gran parte della città distrutta?
La popolazione è stanca e vuole che il conflitto finisca, ma i gruppi armati non si danno per vinti e vogliono combattere fino in fondo. Nonostante l’appello dell’inviato speciale dell’ONU, Staffan De Mistura, a tutti i gruppi a lasciare la città e a risparmiare la vita della gente che, altrimenti, pagherà con un numero di vittime molto alto. Questa è la logica della guerra!
Ma come dimenticare che alla fine è l’Uomo che muore, poiché ciascuno, buono o cattivo, è ad immagine di Dio, seppure sepolta sotto mille vizi e cattiverie.

Con il Natale che bussa alle porte, chiediamo allora che non sia solo ricordare un fatto passato con i soliti festeggiamenti, ma che l’arrivo del Principe della Pace cambi qualcosa nei cuori e nei gesti di noi tutti, e che diventino delle piccole pietre nella costruzione di un mondo migliore, che tutti sogniamo.

testimonianza di un focolarino libanese, trasferitosi ad Aleppo pochi anni prima dello scoppio della guerra.