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domenica 13 ottobre 2013

Una rivoluzione tradita?

Una nuova lettura degli avvenimenti siriani appare sui nostri mass media

foto Alessio Romenzi







     di Mario Villani 


Facciamo un passo indietro ed andiamo a rivedere quello che riportavano giornali e televisioni sui fatti che coinvolgevano la Siria. Ve lo ricordate? Per molti mesi l'immagine offerta fu quella di un popolo che scendeva pacificamente in piazza per reclamare la libertà e che veniva massacrato da un esercito e da una polizia al servizio di quello che era definito aprioristicamente come il “feroce dittatore”. Praticamente a nulla serviva il far notare che la maggior parte delle vittime dei primi scontri apparteneva alle forze dell'ordine e che, pertanto, proprio pacifiche quelle manifestazioni non dovevano essere. Sordi ad ogni argomento contrario i mass media avevano un titolo standard : “Le milizie di Assad bombardano pacifici manifestanti”. Con il passare del tempo e con il moltiplicarsi di filmati e testimonianze diffuse su internet divenne però sempre più difficile nascondere il fatto che anche i “manifestanti” sparavano e quindi ecco la nuova chiave di lettura delle vicende siriane fornita dai mass media: schiacciato dalla feroce repressione del regime il popolo siriano ha preso le armi per far trionfare la democrazia e ritrovare la libertà, aiutato in questa lotta dalle migliaia di disertori che avevano abbandonato l'esercito siriano per non essere costretti a sparare sul popolo. Chiunque osava mettere in dubbio questo dogma - magari ponendo qualche dubbio sulla reale ansia di democrazia di tutti i rivoltosi e sul reale numero dei disertori- era immediatamente bollato come amico, probabilmente prezzolato, del dittatore di Damasco. Il fatto che, solo per fare un esempio, tutte le autorità ecclesiastiche in Siria e nel vicino Libano contestassero pesantemente questa visione brutalmente manichea degli avvenimenti era considerato privo di rilevanza persino dai media cattolici che preferivano attenersi alla versione di una sola persona, un gesuita italiano (a cui peraltro oggi vanno i nostri sinceri auguri e le nostre preghiere per un ritorno in patria sano e salvo), che si era eretto a paladino dei ribelli, arrivando ad accusare di “collaborazionismo” con il regime le Gerarchie delle chiese cristiane del paese. Tutti, concordemente, prevedevano che il regime, “indebolito dalle continue diserzioni e travolto dalla crescente ostilità popolare” sarebbe caduto in pochissimo tempo. Addirittura il nostro Ministro degli Esteri di allora, Terzi di Sant'agata, dichiarò che si trattava di una questione di giorni.


Sono passati i mesi e gli anni ed il regime non è caduto, confermando che avevano ragione coloro i quali sostenevano che la rivolta aveva l'appoggio solo di una parte, oltretutto minoritaria, della popolazione siriana e che le diserzioni dall'esercito non erano state decine di migliaia, ma solo poche centinaia. Con il passare del tempo inoltre è apparso in maniera sempre meno occultabile il carattere islamista della rivolta. Dichiarazioni truculente di leaders dei movimenti armati, rapimenti e uccisioni di cristiani (compresi sacerdoti e vescovi) e appartenenti ad altre minoranze religiose, distruzioni di luoghi di culto e l'attacco a Maalula, applicazione di una feroce “legge islamica” nelle zone controllate, autobombe contro i civili, massacri e torture di prigionieri, sanguinosi regolamenti di conti tra bande di ribelli rivali, sono divenuti talmente frequenti da non poter più essere tenute nascoste all'opinione pubblica. L'orrenda immagine di un “ribelle” (ma ha il diritto di essere così definito uno psicopatico criminale?) che strappa il cuore di un soldato ferito e lo divora o di quell'altro che pone la testa mozzata di un militare a cuocere su un barbecue hanno fatto il giro di internet riuscendo a meritare ad una parte almeno dei “rivoltosi” l'etichetta che il Presidente russo Putin ha loro cucito addosso: cannibali.
 
Impossibile quindi continuare a sostenere la tesi di una opposizione al regime siriano laica e democratica, “costretta” dalla violenza del regime a impugnare le armi, ma desiderosa di risparmiare ogni sofferenza alla popolazione civile. 
Ecco quindi l'ultima versione, lanciata per primo dal giornalista della Stampa Quirico dopo alcuni mesi trascorsi come “ospite” involontario delle bande armate, versione che ormai sta facendosi strada su gran parte dei mezzi di comunicazione: la rivoluzione siriana degli inizi era buona, democratica e moderata, ma l'Occidente non l'ha appoggiata come avrebbe invece dovuto fare e così i leaders ribelli sono stati costretti a chiedere l'aiuto dei gruppi islamisti più radicali e dei paesi loro alleati, finendo però per diventare, di fatto, loro ostaggi. I gruppi islamici radicali avrebbero in pratica “scippato” la rivoluzione dalle mani dei democratici. E' una versione che, in apparenza, potrebbe mettere d'accordo tutti. Coloro che, in qualche modo ritengono la Siria di Assad preferibile a quella dei ribelli possono sottolineare il carattere attualmente estremista della rivolta, quelli che la pensano in modo opposto rimarcare invece la moderazione e la democraticità della rivoluzione ai suoi esordi chiedendo all'Occidente di operare per aiutare i rivoltosi a recuperarne lo spirito originario. Una bella versione accettabile da tutti quindi. Purtroppo ha un difetto: è falsa o, quantomeno, radicalmente incompleta . Mi spiace doverlo dire, ma sono un convinto assertore del detto secondo cui “la verità è l'unica carità concessa alla Storia”. E la verità è che, fin dagli inizi, la presenza islamista era assolutamente predominante tra i rivoltosi. Lo dico anche per un senso di giustizia verso gli estremisti islamici (salafiti e jihaidisti) colpiti da un'accusa di cui non sono colpevoli: quella di aver rubato ad altri la rivoluzione siriana. Ricordo perfettamente quello che mi risposero sacerdoti, civili e militari alla domanda che posi loro nel novembre 2011 (quindi a pochi mesi dall'inizio della guerra): da che ambienti arrivano i manifestanti che ricorrono alla violenza? La risposta fu unanime (1): in maggioranza dalle moschee dove predicavano imam wahabiti. E fin dai primi giorni del conflitto fu evidente e tutti coloro che la volevano vedere una circostanza devastante: l'arrivo da tutto il mondo islamico di un enorme numero di volontari armati che, attraverso il Libano e la Turchia, accorrevano, rispondendo all'appello di imam estremisti, a dare manforte ai loro confratelli in Siria. E' doveroso ammetterlo: agli inizi della rivolta vi fu effettivamente chi prese le armi spinto solo dalla volontà di cambiare un regime che giudicava (non senza qualche ragione) tirannico e da cui aveva in passato subito torti e ingiustizie, vi furono (e forse ancora ci sono) dei ribelli che combatterono per ottenere una maggiore libertà per il Paese. E' altrettanto doveroso ammettere però che, all'interno della Siria, tutti costoro non hanno mai avuto (e men che meno hanno oggi) un ruolo predominante nella guida della rivoluzione.


Speriamo che prima o poi qualcuno (parlo ovviamente di chi prende decisioni vere in campo internazionale e non certo di noi poveri bischeri che non contiamo nulla) si renda conto che, per affrontare il problema siriano ci vuole una grande capacità di discernimento e di comprensione delle sfumature. Pertanto deformare la realtà ed alimentare una visione manichea della situazione non serve assolutamente a risolvere il problema. Sempre ammesso, ovviamente, che qualcuno lo voglia veramente risolvere.


Mario Villani

1) Non invece i pochi politici che incontrai. Il Governatore di Homs, per fare un esempio, parlò solo di delinquenti comuni. Il timore era che indicando negli ambienti islamisti i principali oppositori armati si alimentasse un clima da guerra religiosa...Con il senno di poi una posizione suicida.