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giovedì 10 ottobre 2013

Tra terra e Cielo/ Dipingo la speranza che sovrasta la Siria e il nostro cuore


Milano

INT.
Pier Luca Bencini

giovedì 10 ottobre 2013

“Tra terra e cielo” è il nome della mostra del dottor Pier Luca Bencini, i cui ricavati saranno destinati alle vittime della guerra civile in Siria. L’esposizione avrà luogo nello spazio espositivo Pwc (Price WaterHouse) di Milano in via Monterosa, 91 dal 10 Ottobre al 2 Novembre. L’autore delle tele che verranno esposte è un medico chirurgo e dermatologo, appassionato d’ arte fin dall’età di 15 anni, che dopo  essere venuto in contatto con le monache trappiste del monastero di Valserena, decide di iniziare un rapporto rivolto alla solidarietà. “La situazione siriana non deve essere considerato altro dal nostro essere umani. La condizione dell’uomo è la medesima in qualsivoglia parte del mondo.” A pochi giorni dall’esposizione abbiamo deciso di intervistare l’autore dei dipinti per capire meglio da dove parte l’idea della Mostra e per conoscere la persona di Pier Luca Bencini.

Quale è stata l’esperienza che l’ha spinta ad organizzare questa mostra per contribuire attivamente all’opera delle monache in Siria? Conoscendo le suore trappiste ho avuto modo di constatare il loro impegno sul campo in luoghi come l’Angola e la Siria. Questa loro forza mi ha spinto ad agire al loro fianco. L’idea delle esposizioni è nata dalla badessa per un primo progetto dedicato all’Angola, e ho accettato nell’ottica di dare una risposta interiore data dal bisogno di essere in qualche modo compagnia e fraternità là dove gli amici che hai incontratp nella strada della tua vita testimoniano Cristo nelle difficoltà. L’arte, in fondo, è un raccontare la tensione ultima del desiderio, nasce quindi come un dono e non può non donarsi, se non altro come dimensione del cuore.

Come è venuto in contatto con queste suore? Grazie ad una mia amica dei tempi del Liceo che entrò monaca nella comunità di Valserena. Dopo oltre 40 anni, andando a visitare il monastero, mentre ero in vacanza, ci siamo incontrati. Da qui è iniziata questa amicizia, che (come sempre accade quando prendi sul serio gli incontri) ha chiesto una responsabilità che non poteva essere elusa.

Cosa ne pensa del conflitto siriano? Premetto: questa mostra non è un momento di analisi sul conflitto ma un momento di risposta a un bisogno che implica silenzio e ascolto, essere prossimi a quelle vittime sia cristiane che musulmane. Ognuno parla di democrazia pace e giustizia ma a farne le spese sono le minoranze e la popolazione. Io rispondo all’appello del Papa, basta con le armi: esistono delle possibilità di soluzione non violenta. Ognuna delle due parti in conflitto ha delle responsabilità.

Quali sono le principali emergenze sul suolo siriano?
Sono molte, le stime Onu sono impressionanti. Vittime e persone scomparse a parte (che sono molte migliaia) il numero degli sfollati e di nuovi poveri è impressionate. I generi alimentari essenziali soprattutto pane sono sempre più rari ed hanno costi proibitivi anche a causa dell’embargo vigente. Anche dal punto di vista sanitario la situazione è precaria a causa del diffondersi di focolai di epidemie, epatite in primis.

Come verranno impiegati i fondi della mostra?
L’intero ricavato andrà ai bisognosi siriani poiché alcuni sponsor copriranno le spese della mostra. Per evitare che il denaro si disperda in tanti rivoli, ho deciso di consegnare il ricavato alla diocesi di Aleppo tramite il vicario apostolico Monsignor Giuseppe Nazzaro.

C’è qualche opera in particolare che è risultato di una sensazione su questo conflitto?
È una mostra di orizzonti e paesaggi che mette in evidenza la drammaticità del conflitto nell’incontro tra cielo e terra. Il cuore della mostra è l’orizzonte che simboleggia la dignità e il destino dell’uomo. Noi poniamo lo sguardo verso ciò a cui tendiamo,  verso l’origine e la risposta al nostro desiderio, cioè verso il nostro significato. L’ascolto onesto di questa tensione al senso ultimo dell’essere umano è la base per costruire un mondo nuovo.

Cosa rappresenta per lei l’arte?
Io dipingo da quando avevo 15 anni. Ho incontrato pittori importanti come William Congdon, un allievo di Pollock convertito al cristianesimo. L’arte per me è un modo di vedere attraverso il reale il mistero che è oltre e che la parola, troppo legata alla logicità spesso non è in grado di raccontare. Come dice Dante in molti passi della Sua commedia è impossibile raccontare alcune percezioni, quando si arriva a contemplare l’origine dei nostri desideri («Perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si sprofonda tanto, che dietro la memoria non può ire»)  Anche San Tommaso smise di scrivere quando andò in estasi dopo aver vissuto qualcosa di indescrivibile. Quindi per dirla con il grande pittore Paul Klee: «L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è».

“Oltre il paesaggio ritrovato” è il nome della sua mostra dello scorso anno che ha portato a un ricavato che non si aspettava...
Esattamente, era stata ideata per dare un sostegno  alle suore trappiste di Valserena che operano in Angola . Abbiamo venduto più dell’80% dei quadri esposti.

È da molto che è impegnato nelle operazioni di Fund Raising a beneficio dei più bisognosi?
È difficile delineare un inizio o un confine. Questa idea nasce da incontri e da esperienze che mi hanno portato ad essere prossimo ad alcune realtà come quelle in cui le suore trappiste sono impegnate. Non la definerei beneficenza.

In che senso?
E’ più che altro un modo di essere quello di prendere parte a situazioni in cui la Chiesa è viva. Parte da una risposta a qualcosa che si presenta davanti a noi e che invita a interrogarsi sulla condizione dell’essere umano a prescindere dal contesto di appartenenza.

(Mattia Baglioni)

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