Traduci

mercoledì 6 febbraio 2013

L'anelito di libertà può ancora giustificare la distruzione di un Paese?

Il cambiamento era possibile senza il ricorso alle armi, come è accaduto altrove


da La Perfetta Letizia
di Patrizio Ricci

La popolazione civile ha a che fare da una parte con milizie raggruppate sotto la sigla di ‘Esercito libero siriano’ e dall’altra con l’esercito governativo regolare: il primo, pur di imporre la propria supremazia, compie azioni militari spregiudicate, compresi atti contro la popolazione civile; il secondo agisce come qualunque esercito in una simile situazione: cerca di riprendere possesso del territorio. Tutto normale allora? No, il peggioramento, dopo due anni di guerra senza regole, è evidente: i crimini si moltiplicano. Si potrebbe dire allora che entrambi le parti sono egualmente responsabili della sofferenza inflitta alla popolazione? Il nostro codice penale dice di no: “Chi commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato è punito con l'ergastolo” (art. 286 del c.p.). Probabilmente il legislatore aveva soppesato bene gli effetti di una guerra civile ed ha elaborato una norma così severa perché una insurrezione armata destabilizza non solo il governo, ma la struttura dello stato, ad ogni livello, con risultati devastanti per la popolazione. E questo è un concetto applicabile dovunque: è evidente che nel caso siriano gli esiti e le violazioni del diritto umanitario sono stati peggiori della sopravvivenza del potere da abbattere. Senza rinunciare alle giuste richieste iniziali, sarebbe bastato accettare un compromesso, considerando come positiva la riforma costituzionale, che ha sostanzialmente accolto tutte le richieste degli insorti, compreso il multipartitismo. Non è accaduto così: l’opposizione armata (che non è la componente maggioritaria del dissenso) ha derubricato tutti i provvedimenti attuati dal governo giudicandoli demagogici ed è passata alla guerriglia.

Ad aggravare questa situazione c’è un secondo aspetto, che è la vera causa del perdurare del conflitto: molti stati, animati da fini terzi, sostengono, finanziano e armano la ribellione. Il caos e le difficoltà dello stato nazionale ha dato adito a Stati storicamente nemici di inserirsi nella guerra civile. Europa e USA sono animati da interessi economici-strategici convergenti che purtroppo sono da tempo diventati motore della loro politica estera, tutta rivolta a neutralizzare l’Iran, storico alleato della Siria. L’attacco degli F16 israeliani è da inserire in questo contesto: generare il ‘casus belli’ per un intervento diretto, finora impossibile per il veto russo-cinese.

Dello stesso segno l’attivismo di Qatar ed Arabia Saudita quali improbabili paladini della democrazia: sospinti dal desiderio di portare avanti il proprio progetto egemonico su tutto il mondo arabo, sono i principali sostenitori della rivolta. La recente condanna all’ergastolo del poeta Mohammed al Ajami, reo in Qatar di aver osato criticare il regime, dà però conto del concetto di democrazia in atto in questi paesi.

Testimonianza del carattere intollerante ormai assunto dalla rivolta sono i numerosi attentati in quartieri cristiani o alauiti, la deportazione di migliaia di persone, la distruzione di chiese. Inoltre, nelle zone cosiddette ‘liberate’ dall’opposizione armata, i rapimenti a scopo di riscatto sono abituali e le esecuzioni sommarie sono settarie e spesso decise per semplice capriccio.  
Le testimonianze del disordine che imperversa nel paese sono continue. Purtroppo, su di esse non si accendono mai i riflettori dei media. Essi sono rivolti solo verso le notizie provenienti da un’unica fonte: quella dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (con sede a Londra e legato sul territorio ai coordinamenti locali dei ribelli), mentre la chiesa cristiana siriana, nonostante conti milioni di fedeli (contro i circa 30.000 ribelli), è del tutto ignorata. Tuttavia, attraverso l’Agenzia Fides e canali meno conosciuti, i patriarcati e i singoli religiosi tornati in Italia raccontano spesso un'altra storia. Per ragioni di spazio non possiamo riportare qui tutto, ma ricordiamo Pascal Zerez, che a Homs, all'età di 20 anni, il 9 ottobre 2012 è stata uccisa nell'attacco dei ribelli al bus che la trasportava da Lattakia ad Aleppo. Il padre Claude, conosciuto prima della guerra come guida di pellegrinaggi cristiani in Siria, scrisse un'accorata lettera al Presidente Hollande. E ricordiamo l’appello delle monache : “Il cuore sanguina continuamente nel vedere queste persone che sono prima di tutto siriani e poi cristiani, musulmani, eccetera, e che invece i ribelli vogliono lacerare come accaduto in Iraq, Egitto, Libia, togliendo loro la libertà di credere in ciò in cui credono!“.
Mentre l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di ‘Jazirah ed Eufrate’, ricorda a Fides l’incubo costante dei rapimenti “Circa sei mesi fa i sequestri di persone hanno iniziato a moltiplicarsi, opera di alcune bande. Oggi le vittime sono 43, appartengono e tutte le componenti della società (cristiani, musulmani, yazidy, curdi e arabi), sono di età e ceto sociale diversi: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune”. L’Arcivescovo racconta a Fides “i momenti molto difficili, la paura e il dolore delle famiglie” anche perché i rapitori, nota, “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere un forte riscatto”.

Non difetta di chiarezza Mons. Mario Zenari (Nunzio Apostolico in Siria), che non ha mezzi termini: “C’è un problema interno, in quanto la Siria da tempo sentiva il bisogno di andare verso una maggiore democrazia e una maggiore libertà. Nello stesso tempo, ci sono dei conflitti regionali o mondiali. Quanto sta avvenendo in Siria quindi non può più essere risolto con un grado maggiore di democrazia e con delle elezioni libere, perché qualcuno ha scelto il Paese come campo per regolare dei conti che riguardano ben altre potenze”.
A giudicare da come si sta muovendo, la comunità internazionale non sembra aver imparato ancora molto dalle ‘primavere arabe’ o dalla guerra libica e della sua ‘somalizzazione’. Facciamo nostre le parole di Mons. Tomasi (Osservatore Vaticano presso l'ONU) che è più che esplicito: “Esiste una nuova tipologia di conflitti, composta da una “galassia” di gruppi oppositori ai governi, i quali, strumentalizzando la religione per ottenere risorse e potere, danno vita a guerre civili che lacerano intere popolazioni”. Ecco la sua esortazione: “Dobbiamo capire che la guerra e la violenza non risolvono i problemi ma soltanto li accentuano in maniera più drastica e dannosa. Bisogna ascoltare la saggezza della Chiesa che continua sempre a dire attraverso i diversi Papi che la guerra è una via di non ritorno, una via che distrugge, che si sa quando comincia ma non quando finisce e fino a che punto di distruzione porta”.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/02/siria-lanelito-di-liberta-puo-ancora.html


“BASTA CON LE ARMI, ABBIAMO BISOGNO DELLA PACE”

Il razzo contro l'Università di Aleppo





PADRE HADDAD: “È necessario far tacere le armi e imboccare la strada del dialogo e della riconciliazione"




S.I.R.- 1 febbraio 13

“Non c’è altro che la riconciliazione. Non è mai troppo tardi. Alziamo la voce per mandare un messaggio: basta con le armi, abbiamo bisogno della pace. Datevi un bacio di pace, come Pietro e Paolo”. 



Sono le parole pronunciate oggi pomeriggio dall’archimandrita Mtanios Haddad, patriarca della Chiesa greco-cattolico melkita e rettore della basilica romana di Santa Maria in Cosmedin, nell’omelia di una liturgia bizantina per invocare la pace in Siria e in Medio Oriente.

 “La Siria chiama e Roma risponde. Non armi, né terrorismo: alla Siria, orgogliosa culla dei cristiani in Medio Oriente - ha detto padre Haddad - dobbiamo mandare un messaggio di pace”. Il Paese “ha sempre vissuto nella pace, diventando un modello di convivenza e dialogo interreligioso. Vero, ci sono stati alti e bassi, come in ogni famiglia, ma sempre in pace. Non bisogna permettere che in questi alti e bassi si infiltrino razzismo, estremismo religioso, cristiano o musulmano che sia. In Siria, così come in Iraq, Palestina, Libano e tutto il Medio Oriente, non si può lasciare nel peccato colui che non ama suo fratello”. 

“È necessario - ha proseguito il sacerdote melkita - far tacere le armi e imboccare la strada del dialogo e della riconciliazione, smettendo di sostenere gli aiuti economici che finanziano questa guerra. Armi e uomini che danneggiano la Siria - ha spiegato - vengono dall’esterno, dagli interessi dei paesi stranieri. Con l’arrivo dell’Islam non siamo mai stati perseguitati, la convivenza è stata possibile”. Ora governanti, militari e civili, ha auspicato, “devono agire”. 

I mezzi di comunicazione di massa, poi, “ci dicono ogni giorno delle grandi bugie. Siamo lì da duemila anni, non vogliamo essere protetti ma vivere la nostra fede e la nostra dignità ognuno nel suo paese. Non dobbiamo più essere ingannati da questa politica internazionale che parla ma non sa niente”. L’amore e Dio “sono gli stessi” e noi tutti, ha concluso, “siamo nati per vivere e amare e anche di più: per la pace, la giustizia e la riconciliazione.




Il Patriarca Rai: gli Stati che armano regime e opposizione si assumono la responsabilità criminale della tragedia siriana 


 Agenzia Fides 29/1/2013

Bkerké– I leader degli Stati “che fanno la guerra in Siria fornendo denaro, armi e mezzi sia per il regime, sia per l'opposizione”, con la loro “malvagia opera di istigazione” sono responsabili davanti al tribunale della coscienza e della storia dei “crimini di assassinio, distruzione, aggressione e deportazione di cittadini innocenti” che stanno martoriando da quasi due anni il popolo siriano. La vibrante denuncia – raccolta dall'Agenzia Fides - viene dal Cardinale Bechara Boutros Rai, Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Nell'omelia pronunciata nella sede patriarcale di Bkerké durante la Messa domenicale, in occasione della Giornata di solidarietà indetta dalla Chiesa maronita a favore dei rifugiati siriani accolti in Libano (vedi Fides 26/1/2013), il Patriarca Rai ha attribuito alle colpe e alle omissioni della comunità internazionale, un peso decisivo nel devastante perpetuarsi del conflitto siriano. Citando l'enciclica di Papa Giovanni XXIII Pacem in Terris, S. B. Rai ha chiamato in causa anche l'Onu e la sua “responsabilità di organizzazione sorta dopo la seconda guerra mondiale con il fine essenziale di mantenere e consolidare la pace tra i popoli”.
Il capo della Chiesa maronita ha stigmatizzato anche gli effetti destabilizzanti che il conflitto siriano minaccia di avere sullo scenario libanese. Il Patriarca Rai ha richiamato i diversi Partiti libanesi a “non puntare gli uni sul regime e gli altri sull'opposizione in Siria”, perchè con le loro opzioni divergenti “creano intralci alla vita pubblica del Libano e paralizzano le decisioni nazionali, compresa la ratifica di una nuova legge elettorale”. In questo modo - ha stigmatizzato S.B. Rai – si incentivano i timori di una tracimazione del conflitto siriano in territorio libanese, e si fomenta la tendenza dei libanesi a emigrare all'estero.
Rivolgendosi ai rifugiati siriani, il Patriarca maronita li ha invitati a essere riconoscenti nei confronti dello Stato e del popolo che li hanno accolti, chiamandoli a conformarsi alla “cultura libanese fondata sull'apertura, l'ospitalità e l'unità nella varietà” e ad astenersi da ogni comportamento lesivo della pace civile. Lo Stato libanese, a giudizio del porporato, è tenuto a “controllare le frontiere, registrare i rifugiati e prendere tutte le misure necessarie a impedire l'infiltrazione di armi in Libano”. Secondo il Patriarca, occorre “sventare ogni eventuale complotto ordito sia all'interno che all'esterno, e evitare ogni strumentalizzazione religiosa, comunitaria o politica dei rifugiati”. Anche il flusso dei profughi va monitorato: a detta del Patriarca Rai, occorre coordinarsi con l'Onu e con gli altri Stati per non sovraccaricare il Libano con un numero di rifugiati che il Paese dei Cedri non sarebbe in grado di sopportare, economicamente e socialmente.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40887&lan=ita


Palmyra Due terroristi suicidi , mercoledì 6, si sono fatti esplodere con autobombe nel quartiere residenziale di al-al-Gharbi Jam'yeh causando il martirio di diversi cittadini e il ferimento di altre decine di abitanti.
Gli attentati hanno anche causato ingenti danni materiali nella zona.