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giovedì 31 gennaio 2013

"Il nostro cuore sanguina...." : lettera dalla Siria


Lettera di Suor Annunciata Dordoni agli amici di Lodi, pubblicata su
" Il Cittadino" S A B A T O, 2 6  G E N N A I O  2 0 1 3


Carissimi ….,

a voi, agli amici, ai Lavoratori credenti: buon anno!
E come vorrei che anche in questa Terra fosse un anno di ritorno alla pace!
È sempre più frequente che gente anche sconosciuta, ci fermi per strada per parlare con noi (la mia superiora parla l’arabo), per dirci che sono contro la guerra, che vogliono e sperano che tutto torni come prima, senza divisioni, rivogliono pace e libertà!
E sempre più c’è in noi la convinzione che il popolo siriano sta subendo cose atroci per un disegno di potenze esterne alla Siria, e che gli oppositori pacifici a questo regime non riescono ad avere voce e peso, non sono presi in considerazione dall’Occidente, mentre il governo siriano con loro è pronto al dialogo.

Mercoledì 2 gennaio con la mia superiora ci siamo recate a Tartous, che è una grande città portuale, dovevamo recarci in Vescovado per dei documenti. Arrivate a questo vescovado Maronita, non riuscivamo ad entrare, i cancelli erano assiepati da una folla di bambini, uomini e donne, sia cristiani che musulmani. Siamo salite da padre Mikhail, il quale ci ha spiegato che vengono ad iscriversi nelle liste dei rifugiati per avere un minimo di aiuto.
Così padre Mikhail, che è diventato monsignore di recente ed è vicario del Vescovo, ha iniziato a raccontarci un po’ cosa sta accadendo a Tartous, città finora tranquilla, difesa dall’esercito e dai cittadini stessi.
Il vescovado riesce per ora ad assistere 500 famiglie di rifugiati con alimentari e soldi, e inoltre a inviare aiuti ad Aleppo alle suore Salesiane che assistono, come possono, chi è rimasto in quella città e non può scappare. A Tartous arriva gente fuggita da Aleppo, Damasco, Daraa, Idleb, Homs, in città è raddoppiata la popolazione, negli alberghi sono stati alloggiati donne e bambini profughi, ma molti sono per strada, non hanno un tetto!

Per Natale amici ci hanno mandato offerte, così abbiamo comperato qualche quintale di farina, riso, zucchero, scatolame, olio, condimento e altri generi alimentari per 40 famiglie povere del nostro villaggio e dei nostri vicini musulmani. Ci hanno segnalato in uno di questi villaggi, una vedova di guerra con tre bimbi piccoli, sola, anche il padre è morto.
Il villaggio fa una colletta settimanale per farle avere il minimo indispensabile, ora cercherò qualche famiglia italiana che adotti questa poveretta!
Ecco carissimi, vi ho descritto la situazione di questa parte di Siria, e vi chiedo se è possibile far pervenire degli aiuti al Vescovado, sarebbe molto bella una collaborazione con padre Mikhail per aiutarlo a sfamare qualcuno in più.

Carissimi, il mio coraggio sta tutto nel chiedervi di fare… quello che potete, ma vi assicuro che ad essere qui il cuore sanguina continuamente nel vedere queste persone che sono prima di tutto siriani e poi cristiani, musulmani, eccetera, e che invece i ribelli vogliono lacerare come accaduto in Iraq, Egitto, Libia, togliendo loro la libertà di credere in ciò in cui credono!
Per noi monache è consolante che quando ci fermano per strada o qualcuno viene al monastero, ci ringraziano di essere qui a pregare, e sempre dicono: «Pregate per la Siria»!
 È questa la nostra forza, nella fede che Dio ascolti le preghiere di chi lo invoca per la pace!
Carissimi, vi ringrazio di cuore, vi abbraccio, e pregate anche voi per la Siria!

Suor Annunciata


Chiediamo la preghiera di tutti i cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria


Distrutta una chiesa in Mesopotamia. L’Arcivescovo: “Con la guerra tutti perdono”

Deir al-Zour: la Chiesa  distrutta


Agenzia Fides 31/1/2013
Hassakè – La chiesa siro-ortodossa di Santa Maria e la scuola cristiana di Al-Wahda sono state distrutte a Deir Ezzor, cittadina della Mesopotamia, al centro di scontri che hanno causato un esodo della popolazione civile. Lo riferisce a Fides l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di “Jazirah ed Eufrate”, spiegando che “è un giorno molto triste per me e per tutta la comunità”. Le due strutture sono state colpite e distrutte nel fuoco incrociato fra esercito regolare e gruppi ribelli. La Mesopotomia, notano fonti locali di Fides, sta vivendo “una lenta agonia”, e tutta la popolazione civile (arabi, cristiani, curdi, e altri gruppi) sta pagando un prezzo altissimo. L’Arcivescovo Matta Roham nota a Fides: “Questa guerra feroce è prima di tutto una guerra contro la nostra civiltà. E’ un conflitto dove tutti perdono, nella distruzione del nostro amato paese. Se i ribelli o il regime pensano di vincere, alla fine, credo ci ritroveremo solo un paese in rovina, con migliaia di orfani, vedove, poveri e soprattutto destabilizzato dall’inimicizia nella società”. 
L’Arcivescovo si rivolge a quanti stanno combattendo: “Chi ricostruirà tutto quanto abbiamo costruito in decenni di duro lavoro? E quanto tempo ci vorrà? Chi ricucirà le relazioni sociali deteriorate? Chiediamo la preghiera di tutti cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria”. 

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40904&lan=ita


 Marcia di solidarietà per i sequestrati in Mesopotamia

 Una marcia di solidarietà con le vittime dei sequestri; un corteo per sensibilizzare l’opinione pubblica verso il fenomeno dei rapimenti; una “assemblea di speranza” che ha visto riunite tutte le componenti della società: cristiani, musulmani, curdi, associazioni e Ong, leder delle chiese e capi della moschee, funzionari pubblici.

Agenzia Fides 28/1/2013 – Come appreso dall’Agenzia Fides, l’iniziativa, tenutasi giovedì 24 gennaio ad Hassake, capoluogo della Mesopotamia, dove la popolazione civile è ridotta allo stremo (vedi Fides 17/1/2013), scuote l’area della Siria orientale. Nella regione si vive un precario equilibrio fra le forze di opposizione (fra le quali milizie islamiste), le forze curde, l’esercito regolare siriano, in lotta fra loro.
A fare le spese del conflitto permanente è la popolazione che è dunque scesa in piazza – oltre tremila presenti al corteo – con striscioni e slogan per chiedere un “un futuro di pace e di speranza per la Mesopotamia”. I partecipanti, che hanno dato vita alla “Associazione di solidarietà con le famiglie delle persone rapite”, hanno marciato dal quartier generale della Chiesa ortodossa siriana al Palazzo di Giustizia della città, esprimendo la loro sofferenza e le loro rivendicazioni. E’ stato presentato un memorandum al Procuratore della Repubblica, chiedendogli di svolgere i suoi compiti e chiedendo al governo locale di assicurare la protezione ai cittadini innocenti.
“Il sequestro di persona è diventato un fenomeno quotidiano per le strade di questa città. I rapitori non esitano a commettere crimini alla luce del giorno. Circa tre settimane fa, tre uomini armati, a volto scoperto, hanno fermato un taxi e rapito un ragazzo di 10 anni, Saeed Afram Aho, mentre stava andando alla scuola elementare” spiega a Fides l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di “Jazirah ed Eufrate”.
“Circa sei mesi fa i sequestri di persone hanno iniziato a moltiplicarsi, opera di alcune bande”. Oggi le vittime sono 43, appartengono e tutte le componenti della società (cristiani, musulmani, yazidy, curdi e arabi), sono di età e ceto sociale diversi: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune. L’Arcivescovo racconta a Fides “i momenti molto difficili, la paura e il dolore delle famiglie” anche perché i rapitori, nota, “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere un forte riscatto”. Un bambino, Bashar, è stato lasciato per due giorni senza cibo e acqua in una cella sotterranea, in una fattoria lontana dalla città. “Oggi – spiega – molte famiglie cristiane sono fuggite, cercando salvezza nei paesi vicini e in Occidente”.
Mons. Matta Roham ha preso parte alla marcia con gli altri due Vescovi della città, il Vescovo siro-cattolico Jacques Behnan Hindo e il Vescovo Mar Afrem Natanaele, della Chiesa assira. In questo periodo di forte crisi, i tre Presuli si incontrano regolarmente per discutere questioni di interesse sociale e religioso.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40877&lan=ita


INIZIATIVA DI PREGHIERA DI "AED : Aide à l'Eglise en Détresse"

VEGLIA DI PREGHIERA PER I CRISTIANI SIRIANI
Mercoledì 6 febbraio 2013, dalle 20.00 alle 22.00.
63 rue de Caumartin Paris IX°

Prière, chants, témoignages, intercession, adoration, Messe à l'intention des chrétiens de Syrie
 Avec le témoignage du père Ziad Hilal, curé de la paroisse Saint-Sauveur à Homs
 En présence de Marc Fromager, directeur de l'Aide à l'Eglise en Détresse (AED), de Monseigneur George Assadourian, curé de la cathédrale Sainte-Croix des Arméniens Catholiques de Paris et du Père Elie Wardé, curé de la paroisse syriaque Saint Ephrem de Paris.
Paroisse Saint-Louis d'Antin,  63 rue de Caumartin et 4, rue du Havre,  Paris IX°
 Métro Havre Caumartin - Métro St Lazare

martedì 29 gennaio 2013

Mère Agnès-Mariam, una testimonianza contro la barbarie

Dire la verità senza compromessi

Intervista apparsa sul  numero di Dicembre di “Monde et Vie”  a cura dell'Abate Guillaume De Tanouarn


Madre Lei vive nel cuore del deserto di Siria ma la sua voce risuona, attraverso tutti  i moderni mezzi di comunicazione, fuori dal vostro monastero di San Giacomo l'Interciso. Tanto è vero che le si rimprovera, in questa Siria incendiata e sanguinante, di “fare politica”  
 La mia  non  è una presa di posizione politica ma etica, a fronte di una situazione che vede una flagrante aggressione nei confronti della popolazione civile. Mentre i media “mainstream” mettono in luce solo una porzione del quadro, io penso che sia buona cosa completare questo quadro con un punto di vista che aiuti l’opinione pubblica a farsi una idea, il più possibile equilibrata,  sugli annessi e connessi del conflitto siriano. Sicuramente io non voglio spazzare via con un colpo di spugna tutto quello che i media riportano. Ma chiaramente ci troviamo di fronte a un discorso dominante tendenzioso. Si difendono unilateralmente  tesi che si vogliono favorire in ogni modo, ma lo si fa malgrado l’evidenza dei fatti.

I coraggiosi studenti dell'Università di Aleppo rifiutano le intimidazioni

Quali tesi?
 La tesi che si vuole difendere è che  il regime  è l’unico responsabile della morte di innocenti e delle distruzioni di massa che si possono constatare adesso. A fronte di questa tesi  “ufficiale” la realtà è che i metodi adottati dalle bande armate affiliate alla opposizione sono altrettanto se non ancor più in contrasto con la protezione dei civili. Sono loro che senza motivo distruggono le infrastrutture pubbliche e i siti del patrimonio storico. Sono loro che destabilizzano la società civile, nella quale, quali che siano le confessioni religiose, vige ancora attualmente un largo consenso per la convivenza pacifica. Per molto tempo la grande stampa ha voluto ignorare l’esistenza sempre più grande  di gruppi estremisti, che per mezzo di una guerra a carattere settario  e promuovendo la guerra civile vogliono realizzare una redistribuzione della popolazione sul territorio su base confessionale. Questi gruppi, la cui presenza è stata dapprima ignorata e poi bellamente occultata, sono stati identificati da diversi reporter come affiliati ad Al Quaeda  o come mercenari composti in una proporzione significativa da individui provenienti dai più diversi paesi fra i quali l’Inghilterra, la Francia, l’Irlanda, l’Australia e anche dalla Svezia. Si tratta di una operazione di riciclaggio di terroristi per l’occasione travestiti da difensori della libertà e della democrazia?  Porsi la domanda equivale a darsi la risposta…

Lei quindi è a fianco del regime di Bachar el Assad contro questi terroristi?
 Il regime di Bachar è un regime totalitario socialista e stalinista. Non è per amore del Regime ma per amore del popolo siriano e per la Chiesa che perderebbe di autorevolezza se si astenesse dall’affermare la verità dei fatti, occultata per considerazioni politiche. Credo che la società siriana non debba essere studiata attraverso il filtro di uno schema binario: Pro regime – Anti regime. La assoluta maggioranza del popolo siriano non è politicizzata. Esiste una immensa maggioranza silenziosa che rifiuta di essere strumentalizzata, di essere destabilizzata e di veder affondare lo Stato (che non va confuso col Regime). La situazione attuale non resiste ad una analisi anche se elementare. La signora Clinton ha avuto la reazione istintiva di rammaricarsi , sottolineando pubblicamente che la rivoluzione legittima del popolo siriano è stata distorta a favore di movimenti estremisti e settari. Lo stesso Laurent Fabius, il vostro Ministro degli Esteri, ha evocato l’insorgere di “una guerra eteroclita e disordinata”.

Ma siete in accordo con la Chiesa Cattolica quando sostenete queste tesi  non conformiste?
 Qui in occidente si tenta di far credere che io non lo sia. Ma è falso. Sua Beatitudine Gregorio III Laham, Patriarca dei Melchiti Greco-Cattolici ha recentemente esposto 24 osservazioni sulla crisi in Siria che vanno completamente in questa direzione. E’ stato lui a dichiarare che : “In Siria non c’è più una rivoluzione, non ci sono più delle manifestazioni. C’è soltanto del banditismo e il mondo intero si rifiuta di ammetterlo”  Parla anche di “un complotto internazionale contro la Siria.
Tutto questo  richiama l’appello urgente dei vescovi di Hassake nella Mesopotamia siriana, nel quale i prelati delle chiese locali di qualsiasi rito, fanno stato di una incontrovertibile aggressione subita dalla popolazione civile da parte dei ribelli. Quegli stessi ribelli che la stampa mainstream giustifica nella loro resistenza armata con la scusa della protezione dei civili. E’ veramente la ragione del più forte che trionfa!  Quanto alle società occidentali, queste arrivano ad una giustificazione ideologica della violenza: un vizio inquietante.

Secondo lei c’è speranza per la Siria attualmente?
 Ciò che viene completamente nascosto oggi è la presenza di una maggioranza silenziosa che non si è polarizzata , che ama il suo Paese conoscendone i pregi e i difetti. Diverse iniziative sono nate per consolidare l’unità civile e fermare l’effetto devastante che si è prodotto con l’apertura del vaso di Pandora delle Rivoluzioni arabe. Il Forum delle famiglie si è tenuto 15 mesi fa. I delegati e gli attivisti appartenevano alle  molteplici componenti del ricco tessuto sociale siriano, così diversificato dal punto di vista etnico, religioso e culturale. Questo Forum ha fatto emergere una iniziativa di riconciliazione nazionale , con alla testa il capo di una delle più prestigiose tribù arabe, i Naims (che rappresenta in Siria circa tre milioni di persone). L’autorità naturale di Cheikh Saaleh Naim ha permesso che sorgessero un po’ ovunque nel paese gruppi di riconciliazione nazionale (in arabo: Musalaha)  che si  mobilitano mediante la realizzazione in situ di iniziative per prevenire la guerra civile, fermare le violenze, pagare i riscatti e occuparsi della vita quotidiana dei siriani servendosi della vasta rete di relazioni che esiste tra i capi tribù, fra i quali si annoverano i leader più influenti delle diverse confessioni, sunnite, alauite, sciite, cristiane, druse , ismailite  e yezidi e sabbee per i profughi dall’Iraq. A fronte di una tale organizzazione,  mi domando cosa intenda fare la Francia per decidere chi veramente rappresenti il popolo siriano.? Io lo chiamerei una deviazione. Il conflitto in Siria sta mostrando il vero volto della Democrazia occidentale.

Perchè il movimento “Musalaha” , questo movimento per la riconciliazione dei Siriani è così poco conosciuto?
 Attualmente la comunità internazionale cerca di prendere in contropiede la maggioranza del popolo siriano che non ha preso le armi. Mentre il movimento Musalaha  si adopera per il mantenimento della pace civile, pacificando le popolazioni ed aiutandole materialmente,  sia che siano schierate dalla parte del regime che della rivoluzione, si cercano soprattutto motivi per intervenire armando i ribelli.
Ci dicono che in Siria è in corso una guerra civile. Si contano circa 500.000 morti dall’inizio delle ostilità. Ma non è una guerra civile, non è una guerra tra le componenti civili del Paese, è la repressione da parte dell’esercito del regime dell’insurrezione di una parte del Paese assistita da volontari internazionali. E’ una guerra tra l’Esercito Libero Siriano (miliziani o mercenari) e le Forze Armate regolari. In questa guerra i civili di tutte le confessioni sono degli ostaggi; succede che nei quartieri residenziali infiltrati le persone vengano sequestrate e ricattate.
Bisogna dire che questo conflitto ha avuto una preparazione di anni. Non si sono forse trovati i sotterranei che hanno permesso all’ ELS di occupare questi quartieri senza colpo ferire?


E il Regime…
 Il Regime è morto dall’inizio del 2012, da quando ha rinunciato ufficialmente al principio del partito unico . Certo è un regime durissimo con gli oppositori. Ma allora il Paese non aveva debiti e soprattutto sino all’inizio della guerra era autosufficiente, con abbondanti riserve attualmente distrutte sistematicamente dai mercenari jihadisti. Lo Stato inoltre garantiva l’istruzione scolastica, la sanità gratuita, la gratuità dei medicinali con una vera industria farmaceutica nazionale. Per noi la vera questione non è cosa sopravviverà  del Regime di Bashar , ma cosa sopravviverà dello Stato siriano che sino ad ora assicurava la pace civile con veri mezzi economici?

Dichiarazioni raccolte dall’Abate Guillaume De Tanouarn
 Traduzione dal francese di M. Granata

I media tra informazione e propaganda

La posizione timorosa dei media sulla guerra in Siria mi ricorda un incidente significativo. Una delle nostre fondatrici ebbe un giorno un malessere cardiaco e venne trasportata in ospedale dove l’elettrocardiogramma non registrò alcuna anomalia. I medici ci rassicurarono ma, non appena arrivammo al monastero, ebbe un attacco fatale e soccombette sotto i nostri occhi. Richiamato d’urgenza, il medico che l’aveva appena dimessa brandiva l’elettrocardiogramma per assicurarci che la religiosa non aveva niente. Malgrado il responso fornito dal suo apparato diagnostico, la nostra sorella è deceduta. Io temo che il medesimo scenario si stia ripetendo oggi in ambito sociopolitico. A forza di essere sottoposti ad un sistema di disinformazione si lascia che ci imbrogli sino ad un punto di non ritorno. La mancanza di informazione, si dice, ricade sul regime siriano che impedisce il libero accesso ai media. E’ vero. Ma per questo si deve punire la popolazione bloccando le sue testimonianze rifiutando di diffonderle? Le versioni delle televisioni siriane pro-regime sono più verosimili. Abbiamo tentato di documentarci in tempo reale telefonando a dei conoscenti che si trovavano sul luogo degli incidenti descritti : la situazione concordava più con ciò che diceva la televisione siriana che a quello che propagandavano Al Jazzirah, BBC, France 24, Al Hurra o Al Arabia con dei montaggi e altri spezzoni audiovisivi fallaci o di cattiva qualità.

Madre Agnes- Mariam


Soeur Marie Agnès "Les Syriens sont unanimes à rejeter l'ingérence étrangère"





Soeur Marie Agnès : Les Syriens sont unanimes à... di Super_Resistence

Mons. Zenari : siamo al centro di un "regolamento di conti" più grande di noi


da "IL SUSSIDIARIO" - 21 gennaio 2013
Intervista di Pietro Vernizzi  a Mons. Mario Zenari

Nell’università affollata per gli esami semestrali, una bomba ha provocato la morte di 87 studenti. E’ successo ad Aleppo la settimana scorsa, in una zona della città ritenuta fino a quel momento sicura. “Si tratta di un vile atto terroristico nei confronti degli studenti che sedevano nelle aule per gli esami di metà anno”, è stato il commento di Bashar Jaafari, inviato del governo siriano durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Il Sussidiario.net ha raggiunto telefonicamente Mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, che si trova nella zona centrale di Damasco dove sono ospitate anche le altre ambasciate.

Che cosa ne pensa dell’attacco contro l’università di Aleppo?

E’ difficile sapere chi ci sia dietro, purtroppo le violenze di questo tipo ultimamente in Siria sono frequenti. E’ un atto di violenza molto triste che ha causato 87 vittime e suscitato compassione e indignazione in tutto il mondo.
Sempre martedì si sono contati 216 morti in tutta la Siria. Significa che anche senza considerare l’attacco all’università si sono registrate 129 persone dilaniate dalle bombe. E ogni giorno assistiamo ad atrocità di questo tipo.

Lei ritiene che siano state esplorate tutte le strade per mettere fine alle violenze?

Difficile rispondere, quello che so è che quello a cui stiamo assistendo è la conseguenza del fatto che si sono sovrapposte due questioni. C’è un problema interno, in quanto la Siria da tempo sentiva il bisogno di andare verso una maggiore democrazia e una maggiore libertà. Nello stesso tempo, ci sono dei conflitti regionali o mondiali. Quanto sta avvenendo in Siria quindi non può più essere risolto con un grado maggiore di democrazia e con delle elezioni libere, perché qualcuno ha scelto il Paese come campo per regolare dei conti che riguardano ben altre potenze.

I cristiani come si inseriscono in questo conflitto?

I cristiani non hanno armi ed essendo sparsi in tutto il Paese non formano un unico gruppo politico né singoli gruppi schierati da una parte o dall’altra.
Bisogna però riconoscere che la situazione per i cristiani sotto questo regime non era così negativa. C’era una discreta libertà religiosa, seconda soltanto a quella di cui godono i cristiani libanesi. Anche se non era una libertà assoluta, per esempio un musulmano non poteva diventare cristiano.

Qualcuno ha cercato di fare pagare ai cristiani questa scelta di non schierarsi?

Fino a questo momento, per i fatti di cui sono a conoscenza, i cristiani hanno  sofferto come tutti. Abbiamo avuto delle chiese abbattute, ma queste distruzioni  non erano volute. Le bombe degli uni e degli altri spesso finiscono nei centri  abitati e dove prendono prendono. I missili non fanno distinzioni tra cristiani,  sunniti e alawiti, quando un villaggio è preso di mira tutti devono scappare a  prescindere dalla loro religione.

 Quale contributo possono dare i cristiani in questo momento drammatico della  vita del Paese?

 Ho sentito diverse dichiarazioni di persone che mi dicono: “Noi cristiani siamo  qui per il bene del Paese, ma non ci schieriamo”. Anche se non possono tirare le pietre contro questo governo, perché prima dell’inizio del conflitto le cose per loro non andavano male. La tendenza dei cristiani è quindi quella di non prendere le armi, e di operare secondo i principi del Vangelo, della dottrina sociale della Chiesa, della solidarietà, della riconciliazione e della giustizia sociale. E’ questa la sola bandiera dei cristiani.

 La dittatura è veramente compatibile con la dottrina sociale della Chiesa?

 No, la dottrina sociale della Chiesa parla di libertà fondamentali e di giustizia sociale. Questo regime andava e va riformato secondo principi universali di democrazia, di libertà e di giustizia sociale, di espressione non sottoposta a restrizioni. 
Il punto però è che questa riforma del regime non andava attuata in maniera violenta.

 Infine, com’è la situazione nella zona di Damasco dove si trova lei?

 Dal quartiere Malki, dove si trovano le principali ambasciate, sentiamo le cannonate e vediamo gli aerei che si levano in volo. Dobbiamo sempre stare attenti, perché anche la situazione nella zona dell’università di Aleppo fino a martedì sembrava calma, ma ormai il conflitto è dappertutto e non ci sono più isole sicure, o quelle che sono sicure oggi domani non lo saranno più. Resta il fatto che a Damasco le zone periferiche sono le più martoriate. Il centro è stato abbastanza preservato, ma ogni tanto qualche bomba esplode anche qui. Ormai la situazione della Siria è come quella di un corpo nel quale le cellule malate si sono diffuse in tutti gli organi.

© Riproduzione Riservata.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/1/21/SIRIA-Mons-Zenari-nunzio-apostolico-siamo-al-centro-di-un-regolamento-di-conti-piu-grande-di-noi/355116/


lunedì 28 gennaio 2013

Siria, la posizione della Santa Sede: bloccare la violenza e portare tutte le parti a negoziare

Cosa succede in Siria? Qual è veramente la situazione di questo Paese? Risponde Mons. Silvano Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite


CITTA' DEL VATICANO, Thursday, 24 January 2013 (Zenit.org).

Mons Tomasi  già nella prima parte di questa intervista ha denunciato l'esistenza di una nuova tipologia di conflitti, composta da una “galassia” di gruppi oppositori ai governi, i quali, strumentalizzando la religione per ottenere risorse e potere, danno vita a guerre civili che lacerano intere popolazioni.
***
Eccellenza, quale è la reale situazione in Siria?
Mons. Tomasi. La Siria è ormai da due anni nel vortice della violenza, del conflitto interno, rischiando di diventare uno Stato fallito. Bisogna prevenire assolutamente questa situazione e sopratutto fare in modo che l'evoluzione politica blocchi al più presto la violenza e sospenda i combattimenti. È urgente trovare un armistizio, una tregua, in modo che, insieme a tutte le forze coinvolte, si possa negoziare un nuovo consenso in Siria e si apra la strada alla speranza e alla ricostruzione.

Perché sottolinea la presenza di tutte le forze coinvolte?
Mons. Tomasi: Perché se non c'é la partecipazione di tutte le forze sociali il dialogo per preparare il futuro non diventa realistico. Ci sono elementi fanatici e fondamentalisti che non permettono di garantire un dialogo che faccia uscire il Paese dalla violenza, dalla morte di decine di migliaia di persone e dalla continua distruzione di case e infrastrutture. Infatti, più si dilaziona un accordo, più prendono piede piccoli gruppi violenti che creeranno ulteriori difficoltà in futuro e renderanno la convivenza ancora più difficile.

Gruppi armati, quindi, che non accettano la partecipazione nei negoziati. E le minoranze?
Mons. Tomasi: Se si vuole essere interlocutori soltanto con i gruppi che uno accetta, senza ammettere tutte le forze che ci sono nel Paese, si rischia di non mai cominciare a negoziare. Questa è una preoccupazione immediata. C’è poi una seconda urgenza che è l’esigenza che la comunità internazionale garantisca a tutte le minoranze - cristiani, alawiti, sciiti, drusi, curdi - di avere una voce attiva e reale nel dialogo e nella gestione futura dello Stato. La cittadinanza deve essere alla base della vita civile. Inoltre, c'é una particolare attenzione sulle minoranze cristiane che vengono percepite da molti come alleate al regime al potere. Questo è un fatto che preoccupa molto perché finora, anche se non in piena libertà, tutte le minoranze cristiane e non cristiane potevano vivere decentemente. Ora invece sono diventate il target di alcuni gruppi che tendono a eliminare i cristiani con la scusa di essere alleati con il governo presente.

Interventi esterni potrebbero aiutare a risolvere questa situazione?
Mons. Tomasi: Secondo testimonianze provenienti direttamente dalla Siria, sia da parte del Governo che dagli Osservatori internazionali, ci sarebbero forze esterne che complicano il conflitto. La popolazione nativa della Siria non è convinta che questi gruppi ribelli portino qualcosa di meglio. La soluzione deve venire dalla popolazione siriana senza dare a piccoli gruppi violenti la possibilità di dominare e facilitando una rapida uscita dalla crisi attuale, attraverso un processo politico ed una risposta seria ai bisogni reali della popolazione.

E se parliamo di un intervento occidentale, tipo i Caschi blu?
Mons. Tomasi: Abbiamo visto che il risultato del primo intervento esterno non richiesto dalla Siria ha portato ad un inasprimento della violenza. Quindi ci si chiede: a cosa porterà un altro intervento organizzato dei Paesi occidentali? L'incertezza è molto forte, soprattutto considerando l'esperienza dell'Iraq e dell'Afganistan che non hanno raggiunto né la pace né grandi miglioramenti dato che la violenza continua.

E quindi cosa si può fare?
Mons. Tomasi: Dobbiamo capire che la guerra e la violenza non risolvono i problemi ma soltanto li accentuano in maniera più drastica e dannosa. Bisogna ascoltare la saggezza della Chiesa che continua sempre a dire attraverso i diversi Papi che la guerra è una via di non ritorno, una via che distrugge, che si sa quando comincia ma non quando finisce e fino a che punto di distruzione porta. La pace che è un diritto fondamentale delle popolazioni per vivere serenamente, che permette che una migliore qualità di vita, anche dal punto di vista economica, visto che l'economia fiorisce in tempo di pace e non di guerra. Il diritto alla pace e i suoi benefici, davanti al panorama attuale di conflittualità e incertezza politica, diventano quindi un’esigenza fondamentale per cercare soluzioni che salvaguardino la dignità delle persone e dei popoli secondo il piano di Dio.

http://www.zenit.org/article-35194?l=italian

La prima parte dell'intervista di Zenit a Monsignor Tomasi "La comunità internazionale di fronte ad una nuova tipologia di conflitti" è leggibile a questo link: 

http://www.zenit.org/article-35193?l=italian


domenica 27 gennaio 2013

Uno sguardo umano sulla tragedia siriana

Segnaliamo due toccanti articoli di Giorgio Bernardelli : dove la pietas cristiana si china con rispetto sugli aspetti meno conosciuti del dramma della popolazione 


Nomi e volti dal dramma siriano

Non ci sono più parole per descrivere lo strazio della tragedia della Siria. Ma proprio perché non ci sono parole, il rischio è sempre più quello di abituarsi al massacro e alle sofferenze quotidiane, quasi fossero una fatalità. Per questo è fondamentale tenere davanti agli occhi dei volti, che ci ricordino come non sia di numeri o di equilibri geopolitici ma di persone in carne ed ossa che stiamo parlando.

Pensavo a tutto questo guardando sul blog dell'amico Andres Bergamini - fratello della famiglia religiosa della Visitazione, che vive a Gerusalemme - le fotografie di suor Rima. Da un paio d'anni, d'estate, Andres promuove un corso di iconografia con un piccolo gruppo di persone che si vuole avvicinare a questa forma d'arte che è anche spiritualità. L'estate scorsa a Gerusalemme da Aleppo era arrivata anche suor Rima, delle Suore maestre di santa Dorotea. Nella città siriana - dove lei stessa è nata quarant'anni fa - gestisce insieme a una consorella un pensionato per ragazze che si trova vicino all'università. Sì, proprio quell'università, sventrata lo scorso 15 gennaio da due sanguinose esplosioni. Da allora chiunque la conosce vive nell'angoscia, perché non si hanno più notizie di lei. L’ultimo a vedere suor Rima - ha raccontato ad AsiaNews il nunzio apostolico a Damasco mons. Giovannni Zenari - è stato il giardiniere del convento delle suore carmelitane, anch’esso situato a poche decine di metri dall’università. L’uomo stava conversando con la religiosa quando i due sono stati investiti da un muro di fuoco. Una volta riaperti gli occhi il giardiniere, rimasto ferito, ha visto intorno a sé solo macerie. È anche questo oggi Aleppo: l'angoscia per un volto amico che a più di una settimana di distanza da un'esplosione non sai ancora con certezza che fine abbia fatto.

Altri volti sono quelli di cui parla un articolo di Al Monitor che mi ha lasciato di stucco: quelli dei profughi palestinesi che si trovavano in Siria e che nella loro fuga sono arrivati fino a Gaza.
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continua a leggere su:

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4754&wi_codseq= &language=it



Le voci delle vittime dei sequestri di persona nel caos di Damasco. La paura e la fede di fronte al rischio di morire. «Ma il Vangelo continua a rinascere anche in mezzo alla sofferenza»

 
Non ci sono solo i morti nei bombardamenti e negli attacchi delle milizie nella tragedia della Siria. Un dramma nascosto in questa situazione ormai totalmente fuori controllo sono i rapimenti a scopo di estorsione. Il sito dell'Oeuvre d'Orient, una storica realtà francese attiva nell'aiuto ai cristiani d'Oriente, ha raccolto una serie di testimonianze di alcuni cristiani che hanno vissuto questo incubo e fortunatamente sono poi stati rilasciati. «È una pratica - spiegano all'Oeuvre d'Orient - che aumenta giorno per giorno, facendo crescere l'inquietudine tra le famiglie, gli amici, le parrocchie e la popolazione civile, anche nelle zone finora risparmiate dai combattimenti. Si ha paura di uscire di casa da soli anche solo per andare al lavoro, a scuola, in chiesa. Una volta rilasciate le vittime di solito si rifugiano nel silenzio. Noi invece abbiamo potuto raccogliere qualche testimonianza discreta».
Qui sotto MISSIONLINE propone una traduzione del testo integrale pubblicato sul sito francese.

RINASCERE NELLA SOFFERENZA

B.T. 42 anni, padre di cinque figli, commerciante di legumi

È stato rapito una sera, davanti al suo negozio, è stato bendato e chiuso nel bagagliaio di una macchina ... Ha trascorso quattro giorni senza vedere il sole, alimentato solo a pane e acqua.
Si preparava a morire e ha trascorso il tempo a pregare e a pensare a Gesù abbandonato sul Monte degli Ulivi. Dal suo rilascio B.T. è sempre più convinto dell'importanza della fede cristiana. Non lascia più la chiesa, invita tutti al pentimento e alla meditazione della Sacra Scrittura, ha sempre il Rosario in mano.

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 continua a leggere su:

http://www.missionline.org/index.php?l=it&art=5273



venerdì 25 gennaio 2013

Un “Osservatorio sulle comunità cristiane nel Medio Oriente”

Prende il via un'iniziativa che appare, oggi, semplicemente doverosa



 Primo incontro a Milano il 9 Febbraio, alle ore 15,30

Si apre anche il Sito Internet  "Osservatorio sulle Comunità  Cristiane in Medio Oriente"

Malgrado la scarsa, incompleta e talvolta faziosa copertura delle notizie offerta dai media sulla situazione mediorientale un dato appare emergere con certezza: la situazione delle antiche comunità cristiane radicate in paesi come la Siria, il Libano, l'Egitto, l'Iraq diventa di giorno in giorno più difficile. Gli atti di violenza si moltiplicano, con uccisioni di sacerdoti e fedeli, assalti alle chiese o, comunque, con la continua diffusione di un clima di odio e intolleranza da parte delle fazioni estremiste del mondo islamico in particolare sunnita. Persino paesi che, come la Siria, possono vantare una secolare tradizione di pacifica coesistenza tra diverse religioni, oggi sono sconvolte da una violenza cieca e brutale che ha già fatto migliaia di vittime e costretto gli abitanti di interi villaggi a fuggire per cercare luoghi più sicuri dove continuare a sperare di poter riprendere una vita normale. A fronte di una tragedia di dimensioni epocali non corrisponde in Europa, ed in particolare in Italia, un'attenzione adeguata. Al contrario, persino molti media cattolici, preferiscono ignorare quanto avviene sull'altra sponda del Mediterraneo, negando persino lo spazio alle continue, pressanti dichiarazioni che vengono dalle Gerarchie delle Chiese locali. L'opinione pubblica viene così privata delle informazioni e delle conoscenze necessarie per potersi formare delle opinioni fondate e agire, quando possibile, di conseguenza.

Termini come Maroniti, Siriaci, Melchiti sono praticamente sconosciuti alla grande maggioranza delle persone, ivi comprese molte che pure si professano vicino alla Chiesa. Per questa ragione è facilissimo vedere anche persone di buon orientamento cadere nelle trappole tese da una propaganda che ormai è divenuta una vera e propria arma di guerra. Le vicende della tragedia in Siria, che su questo sito abbiamo più volte documentato, ne sono una prova lampante.

Questa è la ragione per cui abbiamo proposto ad alcuni amici di costituire un Osservatorio sulle comunità cristiane in Medio Oriente il cui scopo principale sarà quello di far conoscere la storia, le tradizioni, le specifiche peculiarità, ma anche i drammatici problemi attuali di quei nostri fratelli che vivono sull'altra sponda del Mediterraneo.

L'Osservatorio sarà composto da un gruppo di studio che raccoglierà dati e informazioni elaborandoli e successivamente diffondendoli, e da amici e corrispondenti sul territorio che si occuperanno di organizzare (ovviamente quando possibile) incontri e conferenze in particolare (ma non esclusivamente) in ambienti cattolici. Al fine di favorire la circolazione delle notizie è già in avanzato stato di elaborazione un sito Internet il cui indirizzo sarà: http://osservatorioccmo.altervista.org/site/ ( NB: il sito è in allestimento).

L'Osservatorio, che avrà una struttura estremamente leggera e quanto mai poco “burocratica”, potrà anche favorire o addirittura promuovere iniziative umanitarie come, solo per fare un esempio, la raccolta di aiuti per le famiglie cristiane che in Siria hanno dovuto abbandonare le loro case. Ovviamente in questi casi dovrà agire in stretto concerto con le Chiese locali. Non è esclusa neppure l'organizzazione di viaggi al fine di incontrare, direttamente sul territorio, esponenti delle Gerarchie Ecclesiastiche o gruppi di fedeli.

L'Osservatorio sarà una realtà completamente indipendente da qualunque movimento o associazione ed avrà come unico obbiettivo l'aiuto ai Cristiani in Medio Oriente. Proprio per salvaguardare questa caratteristica le adesioni all'Osservatorio saranno solo individuali, mentre associazioni e siti che condividono i suoi scopi potranno aiutarlo contribuendo alla diffusione del materiale elaborato sui loro mezzi di comunicazione.

Il 9 febbraio terremo una riunione informale a Milano, durante la quale tracciare un programma di lavoro e dare un minimo di struttura organizzativa al gruppo. Gli amici che abitano lontano potranno mantenere i contatti attraverso internet, come indicato sul sito dell'Osservatorio. Chi condivide gli scopi dell'Osservatorio, ma non ha il tempo materiale di fornire la propria collaborazione, potrà aderire comunque, semplicemente assicurando il conforto della Preghiera ed in particolare rivolgendosi a San Charbel, il grande santo ed eremita libanese sotto la cui protezione osiamo porre la nostra iniziativa.

Chiunque sia interessato all'iniziativa e non abbia segnalato in precedenza la propria disponibilità potrà farlo mandando una mail all'indirizzo : osservatorio.ccmo@gmail.com
Direttore Responsabile: Mario Villani

giovedì 24 gennaio 2013

Lettera di solidarietà per la Siria sofferente



fouad-twal


LETTERA DI SOLIDARIETÀ

A tutte le comunità religiose, a tutti i sacerdoti, a tutti coloro che in Siria prestano, rischiando di persona, il loro generoso servizio ai poveri, ai sofferenti, ai feriti, a chi è bisognoso di aiuto, esprimiamo la nostra accorata vicinanza spirituale, la nostra solidarietà nella preghiera, e tutto il nostro apprezzamento per l’instancabile testimonianza di carità e di sollecitudine fraterna nel mezzo della desolazione e in circostanze così difficili.
Siamo coscienti che la Siria e i suoi abitanti stanno vivendo in quest’ora tragica il dramma della Croce che può trovare luce solo nella Croce e nella Passione di nostro Signore. La nostra voce si leva in suffragio dei morti e a difesa dei vivi, di quelli che continuano a rimanere nella loro terra e a quanti, rifugiati, hanno perso tutto e hanno dovuto abbandonare il loro paese. Il dramma degli uni e degli altri è molto grande – come ho potuto toccare con mano anche durante la mia recente visita pastorale a Mafraq, nel nord della Giordania – e non può lasciarci indifferenti. Da tanto, da troppo tempo questa situazione si protrae.
La nostra umiliazione e sofferenza più grande sta proprio nel sentirci impotenti e incapaci di intervenire per porre subito fine alla violenza e per aiutare ulteriormente le vittime.
Il nostro appello alla cessazione di ogni violenza, e ad armarsi invece di misericordia, di pietà e di compassione verso i nostri cari fratelli siriani sofferenti, si unisce a quello del Santo Padre.
Benedetto XVI continua a chiedere, e noi con lui, la preghiera per la pace perché “nei diversi conflitti in atto, cessino le ignobili stragi di civili inermi, abbia fine ogni violenza, e si trovi il coraggio del dialogo e del negoziato”.
Faccio appello a chi può intervenire per favorire un dialogo finalmente costruttivo, perché una via di uscita sicuramente c’è, se abbiamo il coraggio e la volontà di intraprenderla per amore della pace e non per altri interessi.
Maria Santissima interceda presso il Suo Figlio per queste intenzioni.
+ Fouad Twal, Patriarca Latino,
a nome dell’AOCTS

http://it.lpj.org/2013/01/24/lettera-di-solidarieta-per-la-siria-sofferente/

In tremila città di tutto il mondo, domenica 27 la preghiera per la pace in Terra Santa

 Domenica 27 gennaio, in tremila città di tutto il mondo si pregherà per la pace in Terra Santa nel contesto della V Giornata Internazionale di intercessione, promossa nel 2009 da alcune realtà giovanili cattoliche. 


Roma - Agenzia Fides

Da anni “il popolo della Pace” fa suo l'invito del Santo Padre Benedetto XVI che continua ad incoraggiare gli sforzi di quanti si stanno impegnando per la pace. Il Papa incoraggia "ad adottare decisioni coraggiose in favore della pace e porre fine a un conflitto con ripercussioni negative in tutta la regione medio-orientale, travagliata da troppi scontri e bisognosa di pace e riconciliazione".
La Giornata Internazionale di Intercessione per la Pace in Terra Santa, secondo gli organizzatori, “è diventata negli anni segno e stimolo per quanti vogliono davvero coltivare questo forte desiderio che nella Terra di Gesù regni quella pace e quella giustizia che può diventare segno di unità e crescita per tutto il mondo”.
Per aderire alla Giornata inviare una mail a  ufficiostampa@papaboys.it comunicando la città, il nome della chiesa e l’orario della celebrazione.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40843&lan=ita

mercoledì 23 gennaio 2013

GLI EROI DI ALEPPO

 Da Aleppo, “città martire siriana”, in preda ai combattimenti tra esercito regolare e milizie ribelli, si leva la testimonianza della Chiesa locale. Denunciato anche l’arruolamento, nelle milizie mercenarie, di bambini-soldato.



S.I.R. 22 Gennaio 2013
“La situazione è drammatica. Sentiamo spari e scontri a fuoco a circa trecento metri dalla nostra abitazione che pure, non molto tempo fa, è stata colpita due volte, subendo anche irruzione da parte dei miliziani ribelli. Difficile se non impossibile muoversi. È una cosa terribile. Nella città scarseggiano acqua, cibo, elettricità, combustibile per riscaldamento, moltissime famiglie sono in grave difficoltà e cerchiamo di fare il possibile per alleviare le loro sofferenze”. 

Locomotiva ferma. Un tempo locomotiva industriale che trainava l’economia siriana, oggi la città, la seconda del Paese ma la più densamente popolata, a causa degli scontri si è fermata. Le fabbriche sono ferme, riferisce al Sir la fonte che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, “almeno 1.300 sono cadute nelle mani dei ribelli e sono state smantellate; i pezzi delle macchine manifatturiere rivenduti fuori dei confini, in Turchia”. Nei locali vuoti hanno trovato riparo famiglie e persone che si sono viste distruggere le case dai violenti scontri. La disoccupazione è ormai altissima e a pesare sulla ripresa sono la mancanza di rifornimenti e di energia elettrica.

Popolazione allo stremo. “Nella parte antica della città dove abbiamo la residenza - riferisce al Sir la fonte -, si combatte continuamente. La zona orientale della città è in mano ai ribelli mentre quella occidentale, dove vivono adesso la maggior parte dei cristiani, è controllata dall’esercito. I nostri sacerdoti, eccetto uno ferito e ricoverato in Libano, sono qui e cercano di dare assistenza ai nostri fedeli. Stiamo facendo molti sforzi in questa direzione e abbiamo l’aiuto di alcuni laici”.

 Compatibilmente con le condizioni di sicurezza, continua la fonte della Chiesa di Aleppo, “abbiamo organizzato dei piccoli centri di distribuzione di viveri; a coloro che hanno perso il lavoro, sono molti, cerchiamo di dare anche un po’ di denaro, a cadenza mensile, per tirare avanti. Assistiamo diverse centinaia di persone, circa 250 famiglie”. “Purtroppo, questa campagna di aiuto sta per terminare e se non si trovano presto nuovi benefattori e organismi, come Caritas e Croce Rossa, che ci possano sostenere, saremo costretti a fermarci”.


"È passata una settimana dal terribile attentato all’università di Aleppo del 15 gennaio e da allora non abbiamo notizie della nostra sorella Rima. Il suo sorriso invece è sempre più stampato nel nostro cuore": fratel Andres Bergamini

Bambini soldato. Alle preoccupazioni del presente si sommano, “forse quelle ben più gravi che riguardano il futuro. La Siria è vittima di una guerra combattuta da mercenari venuti dall’estero, pagati da Qatar e Arabia Saudita, che distruggono ogni cosa (case, scuole, fabbriche), che minacciano, si macchiano di violenze contro la popolazione civile inerme. Basti vedere la strage, 200 morti, all’università di Aleppo di pochissimi giorni fa. Nessun combattente siriano, sia esso fedele o oppositore al regime, potrebbe compiere atti del genere. In Siria musulmani e cristiani si sono sempre rispettati, c’è sempre stata convivenza e tolleranza. Chi commette questi crimini non è siriano. È noto che tra i ribelli stranieri che combattono vi sono anche salafiti, fratelli musulmani, fondamentalisti e radicali che hanno l’obiettivo di costituire un regime islamico. Per questo hanno organizzato centri di arruolamento e pagano molto bene”.
 “La cosa più grave - denuncia la fonte della Chiesa locale - è che addestrano anche ragazzi di 13-14 anni, danno loro soldi e armamenti. In alcuni casi sono stati venduti dalle loro famiglie rimaste nei paesi di origine, come Pakistan, Afghanistan, Somalia, abbagliate da false promesse per i loro figli. Dietro compenso di qualche migliaio di dollari li lasciano partire. Sono certo che esistono liste di attesa per entrare in Siria a combattere contro Assad. Fanno credere che il regime sia sul punto di cadere e che la guerra volge al termine, ma non è così”. “Adesso nella popolazione si sta facendo strada la convinzione che l’opposizione politica siriana è ormai ostaggio di quella armata controllata da mercenari e fondamentalisti stranieri che - ricordiamolo - non hanno esitato a usare i civili, nelle zone da loro controllate, come scudi umani. Se ci fossero le elezioni l’opposizione non prenderebbe molti voti”.

chi educa oggi ad Aleppo

Per una soluzione politica. “Il popolo siriano - ribadisce - vuole la pace, da raggiungersi con il dialogo e il negoziato. La nostra posizione che abbiamo sempre sostenuto è quella di una soluzione politica, garanzia per un futuro di democrazia, di pluralismo, di convivenza con i musulmani. Temiamo per un rovesciamento dell’intero sistema. Se questo regime, con tutti i suoi limiti e difetti, dovesse cadere, al suo posto arriverebbero dei principi musulmani, come nell’impero ottomano. Questa prospettiva ci fa paura. Non parliamo, quindi, di libertà e democrazia. Basta con le armi! Non vogliamo diventare un principato islamico”.
“Da parte mia - conclude la fonte - so di essere in pericolo, e forse per alcuni sono una persona non grata, ma è necessario restare con gli altri fedeli qui in città. Non sono favorevole né al regime né all’opposizione, sono a favore di tutto ciò che è democratico, pluralista, rispettoso del diritto. Non voglio un regime poliziesco e non voglio essere governato da chi vuol distruggere tutto. Con i fondamentalisti islamici come potremo testimoniare la pace di Cristo?”.

http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=254012&rifi=guest&rifp=guest

martedì 22 gennaio 2013

“In Siria sta accadendo la stessa cosa di altri Paesi arabi dove vediamo i fondamentalisti islamici fronteggiare e sconfiggere con la forza i governi locali."

"Con un governo saldamente in mano ai fondamentalisti islamici non ci sarà libertà e libertà religiosa in particolare."

Nei cristiani cresce la paura per il conflitto in corso e le sue conseguenze



Tra due fuochi

S.I.R. 16 Gennaio 2013

“Il vento della primavera araba ora comincia a farsi sentire anche in Giordania che rischia di cadere, dopo la Siria. E le conseguenze sarebbero devastanti per la già precaria stabilità di questa regione”. È preoccupato padre Butros Nimeh, parroco della chiesa siro-ortodossa di Betlemme. Le elezioni per il nuovo Parlamento nel regno hashemita sono fissate per il 23 gennaio. L’auspicio del religioso è che a prevalere siano candidati moderati e dalla coscienza retta. Ma la mente di padre Nimeh non si ferma solo alla Giordania: va diretta alla “cara” Siria dove vivono molti suoi amici e confratelli. “Le notizie - dice a Daniele Rocchi del Sir che lo ha incontrato nella sua piccola chiesa, nella parte antica della città - che arrivano dalla Siria sono brutte. Il popolo soffre, i cristiani locali soffrono non solo per la guerra ma anche per la loro fede”.

Padre Nimeh, i cristiani soffrono due volte?
“In Siria sta accadendo la stessa cosa di altri Paesi arabi dove vediamo i fondamentalisti islamici fronteggiare e sconfiggere con la forza i governi locali. Dicono che vogliono cambiare la situazione del popolo che non è buona. Si tratta di un conflitto economico e politico dai connotati religiosi. La religione viene usata come detonatore di tensioni e di violenza. Guardiamo cosa è accaduto in Iraq negli ultimi venti anni. In queste due decadi oltre un milione di cristiani hanno lasciato quel Paese. La stessa cosa, adesso, si sta verificando in Siria. Siamo tra due fuochi”.

Intende dire che i cristiani stanno pagando il prezzo dello scontro tra sciiti e sunniti?
“Sciiti e sunniti fanno capo a potenze regionali quali Iran e Arabia saudita che li controllano come avessero un telecomando tra le mani. E a tremare sono le sorti di questa area strategica del mondo ricca di materie come il petrolio”.

Che notizie le giungono dai suoi fedeli e confratelli rimasti in Siria?
“Le informazioni fornite dai nostri confratelli e dal patriarcato siro-ortodosso che ha sede in Siria ci parlano di grandi sofferenze del popolo. I cristiani stanno pagando il prezzo di questa guerra, che è il sangue della nostra gente, i suoi luoghi, le sue chiese, le sue case. Ci sono zone della Siria come Homs e Aleppo che soffrono maggiormente la guerra, mentre altre registrano una calma relativa. Tra i combattenti anti-Assad moltissimi provengono dall’estero, sono mercenari pagati da altri Paesi. I cristiani non vogliono questa guerra. Siamo contrari, ma ne soffriamo le conseguenze. Vogliamo che si depongano le armi e si dialoghi per il bene del Paese”.

Teme per il futuro dei cristiani in Siria?
“Sotto il regime di Assad i cristiani erano benvoluti, ma adesso non sappiamo cosa accadrà dopo di lui. Cosa sarà dei cristiani se i partiti fondamentalisti islamici dovessero, in futuro, salire al governo? I fondamentalisti - lo stiamo vedendo in Egitto con i Fratelli musulmani - non separano religione e politica. Questi due aspetti non possono camminare insieme in un Paese democratico. Non si può governare con il Corano. Cosa hanno a che vedere i cristiani con la Sharia? Il futuro è oscuro per i cristiani in Siria. Con un governo saldamente in mano ai fondamentalisti islamici non ci sarà libertà e libertà religiosa in particolare. E a preoccuparsi non sono solo i cristiani ma anche tutti quei fedeli musulmani moderati e aperti al dialogo e alla tolleranza”.

Cosa perderebbe la Siria, e con essa il Medio Oriente, se la minoranza cristiana dovesse ulteriormente indebolirsi?
“I cristiani sono una parte importante della popolazione mediorientale ed è importante che vi restino. Sfortunatamente né gli Usa né l’Unione europea comprendono questa cosa. I cristiani hanno la vocazione a intessere dialogo, costruire ponti di comprensione, stimolare il rispetto dei diritti e la tolleranza. È la nostra storia qui in questa terra. I partiti fondamentalisti islamici governeranno il Medio Oriente con il sostegno di Usa e Ue. I popoli lo sanno ma i loro governi no. E questo è grave”.

http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=253656&rifi=guest&rifp=guest


QUANTO VALE LA VITA DI UN ALAWITA



Una campagna è stata lanciata dalla milizia « Ansar Sham » (i partigiani del Levante) su Twitter e Facebook, invitando all'uccisione degli Alawiti in Syria. 
Slogan: « Uccidi un nassirita per 3 dollari », 

lunedì 21 gennaio 2013

Non dimenticate suor Rima e le centinaia di vittime di questa guerra


Mario Zenari: "Suor Rima è una delle tante vite spezzate da questa carneficina".



 - Suor Rima, 40 anni, siriana di Aleppo, era una religiosa delle Suore Maestre di S. Dorotea-Figlie dei Sacri Cuori. Insieme a un'altra consorella di origini italiane, portava avanti il lavoro di missione cristiana fra i giovani, gestendo un convitto per studentesse, situato a pochi metri dall'Università di Aleppo. Lo scorso 15 gennaio, la religiosa è rimasta vittima nell'attentato all'ateneo costato la vita a 87 persone e rivendicato dagli estremisti islamici. Fino ad ora il suo corpo non è stato ancora ritrovato. A confermare la sua scomparsa è mons. Mario Zenari, nunzio vaticano a Damasco.

Asia News 21/01/2013
 

Il prelato racconta che le due religiose erano ormai le uniche suore dorotee rimaste nel convento. Le altre quattro erano state richiamate in Italia alcuni mesi fa per ragioni di sicurezza. Insieme alla consorella, suor Rima condivideva le sofferenze di questa guerra. Nonostante la paura, il freddo e il rischio di morire sotto i bombardamenti, esse visitavano ogni giorno le famiglie del quartiere, cristiane e musulmane, offrendo ospitalità e aiuto spirituale agli sfollati della guerra, soprattutto alle giovani studentesse dell'università.
"La mattina dell'attentato - racconta mons. Zenari - suor Rima aveva meditato il passo in cui Gesù scaccia i demoni, confessando a Dio di essere disposta a offrire la sua vita se il suo sacrificio poteva alleviare le sofferenze della popolazione siriana. Dopo la preghiera, le due religiose sono uscite per la quotidiana visita alle famiglie e agli ammalati, dandosi appuntamento a casa per l'ora di pranzo". Il vescovo sottolinea che l'ultimo a veder viva suor Rima è stato il giardiniere del convento delle vicine suore carmelitane, anch'esso situato a poche decine di metri dall'università. Intorno alle 12, l'uomo stava conversando con la religiosa di ritorno dal lavoro mattutino, quando i due sono stati investiti da un muro di fuoco. Una volta riaperti gli occhi il giardiniere, rimasto ferito, ha visto intorno a sé solo macerie.
Mons. Zenari racconta commosso che i familiari e la consorella "hanno visitato tutti gli ospedali della città, sperando di trovare almeno il corpo della religiosa". Tuttavia "la maggior parte delle salme estratte dalle macerie sono irriconoscibili. Per avere un riscontro si dovrà procedere all'esame del Dna".
Il nunzio sottolinea che suor Rima è la prima religiosa cattolica vittima della guerra. "Purtroppo essa è una delle tante vite spezzate da questa carneficina, che sta devastando la vita di tutta la popolazione siriana senza distinzione di credo, etnia, appartenenza politica". "La situazione - aggiunge - è drammatica: chi non muore sotto le macerie dei bombardamenti o nelle sparatorie, sopravvive con difficoltà. Ad Aleppo, come in altre città della Siria, manca tutto: luce, gas, cibo, medicinali. Per scaldarsi, la gente taglia gli alberi dei giardini pubblici".
 "Il giorno dell'attentato all'Università di Aleppo - continua il nunzio - altre 120 persone sono morte in sparatorie, bombardamenti, omicidi sommari in altre province della Siria. In totale 216 vittime in un solo giorno. Queste cifre fanno ormai parte della nostra quotidianità. I media non si stupiscono più. Ma dietro ogni persona trucidata si celano storie di sofferenza e dolore, che non devono essere dimenticate".

http://www.asianews.it/notizie-it/Siria,-Nunzio-vaticano:-Non-dimenticate-suor-Rima-e-le-centinaia-di-vittime-di-questa-guerra-26920.html

Padre Hanna: «I cristiani vogliono restare qui»

«Noi cristiani di Giordania vogliamo restare in Medio Oriente. Ma temiamo Qatar, Francia e America»

Intervista al sacerdote di Giordania esperto di Medio Oriente p. Hanna Kildani: «La Primavera araba è diventata un inverno. Qatar e Arabia Saudita non parlino di democrazia, perché sono teocrazie. Solo il Papa ci conforta».

TEMPI 14 gennaio 2013,  di Leone Grotti


È un sacerdote giordano, ma ha studiato (dottorato e diversi libri pubblicati) e vissuto anche in Palestina e Libano. Il Medio Oriente è la sua casa e padre Hanna Kildani (nella foto), intervistato da tempi.it, conosce a fondo i problemi dei cristiani in questa terra travagliata, definita dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal «la chiesa del Calvario. La Giordania è finora l’unico Paese dove c’è stabilità e dove i cristiani e i non cristiani possono rifugiarsi. È il caso di tanti iracheni, tanti siriani, è il caso di tanti egiziani che vengono a cercare lavoro, sono tutti da noi in Giordania. La mia domanda, che non è bella è: ma se capita qualche cosa in Giordania, dove vanno questi cristiani? In Arabia Saudita?».

Padre Hanna, che cosa risponde alla domanda di Twal? La Giordania è accerchiata da conflitti, verrà contagiata?
Per ora la Giordania è stabile. Con la Primavera araba, che alla luce dei fatti non si può definire Primavera, Siria Egitto Libia e Tunisia hanno avuto problemi ma in Giordania le cose vanno bene. Le proteste sono pacifiche e il 23 gennaio ci saranno le elezioni del Parlamento. Molte persone protestano contro la Costituzione, ma la maggioranza vuole queste elezioni. Certo c’è il problema dell’economia che va male: noi importiamo il gas dall’Egitto, ma da quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere, le importazioni sono diventate più difficili. La Primavera araba ci ha già fatto perdere 5 miliardi di dollari solo per il gas egiziano, che fatica ad arrivare.

E i cristiani?
La condizione dei cristiani, 200 mila circa, è come quella di tutti gli altri giordani, che soffrono per l’economia. Per il resto, la Giordania è un paese musulmano ma c’è la libertà di culto, non siamo in Arabia Saudita, i cristiani qui vivono in pace. Le chiese sono aperte, abbiamo scuole e ospedali. Ha ragione il patriarca Twal quando dice che la Giordania è il polmone del Medio Oriente, diciamo che è l’oasi del Medio Oriente. È l’unico posto dove si possono svolgere dei raduni: molti cristiani non possono andare in Palestina, in Iraq, in Siria, molti neanche in Egitto, allora si viene in Giordania, l’unico paese in grado di accogliere tutti. Speriamo che i giordani, il governo e il re lavorino insieme, mano nella mano, per mantenere stabile la situazione. Non sarà facile però sorpassare questa crisi economica, causata dalle guerre che ci circondano.

Il patriarca Twal si è detto preoccupato per tutti i cristiani del Medio Oriente. Condivide la sua preoccupazione?
Sì, temiamo che ora tocchi alla Giordania quello che progressivamente è avvenuto in tutto il Medio Oriente. Nel secolo 19esimo, nel 1860 sono stati massacrati i cristiani in Libano e Siria, per questo molti cristiani sono emigrati in America. Nel 20esimo secolo, la presenza cristiana nella Galilea è stata danneggiata a causa di Israele, molti cristiani della Galilea sono venuti in Giordania. Con la Guerra dei sei giorni molti cristiani hanno lasciato Gerusalemme e Betlemme. Nel 1967 c’erano 40 mila cristiani a Gerusalemme, oggi sono 10 mila. Dopo c’è stata la guerra civile del Libano, che ha fatto scappare tantissimi cristiani. Poi la guerra in Iraq con la fine del regime di Saddam Hussein, che ha ridotto i cristiani in quel paese da un milione di mezzo a 400 mila. Ora in Siria migliaia di cristiani stanno lasciando il paese per andare negli Stati Uniti e in Europa. In Egitto, anche se si dice poco, secondo le statistiche in un anno hanno lasciato il paese 10 mila copti.

All’elenco manca solo la Giordania.
Esatto, i cristiani in Medio Oriente patiscono una guerra dietro l’altra, una persecuzione dietro l’altra. Fino ad oggi, i cristiani della Giordania hanno vissuto in pace ma nel nostro cuore alberga la paura che il nostro turno arrivi adesso, nei prossimi anni.

Lei ha vissuto molto in Palestina, che di recente ha vissuto un altro conflitto con Israele. Gerusalemme è sempre la chiesa del Calvario?
Sì. Io sono giordano ma ho fatto i miei studi in Palestina. Da 14 anni non ci posso tornare perché ho bisogno del visto e prendere il visto israeliano per noi è una umiliazione. Andare all’ambasciata di Israele e ottenere il visto, poi, non è facile. Io come molti cristiani non possiamo andare a Gerusalemme, anche per questo la chiesa di Gerusalemme è la chiesa del Calvario, ma la Giordania resta il suo polmone per quanto riguarda le vocazioni sacerdotali e la stabilità.

Ha citato la situazione della Siria e dei suoi cristiani, che la comunità internazionale non sembra in grado di aiutare.
Una situazione drammatica. Io non credo mai, perché la storia lo dimostra, che un paese faccia guerra a un altro per la democrazia. I paesi fanno la guerra per interessi economici e politici. La Siria non è un paese democratico, c’è una dittatura, ci sono enormi problemi, il regime di Assad è corrotto ma i paesi come Qatar e Arabia Saudita che mandano in territorio siriano i fanatici e gli estremisti a fare la guerra non lo fanno per la democrazia e il popolo siriano ma per i loro interessi. Arabia Saudita e Qatar non sono paesi democratici e non fanno la guerra per la democrazia: se non rispettano i diritti dell’uomo nel loro paese, come possono parlare dei diritti dell’uomo in Siria? Io non accetto discorsi sulla democrazia da loro. Il governo siriano è totalitarista, è vero, ma almeno il regime di Assad è laico, non religioso come quello di Qatar e Arabia Saudita.

Che cosa pensa di Mohamed Morsi al potere in Egitto?
Sono preoccupato. In Egitto ci sono 10 milioni di cristiani. È straordinario che chi ha fatto la rivoluzione egiziana oggi non è al governo. I ragazzi egiziani, dopo avere cacciato Mubarak, hanno perso la rivoluzione perché il potere è stato preso dai Fratelli Musulmani. Questo è incredibile dal momento che i Fratelli Musulmani in principio erano contro la rivoluzione. È chiaro che non si può che essere preoccupati per il futuro.
  • ESTREMISTI ISLAMICI DEMOLISCONO UNA CHIESA COPTA
     AD AL FAYYUM 

Qual è quindi il suo giudizio sulla Primavera araba?
La prima parte della Primavera araba è stata positiva perché nata dai giovani che non credevano più ai loro governi, volevano diritti, lavoro. Purtroppo però non è finita così, i giovani sono stati usurpati dai Fratelli Musulmani che con il benestare di Stati Uniti, Francia ed Europa sono saliti al potere. Attitudine positiva, dunque, nello slancio iniziale ma poi la primavera si è trasformata in inverno, anche per colpa di Stati Uniti, Europa, Arabia Saudita e Qatar. Io ripeto: questi ultimi due paesi sono teocrazie e allora come possono parlare di democrazia? Non rispettano i diritti dell’uomo, la libertà di culto, che cosa possono esportare loro? Guardiamo alla Libia: oggi nessuno ne parla più, eppure quelle persone ora si ammazzano tra di loro, è in atto una guerra civile terribile di cui nessuno parla. Questa è la Primavera araba.

Qual è allora la speranza per i cristiani del Medio Oriente?

Prima di tutto abbiamo speranza in Dio, nel Signore, poi nei nostri contadini che hanno equilibrio politico ed economico. Per il resto, non ci resta che avere fiducia nel futuro perché è la sola cosa che possiamo fare, non c’è altro posto per noi. Noi non vogliamo andare via dal nostro paese, Europa e Stati Uniti non sono il nostro paese, la nostra vocazione di cristiani è stare in Medio Oriente, dare testimonianza della fede qui. Speriamo quindi che la Giordania resti in pace.

Il Sinodo del Medio Oriente vi ha aiutato?
Sì, è un piano di lavoro però che non dura un anno. È stato fatto un raduno a Roma ma per applicarlo ci vorranno 20 anni, come il Concilio vaticano II. C’è dunque bisogno di tempo.

Benedetto XVI è stato in questo pontificato quattro volte in Medio Oriente, l’ultima visita l’ha fatta in Libano. Siete confortati dalla sua presenza?
Quando il Papa è vicino, quando la Chiesa ci sta vicina, anche la Chiesa italiana, per noi è una grande gioia e un grande aiuto. Ma quando i politici come Sarkozy o Clinton vengono nei nostri paesi allora abbiamo paura. Loro infatti non pensano mai al benessere dei popoli del Medio Oriente, pensano al bene dell’Europa, di Israele ma non della Giordania o dell’Egitto. Invece quando il Papa viene da noi, cristiani e musulmani provano una grande gioia, la sua vicinanza umana e spirituale ci conforta. Quando arrivano certi politici invece proviamo angoscia nel nostro cuore ed è meglio che non si facciano vedere qui da noi: abbiamo paura di loro perché sono interessati solo al gas e al petrolio.

http://www.tempi.it/noi-cristiani-di-giordania-vogliamo-restare-in-medio-oriente-ma-temiamo-qatar-francia-e-america


domenica 20 gennaio 2013

Appello di Benedetto XVI all'Angelus

BENEDETTO XVI
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 20 gennaio 2013
 
Cari fratelli e sorelle!
 
 
(...)
Cari amici, alla preghiera per l’unità dei cristiani vorrei aggiungere ancora una volta quella per la pace, perché, nei diversi conflitti purtroppo in atto, cessino le ignobili stragi di civili inermi, abbia fine ogni violenza, e si trovi il coraggio del dialogo e del negoziato. Per entrambe queste intenzioni, invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, mediatrice di grazia.
 
Per chi desidera diffondere nella propria parrocchia o associazione o comunque fra conoscenti le notizie riportate da OraproSiria sulla situazione dei nostri fratelli cristiani in Siria, soprattutto in questa settimana in cui celebriamo la Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani, abbiamo predisposto un piccolo foglio, facilmente stampabile in fronte/retro e piegabile per ottenere un agile pamplet, con una delle ultime notizie.
Lo potete scaricare qui.
 
In futuro speriamo di potervi fornire altro materiale simile per la sensibilizzazione di tutti coloro che conosciamo, perché davvero i nostri fratelli in Siria abbiano al loro fianco un grande numero di fratelli che almeno li sostengono con la loro preghiera.
 


sabato 19 gennaio 2013

Ci vogliono terrorizzare, per questo noi cristiani fuggiamo

Appello dalla popolazione della Mesopotamia, abbandonata a se stessa

Hassakè, capoluogo della Mesopotamia (Siria Orientale), è una città fantasma, isolata dal resto del mondo. La popolazione soffre il freddo, non ha carburante, l'acqua scarseggia, c'è solo un'ora di elettricità al giorno. Oltre 25mila cristiani (siro-ortodossi, siro-cattolici, caldei, armeni) assiepati nella città, molti dei quali rifugiati dalle aree circostanti, lanciano un allarme per la sopravvivenza tramite alcuni messaggi pervenuti all'Agenzia Fides. 


Agenzia Fides 17/1/2013

Dopo l’appello diffuso due mesi fa dai tre Vescovi della regione, che “lanciavano un SOS per evitare la catastrofe” (vedi Fides 23/11/2012), “nulla è stato fatto: nessuno si cura della popolazione stremata di Hassake, che ha urgente bisogno di aiuti umanitari”, ribadiscono i Presuli.
I Vescovi, come il siro-cattolico Mons. Jacques Behnan Hindo e il siro-ortodosso Mons. Matta Roham, stanno intensificando i contatti con gli altri leader cristiani siriani e con le organizzazioni umanitarie, ma la riposta che ricevono non lascia spiragli: “E’ impossibile portare aiuti ad Hassakè perchè è troppo pericoloso e mancano le minime condizioni di sicurezza”.
Dopo la città di Tall Tamr, la regione è infestata da gruppi islamisti e terroristi che impongono numerosi posti di blocco sulle strade. Si tratta dei militanti di “Jubhat el Nosra”, fazione salafita che anche gli Stati Uniti hanno di recente inserito nela lista nera dei “gruppi terroristi”. A loro si aggiungono banditi comuni che compiono rapine, razzie, sequestri, saccheggi, anche in città. La popolazione “sta morendo lentamente, abbandonata a se stessa”, nota a Fides p. Ibrahim, prete cristiano residente ad Hassakè.
Hassakè -chiesa armena
“La popolazione soffre la fame e vive nel terrore” racconta. “Ogni giorno, alle 3 del pomeriggio, scatta una sorta di coprifuoco, perchè per le strade scorrazzano gruppi armati. Si susseguono i sequestri, a volte con richiesta di riscatto, a volte no. Nei giorni scorsi due fratelli della famiglia Bashr e due giovani della famiglia Fram sono stati uccisi a bruciapelo per strada. I giovani cristiani sono minacciati e terrorizzati, al 90% sono fuggiti dalla città. Se i giovani se ne vanno, a cosa serviranno le nostre chiese?”, dice sconsolato.
Secondo quanto racconta all’Agenzia Fides" Georgius, studente universitario cristiano che ha la famiglia ad Hassakè e che da pochi giorni si è rifugiato in Libano, “i miliziani con le bandiere nere del gruppo Jubhat el Nosra hanno preso di mira tutti i giovani nati fa il 1990 e il 1992. Li cercano, li accusano di essere militari in servizio di leva, li uccidono a sangue freddo. Vogliono terrorizzare i giovani per impedire di arruolarsi”. La popolazione di Hassakè, allo stremo delle forze, riferisce Georgius, “teme l'assalto finale alla città che potrebbe causare l' esodo definitivo dei cristiani da Hassakè”

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40793&lan=ita

L'Arcivescovo siro-ortodosso Roham: per sopravvivere al freddo si bruciano anche gli antichi alberi della Mesopotamia


il fiume Eufrate

Agenzia Fides 16/1/2013

Hassaké (Agenzia Fides) - Tra i disastri che segnano l'inverno di guerra sofferto dalle popolazioni siriane c'è anche la distruzione progressiva dell'ambiente e in particolare delle esigue aree boschive, come quelle finora conservate nell'area protetta di Jebel Abdel Aziz, nella Mesopotamia siriana. A lanciare l'allarme su questo ulteriore effetto della tragedia siriana è l'Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, titolare della sede metropolitana di Jazira e Eufrate.
In un appello inviato all'Agenzia Fides, Mons. Roham racconta di aver constatato di persona gli effetti rovinosi della guerra sul patrimonio naturale, in un recente sopralluogo nel Parco nazionale. “I poveri beduini dei sobborghi di Hassaké” scrive nel suo appello l'Arcivescovo, “hanno tagliato tutti gli alberi antichi”. Un saccheggio avvenuto sotto gli occhi dei guardiani del Parco, che non se la sono sentita di fare resistenza davanti alle ragioni di chi cercava legna per sopravvivere al freddo, in un Paese dove nessuno trova più combustibile per riscaldare le case e i black out elettrici si susseguono senza tregua.
La deforestazione selvaggia e i danni all'ambiente – nota l'Arcivescovo Roham – sono un effetto collaterale della catastrofe siriana fatta di “morti, distruzione, inflazione, povertà, emigrazione, rapimenti”.

"1.500 unità di attrezzature farmaceutiche e industriali sono state smantellate, requisite e trasportate dalla città di Aleppo in Turchia ", ha detto l'Ambasciatore siriano Jaafari nel corso della discussione sulla lotta al terrorismo in seno al Consiglio di Sicurezza.
Nel suo messaggio, Mons. Roham riferisce anche dei saccheggi subiti dalle case dei cristiani fuggiti da Ras- Al- Ayn, la città ai confini con la Turchia che due mesi fa è stata al centro di scontri tra ribelli e truppe lealiste.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40786&lan=ita